Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Continuiamo oggi il "ciclo" delle recensioni manga molto corpose. La scelta è caduta su Cat Street di Youko Kamio e su La Fenice di Osamu Tezuka

Per saperne di più continuate a leggere.


10.0/10
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Cat Street colpisce. Tira dritto al punto e ci arriva, oh se ci arriva!
È come un pugno nello stomaco, una fitta al cuore e una spina nel fianco, tutto questo insieme e molto altro ancora. Il lettore non sa bene cosa pensare, non può pensare o riuscire a far altro che non sia tenere il passo e seguire il filo di pensieri dei protagonisti, immergersi nel sofferto accanimento con cui si autodistruggono e il loro crudele disfattismo, l’opera di demolizione cui sottopongono sé stessi e la loro quotidianità. Può e deve piangere insieme a loro, ridere, commuoversi, rallegrarsi o intristirsi. Immedesimarsi diventa quindi non solo qualcosa di obbligatorio, ma necessario e di una facilità disarmante ed il perché è semplice. Non c’è bisogno di concentrazione o di qualsiasi altra cosa che non sia predisposizione a dedicare un tot di tempo alle vicende dei “Leggendari Quattro”.

Ci si trova catapultati in una realtà che troppo spesso viene dimenticata e relegata in un angolo, quella dei “gatti di strada”, ragazzi che non sanno cosa sia la vita e cosa farsene, come servirsi del loro presente e non pensano al loro futuro se non come a qualcosa di oscuro e spaventoso, persone disconosciute dal resto del gruppo e considerate strambe nella loro non voluta a volte, tanto meno desiderata, antisocialità. Occupare il tempo quando non si ha nulla o non si vuole aver nulla da fare e non si può occuparlo in alcun modo, diventa un problema insormontabile. Qualcosa di seccante, ma che non turba più del dovuto la tranquilla monotonia del trascinarsi un giorno dopo l’altro, mese dopo mese e costringersi a compiere quelle minime azioni cicliche che permettono di definirsi ancora umani, che fanno capire di essere ancora vivi a detta delle apparenze e che spingono a continuare a fuggire dal ricordo doloroso del passato, la paura che perseguita e indice a rifugiarsi nell’oscurità più completa, nel totale isolamento, in una vita che non è vita.
Camminare tra le persone in mezzo alla strada senza vederne i volti, respirare senza sentire profumi, vedere senza osservare ciò che si ha intorno, colori, odori, suoni vuoti... Si è in un bozzolo ovattato, al sicuro forse, ma non al caldo. C’è quel freddo imperituro che tortura e le occhiate malevoli che filtrano e strisciando come serpi raggiungono stritolando tra le loro spire gelide. Il freddo di chi non riesce più a sentire il calore del sole che brilla sulla propria testa, non sa cosa sia un sorriso e lo scampanellio di una risata, di chi ha dimenticato come era prima che quel qualcosa che lo ha sconvolto e turbato accadesse, chi non sa o non vuole sapere cosa ha perso.

Spiazza, è un sorprendersi continuo di riconquiste, sentimenti che non si credeva più di poter provare, la sensazione di esser venuti di nuovo al mondo, di essere usciti da quel grembo sterile che nulla aveva in comune con quello materno, una rinascita, una felicità e una ricerca della felicità che non ha fine. Alla riscoperta del mondo e di stessi, di quei sogni nel cassetto e castelli in aria gettati nell’oblio e ora riportati alla luce. Il tutto senza la minima costrizione, un passo alla volta, incerti e malfermi, ma forti della propria decisione e del desiderio di riaprire gli occhi ed alzare il mento fieri di quel che si è e mostrare la testa al cielo orgogliosi.
Esiste un posto dove tutto questo è possibile, dove voler essere liberi non è sinonimo di eccentricità, il mutismo non è sintomo di poca intelligenza e neanche la loquace vivacità diventa un problema, dove il tempo non è troppo da colmare ma, al contrario, diventa troppo poco e le sere da trascorrere una volta a casa lunghe, l’alba lontana...

