L'atto dello sbadigliare ha una funzione regolativa delle nostre attività cerebrali , almeno così dicono gli esperti, e non ho intenzione di contraddirli mentre cerco disperatamente di restare sveglio. Serve a ripristinare la quantità di ossigeno nel cervello, a rimettere in sesto i livelli di attenzione e ad alleviare quella fastidiosa sonnolenza che ci accompagna quando ci trasciniamo dal sonno alla veglia.
A livello sociale, invece, è un biglietto da visita infallibile: “Ciao, mi sto annoiando da morire.” O, in alcuni casi, “Sì, lo so, sono maleducato, perdonami.”
.jpg)
Fortunatamente, il nuovo reboot della storica saga di Painkiller non è un tipo permaloso: se lo fosse, avrebbe già chiesto i danni morali per i numerosi sbadigli che hanno costellato la mia sessione di prova. Ma lui niente, impassibile. Anzi, quasi mi incoraggiava.
Painkiller non è il titolo che ha rivoluzionato la storia videoludica, ma per molti giocatori rimane un tenero ricordo da mansarda nerd: il gioco che ogni tanto riapri dal 2004 per farti un giro nei suoi livelli cupi, tamarri e fieramente heavy metal. Un posto dove una buona dose di violenza rozza e sbruffona era più che sufficiente per divertirti fino alla schermata finale, lasciandoti quella piacevole sensazione di aver partecipato a una sagra della carneficina demoniaca.
E, cosa non da poco, riusciva anche a distinguersi per stile e meccaniche dal suo ingombrante cugino famoso, il Doom di Id Software, che continua ancora oggi a dettare legge nel mondo degli FPS. Painkiller, invece, faceva la sua figura da outsider: meno raffinato, più caciarone, ma tremendamente onesto nel suo voler soltanto farti spappolare qualche mostro per rilassarti dopo una lunga giornata.
Questo reboot ad opera degli Anshar Studios arriva un po' a sorpresa, in un periodo in cui gli FPS semi-arena sembrano vivere una seconda giovinezza: è tutto un riscoprire la frenesia, lo strafare, il correre in tondo mentre qualcosa esplode alle tue spalle. Insomma, proporre un gioco dal gameplay puro e senza troppi fronzoli non sarebbe affatto una scelta fuori contesto.
Il problema?
È che Painkiller non ci riesce neanche per sbaglio. E credimi, gliel’ho visto proprio tentare: inciampa, si rialza, guarda il manuale, lo butta, ci riprova… ma niente.

L’intreccio imbastito dagli sviluppatori per giustificare il ritorno in purgatorio è estremamente semplice anzi, quasi evanescente, direi. Quattro tipi tosti (ognuno con le proprie caratteristiche e abilità peculiari) devono guadagnarsi la salvezza e, per farlo, devono e dobbiamo, insieme a loro passare ore e ore a deflagrare orde di demoni infernali appartenenti all’esercito di Azazel.
Tutto qui. Nessuno slancio, nessun crescendo, nessun ritmo che riesca a dare una spinta a una trama che, pur nella sua semplicità, avrebbe avuto bisogno almeno di un minimo di verve per risultare coinvolgente.
Il background dei vari personaggi viene effettivamente approfondito durante le ore di gioco, ma anche qui non tutto è andato per il verso giusto. Il tono dei dialoghi con battutine da buddy movie anni ’90 finisce per distruggere l’atmosfera cupa e angosciante che caratterizzava il titolo originale, e senza una reale logica stilistica dietro questa scelta.
Perché prendere così tanto le distanze dal capostipite, soprattutto in termini di tono, al punto da farti rimpiangere di non aver semplicemente reinstallato il vecchio Painkiller?
È una domanda che gli sviluppatori, a quanto pare, non hanno ritenuto necessario porsi. Evidentemente.
Ma almeno il gameplay è divertente? Ve lo dico subito… appena finisco di sbadigliare.

