Il nostro sito ha sempre riportato la difficile situazione di chi lavora nel settore dell’animazione giapponese, e purtroppo anche questa volta i dati confermano quanto le condizioni restino critiche.
Una recente indagine governativa ha messo in luce la profonda frustrazione degli artisti che alimentano l'industria dell'animazione e del cinema giapponese, settori in cui i bassi salari e le pratiche commerciali opache contribuiscono a creare condizioni lavorative precarie. Secondo un'indagine pubblicata il 24 dicembre dalla Commissione per il Commercio Equo (Fair Trade Commission), ben l'89,4% dei registi e del personale cinematografico, insieme al 52,1% degli animatori, ha dichiarato di non essere soddisfatto della propria retribuzione attuale. Molti intervistati hanno lamentato che la loro compensazione non riesce a tenere il passo con l'aumento del costo della vita e che i compensi offerti per il loro lavoro sono intrinsecamente bassi; alcuni hanno inoltre riferito che le negoziazioni non portano a tariffe accettabili o, in molti casi, non sono nemmeno possibili. Entrambe le industrie operano comunemente attraverso strutture di subappalto a più livelli: in cima si trovano i partner di produzione, seguiti da appaltatori primari, studi in subappalto e creatori freelance.
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La FTC ha iniziato a investigare questi livelli a gennaio attraverso questionari e interviste, identificando diversi problemi strutturali comuni a tutti i livelli del settore, tra cui ritardi nella presentazione chiara dei termini contrattuali, compensi bassi pagati dalle entità committenti e rimborsi insufficienti per i costi aggiuntivi sostenuti durante la produzione. “I problemi che si verificano ai livelli più alti si ripercuotono anche più in basso nella catena”, ha osservato un funzionario della FTC. L'industria dell'animazione giapponese, infatti, si basa fortemente su animatori freelance che spesso lavorano per salari minimi e affrontano pratiche lavorative precarie. Questa dipendenza da lavoratori autonomi, combinata con la struttura a più livelli di subappalti, crea un ambiente in cui gli artisti alla base della catena produttiva si trovano in una posizione particolarmente vulnerabile.
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Sulla base dei risultati emersi, l'autorità garante della concorrenza prevede di redigere linee guida che delineino quali pratiche potrebbero violare la Legge Antimonopolio e altre normative progettate per proteggere le piccole imprese e i lavoratori freelance. Questa iniziativa rappresenta un primo passo verso il riconoscimento formale dei problemi sistemici che affliggono un settore cruciale per l'economia culturale giapponese, ma resta da vedere se sarà sufficiente a garantire condizioni di lavoro dignitose per i creatori che danno vita alle opere animate amate in tutto il mondo.
Fonte: The Asahi Shimbun
Una recente indagine governativa ha messo in luce la profonda frustrazione degli artisti che alimentano l'industria dell'animazione e del cinema giapponese, settori in cui i bassi salari e le pratiche commerciali opache contribuiscono a creare condizioni lavorative precarie. Secondo un'indagine pubblicata il 24 dicembre dalla Commissione per il Commercio Equo (Fair Trade Commission), ben l'89,4% dei registi e del personale cinematografico, insieme al 52,1% degli animatori, ha dichiarato di non essere soddisfatto della propria retribuzione attuale. Molti intervistati hanno lamentato che la loro compensazione non riesce a tenere il passo con l'aumento del costo della vita e che i compensi offerti per il loro lavoro sono intrinsecamente bassi; alcuni hanno inoltre riferito che le negoziazioni non portano a tariffe accettabili o, in molti casi, non sono nemmeno possibili. Entrambe le industrie operano comunemente attraverso strutture di subappalto a più livelli: in cima si trovano i partner di produzione, seguiti da appaltatori primari, studi in subappalto e creatori freelance.
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La FTC ha iniziato a investigare questi livelli a gennaio attraverso questionari e interviste, identificando diversi problemi strutturali comuni a tutti i livelli del settore, tra cui ritardi nella presentazione chiara dei termini contrattuali, compensi bassi pagati dalle entità committenti e rimborsi insufficienti per i costi aggiuntivi sostenuti durante la produzione. “I problemi che si verificano ai livelli più alti si ripercuotono anche più in basso nella catena”, ha osservato un funzionario della FTC. L'industria dell'animazione giapponese, infatti, si basa fortemente su animatori freelance che spesso lavorano per salari minimi e affrontano pratiche lavorative precarie. Questa dipendenza da lavoratori autonomi, combinata con la struttura a più livelli di subappalti, crea un ambiente in cui gli artisti alla base della catena produttiva si trovano in una posizione particolarmente vulnerabile.
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Sulla base dei risultati emersi, l'autorità garante della concorrenza prevede di redigere linee guida che delineino quali pratiche potrebbero violare la Legge Antimonopolio e altre normative progettate per proteggere le piccole imprese e i lavoratori freelance. Questa iniziativa rappresenta un primo passo verso il riconoscimento formale dei problemi sistemici che affliggono un settore cruciale per l'economia culturale giapponese, ma resta da vedere se sarà sufficiente a garantire condizioni di lavoro dignitose per i creatori che danno vita alle opere animate amate in tutto il mondo.
Fonte: The Asahi Shimbun
Le hanno chiesto quanto guadagna quando lavorava sugli anime, lei ha risposto che prendeva circa 200.000 yen al mese(sono andato a vedere quanto sono è fanno meno di 1100 euro al mese). Nella mia azienda gli operai generici guadagnano di più XD.
Questa è una professionista ma viene pagata come una non professionista.
È poi si stupiscono che i giovani Giapponesi siano disinteressati nell'entrare nel settore dell'animazione, stipendi indecenti persino per i professionisti.
Rendere meno conveniente lo sfruttamento sarebbe una soluzione più sensata, riducendo costi e burocrazia che in Giappone sono pari se non superiori ai nostri, fermo restando che situazioni del genere non potranno mai sparire del tutto.
purtroppo in legislazione su diritti del lavoro il Giappone è indietro di mille anni, e non mi aspetto che sia proprio questo governo a volerci mettere male. Parliamo di una premier che si vanta di dormire 3 ore a notte, ho detto tutto.
Lagnanze su burocrazia e pirateria sono le solite che prenditori gretti usano per pagare il meno possibile e rispettare nulla, con artisti di fatto operai-schiavi di una catena.
Il liberismo è sempre fallito e finito in guerre razziste.
Sono gli sfruttati che devono unirsi e coinvolgere altri per imporre un cambio di rotta e il rispetto per sè, spostare il conflitto all'interno, sennò dall'alto li prendono solo in giro.
purtroppo proprio questo aspetto dell'unione di lavoratori o sfruttati è proprio ciò che in Giappone è storicamente mancato, dalla modernizzazione nazionalista che ha seguito l'epoca Meiji si è passato a uno stato fondato e ispirato dal liberismo più conservatore statunitense dove lo spazio per le organizzazioni dei lavoratori è pressoché inesistente, figuriamoci in un settore "recente" e con dimensioni "ridotte" delle aziende come l'animazione. Non esiste un collettivo a cui rivolgersi per esprimere proteste o rimostranze, solo sfoghi personali con il rischio di essere licenziati e facilmente sostituiti.
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