Quest’Isola che non c’è che accoglie Bimbi Sperduti dagli occhi selvatici e i modi bruschi, vagabondi e solitari è l’El Liston, un luogo accogliente e ospitale con un direttore alla Santa Claus, che spesso inizialmente viene frainteso nelle sue intenzioni e scambiato per un pervertito. Una curiosità che riguarda il nome della scuola è una coincidenza che ho scoperto esistere tra esso e una locuzione veneta “fare el liston”, che significa appunto "passeggiare per la piazza" e trova un riscontro perfetto con quella che è l’essenza stessa della scuola e il presupposto che ne fa da motore. Qui l’autogestione diventa un privilegio, l’autonomia una scelta, la diversità un talento, le capacità di ognuno doni di Dio, siano esse comprese o meno.

Su questo sfondo di benefica tolleranza, disponibilità e apertura, la vita di Keito, ex bambina attrice, dopo sette anni di reclusione nelle ombre della sua stanza e nei propri timori inconfessati sembra mutare quando, ormai sedicenne, incontra Rei, ragazzo della sua stessa età che ha abbandonato una brillante carriera professionistica come giocatore di calcio.
Si intreccia a quella di Momiji, ragazza dalla personalità solare e allegra, nonché un po’ manesca, che ama vestirsi in modo appariscente con abiti che si cuce e confeziona da sé, e Kouchi, mago dei computer e con un Q.I. altissimo.
Intraprende una via di cambiamenti e scelte, un cammino dove la luce sembra risplenderle intorno e non attraversarla, in mezzo a persone e amici che la capiscono e non la biasimano, dove non si è mostri né soli, ma uniti perché simili, anime affini, gemelle nella loro emarginazione.

L’introspezione è egregia, la resa dei personaggi e delle loro reazioni brillante, situazioni suggestive e coinvolgenti, disegni accurati nella loro semplicità e “trasparenti”, in cui i volti diventano specchi dei sentimenti. Una sottile e struggente malinconia, una nostalgia agrodolce che trapela da ogni pagina arrivando al lettore in tutta la sua toccante pienezza.
Cat Street è uno dei migliori manga che abbia mai letto e non posso far altro che consigliarlo con caloroso affetto a ognuno. Una lettura da non perdere assolutamente, emozionante e commovente come poche, un pianto e un sorriso indulgente e ininterrotto, soprattutto per chi ha un’indole sensibile e sentimentale.



10.0/10
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"La saga <i>La Fenice</i> parla della persistenza della vita in ogni momento, ma racconta anche la storia del suo creatore, e del Giappone moderno. È una storia di scoperta, sviluppo, distruzione, reinvenzione, e della determinazione a vivere al massimo ogni singolo minuto."
(Helen McCarthy, da Icon: Osamu Tezuka, il dio del manga)

<b>Storia</b>
Nel 1954 su <i>Manga Shonen</i> apparve un fumetto a puntate chiamato <i>Hi no Tori</i>, ispirato alla leggenda della Fenice ed al cartone animato russo del 1947 <i>Il cavallo matto</i> di Ivan Ivanov-Vano. A causa della chiusura della rivista venne però interrotto dopo soli otto episodi.
Nondimeno a Tezuka questa idea piaceva molto e quando nel 1956 la rivista <i>Shojo Club</i> lo contattò perché scrivesse una nuova storia sulla scia del successo ottenuto dalla <i>Principessa Zaffiro</i>, pensò di riutilizzare il medesimo soggetto.
I tre racconti che furono prodotti parlano di un principe egiziano e di una schiava che bevendo il sangue dell'Uccello di fuoco ottengono tremila anni di vita e che attraverso una serie di reincarnazioni vengono destinati ad incontrarsi ed innamorarsi continuamente l'un l'altra.
Per nostra fortuna la cosa non terminò qui e Tezuka decise di utilizzare la Fenice per creare un'opera che coprisse l'intera storia dell'umanità. Iniziò così a riorganizzare quel suo primo racconto a puntate e lo pubblicò su <i>COM</i>, rivista da lui stesso fondata, nel 1967.
L'<i>Alba</i> divenne così il primo capitolo ufficiale di quella che Tezuka disse poi di considerare il lavoro della sua vita e venne seguito negli anni successivi da altre storie. Nel 1973 però <i>COM</i> fallì e a Tezuka venne proposto di continuare a pubblicare <i>La Fenice</i> su <i>Kibo-no-Tomo</i>, ma lui ritenne che i temi trattati in quest'opera fossero troppo complicati per essere pienamente compresi dai suoi giovani lettori, così al suo posto propose <i>Budda</i>, una biografia romanzata della vita di Siddharta.
Nonostante questo, e pur essendo sempre oberato da numerosissimi incarichi, continuerà a scrivere nuovi episodi di <i>Hi no Tori</i> fino alla morte, testimoniando quanto per lui fosse importante questa saga.