Il titolo originale aveva il pregio di piegare a un gameplay ultra-semplice e soddisfacente un ottimo bilanciamento nella struttura dei livelli, alternando corridoi stretti e pericolosamente infestati ad ambienti più ampi, dove il massacro demoniaco esplodeva in tutta la sua gloriosa violenza.
Il team originale di People Can Fly ci metteva dentro il suo incredibile talento, riuscendo a dosare con cura i momenti di apparente pausa e quelli di adrenalina pura, evitando così di appesantire il giocatore durante le ore di gioco.
Complice anche la scelta azzeccatissima di proporre ai giocatori un parco armi dalla forte personalità, capace di infondere divertimento e precisione nei movimenti. Ti sembrava quasi di essere a casa, tra Doom, Quake o il mai dimenticato Serious Sam, ma nonostante le inevitabili somiglianze non perdeva neanche un briciolo di originalità.
Ed era, semplicemente, genuinamente divertente.
Questo reboot semplicemente non ce la fa. Vuole disperatamente apparire come il capitolo originale, ma si perde nella totale mancanza di brillantezza. È tutto già visto, già vissuto in mille altri titoli, e soprattutto il gameplay si chiude in un frustrante e anacronistico loop infinito che alla lunga stanca persino i videogiocatori più appassionati.
È un susseguirsi di corridoi e arene più o meno grandi, in cui vengono riversate orde di nemici senza anima né colore. Il problema, però, non finisce qui.
La sensazione di essere soli contro l’esercito infernale elemento cardine del Painkiller originale viene polverizzata nel momento in cui il team decide, con ammirevole incoscienza, di rendere questa nuova versione giocabile solo in coop (online o con bot nelle sessioni “solitarie”). Una scelta che, da sola, taglia le gambe a ciò che rendeva unico il titolo del 2004.
Il problema è quindi inscritto nel DNA stesso del progetto: con un colpo di spugna viene cancellato proprio quell’elemento caratteristico e preponderante che faceva da altare a tutta l’esperienza del Painkiller originale.
Sbadigli.

Eppure qualche nuova aggiunta c’è va riconosciuto. Ad esempio, la possibilità di potenziare le armi, oppure di acquistare dei tarocchi in grado di conferire abilità speciali durante le varie ronde infernali. Peccato che questo sistema di upgrading, per come è stato concepito, risulti più punitivo che soddisfacente: per la maggior parte del tempo vi ritroverete a scegliere sempre le stesse, uniche opzioni sensate, le sole capaci di smuovere quel poco che c’è da smuovere in termini di tattica balistica.
Anche l’aggiunta di un’ulteriore modalità di gioco, capace di generare arene casuali in cui resistere fino allo stremo contro una moltitudine di bestie sataniche, non riesce a risollevare le sorti di un titolo già stanco in partenza. L’unico incentivo sarebbe accumulare risorse per potenziare il vostro arsenale, ma, ribadisco, il senso di passare ore e ore a ripetere sempre le stesse azioni è praticamente nullo.
Quindi… passiamo oltre e facciamo finta di nulla.

Dal punto di vista tecnico, il titolo è solido e soddisfacente: cali di frame rate praticamente inesistenti e velocità di gioco sempre alta e stabile. Insomma, funziona come un orologio svizzero.
Il problema è che, nonostante questa efficienza, il tutto manca completamente di anima e personalità. Le location sono piatte, prive di guizzi creativi, e l’insieme trasmette un anonimato sorprendentemente triste, quasi da luogo generico per videogiochi generici.
La musica segue esattamente la stessa sorte delle location: tecnicamente ben realizzata, curata e senza errori, ma totalmente priva di personalità. Tracce che accompagnano il massacro infernale senza mai lasciare il segno, completamente anonime, come se qualcuno avesse premuto un generatore automatico di colonne sonore per FPS e se ne fosse andato a bere un caffè.
A livello sociale, invece, è un biglietto da visita infallibile: “Ciao, mi sto annoiando da morire.” O, in alcuni casi, “Sì, lo so, sono maleducato, perdonami.”
.jpg)
Fortunatamente, il nuovo reboot della storica saga di Painkiller non è un tipo permaloso: se lo fosse, avrebbe già chiesto i danni morali per i numerosi sbadigli che hanno costellato la mia sessione di prova. Ma lui niente, impassibile. Anzi, quasi mi incoraggiava.
Painkiller non è il titolo che ha rivoluzionato la storia videoludica, ma per molti giocatori rimane un tenero ricordo da mansarda nerd: il gioco che ogni tanto riapri dal 2004 per farti un giro nei suoi livelli cupi, tamarri e fieramente heavy metal. Un posto dove una buona dose di violenza rozza e sbruffona era più che sufficiente per divertirti fino alla schermata finale, lasciandoti quella piacevole sensazione di aver partecipato a una sagra della carneficina demoniaca.
E, cosa non da poco, riusciva anche a distinguersi per stile e meccaniche dal suo ingombrante cugino famoso, il Doom di Id Software, che continua ancora oggi a dettare legge nel mondo degli FPS. Painkiller, invece, faceva la sua figura da outsider: meno raffinato, più caciarone, ma tremendamente onesto nel suo voler soltanto farti spappolare qualche mostro per rilassarti dopo una lunga giornata.
Questo reboot ad opera degli Anshar Studios arriva un po' a sorpresa, in un periodo in cui gli FPS semi-arena sembrano vivere una seconda giovinezza: è tutto un riscoprire la frenesia, lo strafare, il correre in tondo mentre qualcosa esplode alle tue spalle. Insomma, proporre un gioco dal gameplay puro e senza troppi fronzoli non sarebbe affatto una scelta fuori contesto.
Il problema?
È che Painkiller non ci riesce neanche per sbaglio. E credimi, gliel’ho visto proprio tentare: inciampa, si rialza, guarda il manuale, lo butta, ci riprova… ma niente.

L’intreccio imbastito dagli sviluppatori per giustificare il ritorno in purgatorio è estremamente semplice anzi, quasi evanescente, direi. Quattro tipi tosti (ognuno con le proprie caratteristiche e abilità peculiari) devono guadagnarsi la salvezza e, per farlo, devono e dobbiamo, insieme a loro passare ore e ore a deflagrare orde di demoni infernali appartenenti all’esercito di Azazel.
Tutto qui. Nessuno slancio, nessun crescendo, nessun ritmo che riesca a dare una spinta a una trama che, pur nella sua semplicità, avrebbe avuto bisogno almeno di un minimo di verve per risultare coinvolgente.
Il background dei vari personaggi viene effettivamente approfondito durante le ore di gioco, ma anche qui non tutto è andato per il verso giusto. Il tono dei dialoghi con battutine da buddy movie anni ’90 finisce per distruggere l’atmosfera cupa e angosciante che caratterizzava il titolo originale, e senza una reale logica stilistica dietro questa scelta.
Perché prendere così tanto le distanze dal capostipite, soprattutto in termini di tono, al punto da farti rimpiangere di non aver semplicemente reinstallato il vecchio Painkiller?
È una domanda che gli sviluppatori, a quanto pare, non hanno ritenuto necessario porsi. Evidentemente.
Ma almeno il gameplay è divertente? Ve lo dico subito… appena finisco di sbadigliare.

Il titolo originale aveva il pregio di piegare a un gameplay ultra-semplice e soddisfacente un ottimo bilanciamento nella struttura dei livelli, alternando corridoi stretti e pericolosamente infestati ad ambienti più ampi, dove il massacro demoniaco esplodeva in tutta la sua gloriosa violenza.
Il team originale di People Can Fly ci metteva dentro il suo incredibile talento, riuscendo a dosare con cura i momenti di apparente pausa e quelli di adrenalina pura, evitando così di appesantire il giocatore durante le ore di gioco.
Complice anche la scelta azzeccatissima di proporre ai giocatori un parco armi dalla forte personalità, capace di infondere divertimento e precisione nei movimenti. Ti sembrava quasi di essere a casa, tra Doom, Quake o il mai dimenticato Serious Sam, ma nonostante le inevitabili somiglianze non perdeva neanche un briciolo di originalità.
Ed era, semplicemente, genuinamente divertente.
Questo reboot semplicemente non ce la fa. Vuole disperatamente apparire come il capitolo originale, ma si perde nella totale mancanza di brillantezza. È tutto già visto, già vissuto in mille altri titoli, e soprattutto il gameplay si chiude in un frustrante e anacronistico loop infinito che alla lunga stanca persino i videogiocatori più appassionati.
È un susseguirsi di corridoi e arene più o meno grandi, in cui vengono riversate orde di nemici senza anima né colore. Il problema, però, non finisce qui.
La sensazione di essere soli contro l’esercito infernale elemento cardine del Painkiller originale viene polverizzata nel momento in cui il team decide, con ammirevole incoscienza, di rendere questa nuova versione giocabile solo in coop (online o con bot nelle sessioni “solitarie”). Una scelta che, da sola, taglia le gambe a ciò che rendeva unico il titolo del 2004.
Il problema è quindi inscritto nel DNA stesso del progetto: con un colpo di spugna viene cancellato proprio quell’elemento caratteristico e preponderante che faceva da altare a tutta l’esperienza del Painkiller originale.
Sbadigli.