<b>Trama</b>
Le diverse storie di cui si compone la Fenice si possono distinguere in due filoni fondamentali: quello storico e quello fantascientifico.
Tezuka le scrisse alternandole l'una all'altra e facendole avvicinare temporalmente sempre più tra loro. Se infatti l'<i>Alba</i> (i primi due volumi) ci parla delle origini preistoriche del Giappone ed il <i>Futuro</i> (il terzo volume) dell'ultimo giorno della specie umana, i racconti storici successivi avanzano cronologicamente rispetto ai precedenti, mentre quelli fantascientifici retrocedono sempre più nel tempo. In questo modo l'autore aveva intenzione di arrivare a parlare del presente, chiudendo il ciclo di quest'epica cosmica con ciò che gli stava più a cuore, ovvero i problemi della sua epoca.
La morte gli impedì di portare a termine questo progetto e tuttavia il <i>Sole</i>, pubblicato postumo, rappresenta nondimeno un finale ideale. In questo infatti ci viene presentata una storia in cui il protagonista nel 663 d.C. sogna il suo alter ego che agisce nel futuro, e quindi un racconto che unisce i due filoni chiudendo a modo suo il ciclo.
Questo libro ha poi anche un'ulteriore particolarità rispetto agli altri: qui non è presente quella de-mitizzazione che si ritrova in quelli precedenti. Gli esseri mitologici e gli dei della tradizione Giapponese, che in precedenza venivano interpretati da esseri umani, nel <i>Sole</i> si manifestano in un numero e in una quantità di forme infinite, a cominciare dallo stesso protagonista, un uomo-lupo molto sui generis.
A dire il vero già negli <i>Esseri Fantastici</i> le creature mitiche erano stati rappresentate nella forma che imponeva loro la tradizione, ma per farlo Tezuka era ricorso ad un escamotage che in qualche modo giustificava la loro presenza. Al contrario nel <i>Sole</i> non è data alcuna spiegazione per la loro esistenza se non il fatto stesso che esistono.

<b>Temi principali</b>
I temi che tratta <i>La Fenice</i> sono davvero numerosi, ma il principale è senza dubbio il rispetto e la dignità della vita di tutte le creature del cosmo. Certo molti altri fanno la loro comparsa tra le sue pagine, eppure tutti (il pacifismo, il problema della vita artificiale, rappresentato da vari robot ed esperimenti genetici, la vanità degli uomini, l'amore, l'odio, la redenzione e molti ancora) derivano essenzialmente da questo.
Innegabile è poi la forte influenza che il pensiero buddista ha avuto su tutta l'opera, tanto che alcuni libri sono in larga parte dedicati all'analisi della trasformazione del buddismo dal punto di vista storico. Palese è la critica contro la decadenza dilagante tra i monaci ed i templi che si fanno invischiare negli affari mondani e desiderano acquisire un potere temporale tradendo così la loro vocazione spirituale. Il culmine di tutta questa invettiva è forse la scelta del bonzo Rôben di diventare un budda vivente (Sokushinbutsu) nel <i>Mito</i> (volumi 5 e 6).

<b>Personaggi</b>
Nonostante l'elevatissimo numero di personaggi, tutti ottimamente caratterizzati, che popolano i mondi della <i>Fenice</i> nessuno riesce ad elevarsi al di sopra degli altri e questo, a dispetto di ciò che potrebbe sembrare, è un grandissimo pregio. Il vero protagonista di <i>Hi no Tori</i> è infatti quello che ognuno di questi attori lascia con la propria storia a chi legge, un tema su cui Tezuka ha sempre insistito e che ho già ricordato poc'anzi: il rispetto e la dignità di ogni vita.
Nonostante quanto ho scritto ci sono però due personaggi che nella visione d'insieme dell'opera riescono a distinguersi dagli altri, se non altro perché compaiono entrambi in quasi tutti i libri. I due a cui mi sto riferendo sono Saruta e, ovviamente, l'Uccello di fuoco.