Eppure qualche nuova aggiunta c’è va riconosciuto. Ad esempio, la possibilità di potenziare le armi, oppure di acquistare dei tarocchi in grado di conferire abilità speciali durante le varie ronde infernali. Peccato che questo sistema di upgrading, per come è stato concepito, risulti più punitivo che soddisfacente: per la maggior parte del tempo vi ritroverete a scegliere sempre le stesse, uniche opzioni sensate, le sole capaci di smuovere quel poco che c’è da smuovere in termini di tattica balistica.
Anche l’aggiunta di un’ulteriore modalità di gioco, capace di generare arene casuali in cui resistere fino allo stremo contro una moltitudine di bestie sataniche, non riesce a risollevare le sorti di un titolo già stanco in partenza. L’unico incentivo sarebbe accumulare risorse per potenziare il vostro arsenale, ma, ribadisco, il senso di passare ore e ore a ripetere sempre le stesse azioni è praticamente nullo.
Quindi… passiamo oltre e facciamo finta di nulla.

Dal punto di vista tecnico, il titolo è solido e soddisfacente: cali di frame rate praticamente inesistenti e velocità di gioco sempre alta e stabile. Insomma, funziona come un orologio svizzero.
Il problema è che, nonostante questa efficienza, il tutto manca completamente di anima e personalità. Le location sono piatte, prive di guizzi creativi, e l’insieme trasmette un anonimato sorprendentemente triste, quasi da luogo generico per videogiochi generici.
La musica segue esattamente la stessa sorte delle location: tecnicamente ben realizzata, curata e senza errori, ma totalmente priva di personalità. Tracce che accompagnano il massacro infernale senza mai lasciare il segno, completamente anonime, come se qualcuno avesse premuto un generatore automatico di colonne sonore per FPS e se ne fosse andato a bere un caffè.
Conclusioni
Questo reboot di Painkiller è un po’ come un vecchio amico che arriva a cena con ottime intenzioni, ma che si rivela insipido e noioso: tecnicamente impeccabile, con frame rate solidi e velocità di gioco sempre alta, ma privo di quella scintilla che rendeva l’originale un titolo memorabile. Le arene sono anonime, la musica è funzionale ma dimenticabile, il gameplay tenta di riproporre la frenesia del passato ma si arena in loop ripetitivi e cooperative obbligatorie che smorzano qualsiasi tensione. Le aggiunte, come gli upgrade delle armi o i tarocchi, hanno un buon potenziale, ma risultano più frustranti che gratificanti; le modalità extra, invece, non fanno che sottolineare quanto poco questo reboot abbia da dire di nuovo.
Il problema non è la qualità tecnica, ma la mancanza di anima e personalità: dove l’originale sapeva essere violento, caotico e divertente, qui troviamo solo una riproduzione meccanica, priva di guizzi creativi e di quella ferocia ironica che faceva brillare Painkiller. È un titolo che funziona, certo, ma che non emoziona, non sorprende e, soprattutto, non lascia il segno.
Alla fine, dopo ore di deflagrazioni demoniache e sbadigli disperati, si ha la sensazione di aver giocato a un prodotto competente, ma stranamente vuoto: un Painkiller senza cuore, un’ombra del suo glorioso passato. Peccato...mortale.
Il problema non è la qualità tecnica, ma la mancanza di anima e personalità: dove l’originale sapeva essere violento, caotico e divertente, qui troviamo solo una riproduzione meccanica, priva di guizzi creativi e di quella ferocia ironica che faceva brillare Painkiller. È un titolo che funziona, certo, ma che non emoziona, non sorprende e, soprattutto, non lascia il segno.
Alla fine, dopo ore di deflagrazioni demoniache e sbadigli disperati, si ha la sensazione di aver giocato a un prodotto competente, ma stranamente vuoto: un Painkiller senza cuore, un’ombra del suo glorioso passato. Peccato...mortale.
Messaggio sponsorizzato
Orde di demoni, armi devastanti e azione senza pause ti aspettano.
Acquista ora e vivi l’adrenalina di uno degli FPS più iconici su Instant Gaming.
Orde di demoni, armi devastanti e azione senza pause ti aspettano.
Acquista ora e vivi l’adrenalina di uno degli FPS più iconici su Instant Gaming.
Pro
- Tecnicamente solido
- Veloce al punto giusto
- Qualche spunto carino
Contro
- Noioso dopo le prime due ore
- Un gioco senza anima
- Non è Painkiller








Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.