Per quanto riguarda la Fenice i ruoli che assume sono molteplici (può anche cambiare forma), a volte addirittura non appare che per poche vignette nell'intero racconto, eppure ogni sua manifestazione resta estremamente significativa ed il messaggio che lanciano le sue parole chiaro ed incisivo. Ma questo non significa che l'incontro con questa creatura sia necessariamente un fatto positivo, anzi, spesso si rivela essere una maledizione.
La Fenice sa essere estremamente gentile così come tremendamente crudele, ma non è un dio, non interferisce negli affari del modo se non strettamente necessario, è piuttosto la rappresentazione della volontà dell'universo, l'animale cosmico, Cosmozoon, come viene chiamato nel film del 1980 a lei dedicato.
L'Uccello di fuoco resta un personaggio dannatamente ambiguo, e forse per questo così affascinante.

Dall'altra parte della barricata c'è Saruta, forse colui che meglio rappresenta l'umanità: intrappolato in un tragico destino è costretto a scontare le colpe commesse in un'altra vita (o in un altro libro) con una serie di sofferenze apparentemente senza senso. Saruta è in balia del suo karma che, pur con molte fluttuazioni, resta in linea di massima negativo.
Nonostante il lettore sia molte volte portato a parteggiare per lui ci si deve rendere conto che la pesante ombra che Saruta si porta dietro e di cui non riesce a liberarsi è la stessa che l'umanità, con i suoi ripetuti sciocchi errori, guarda indolente proiettarsi sul suo futuro.
Il pessimismo sulle sorti dell'umanità incarnato da questo personaggio è davvero sconfortante, l'altra faccia della medaglia della speranza di cui è portatrice la Fenice.

<b>Disegni</b>
Per i disegni della <i>Fenice</i> Tezuka utilizza il suo classico tratto morbido e disneyano, gag incluse, che si adatta perfettamente a questo tipo di opera. A dire il vero in alcuni racconti è leggermente più realistico che in altri (penso al <i>Libro della Vita</i>, che tra l'altro rielabora una storia scritta nel 1967, <i>Uomini, riunitevi!</i>), ma in linea di massima resta sempre sugli stessi livelli.
Ma la cosa fondamentale da notare è il magistrale utilizzo di tecniche cinematografiche di cui Tezuka fa uso lungo tutta l'opera e la presenza di un gran numero di invenzioni grafiche. Molte sono notevoli, ma in particolare una mi ha colpito: dei soldati nel <i>Libro della Guerra civile</i> che uccidendo degli innocenti fanno a pezzi assieme a loro anche la vignetta in cui si trovano. Detta così pare una stupidaggine, ma pensandoci un po' su ci si accorge che è la stessa identica cosa che ha fatto Lucio Fontana con i suoi tagli sulla tela. Ma a differenza delle opere di quest'ultimo, che non sono che una provocazione fine a se stessa (efficace certo, ma puramente intellettualistica), il gioco visivo di Tezuka è inserito in un contesto ed assume un significato importante.
La vignetta che si spacca, il mondo del manga che di fronte ad una così assurda crudeltà si lacera e si unisce al nostro, sottolineano ed amplificano enormemente un'ingiustizia sostanziale, quasi rivolgendo al lettore una precisa domanda: ti sembra giusta una cosa del genere? Sta ben attento perché questo non accade solo qui dentro ma anche fuori lì da te.

<b>Edizione</b>
L'edizione con cui Hazard ci porta in Italia <i>La Fenice</i> è abbastanza buona e rientra negli standard di questa casa editrice: sovracopertina, carta gialla con leggera trasparenza, numero di pagine per volume elevato, così come il prezzo che oscilla tra i 9.00 e 13.50 euro in ragione dell'ampiezza del libro in questione. Non che costi più delle altre opere di Tezuka nel catalogo di questo editore, tuttavia l'elevato numero di volumi la rende una spesa considerevole.
D'altro canto la Hazard commette una discreta quantità di errori questa volta: alcuni di adattamento, come il classico punto esclamativo al posto di quello interrogativo, la pagina 139 del volume otto stampata due volte (quella mancante,la 138, fortunatamente non essenziale ai fini della storia, è stata aggiunta al termine del nono volume), ma soprattutto la cosa più grave è che mancano delle note esplicative. O meglio nei ballon viene aggiunto un rimando che non rimanda a niente perché la relativa nota non si trova da nessuna parte.
Comunque una buona edizione in quanto queste sviste non intaccano il piacere della lettura, ma si poteva fare di meglio.

<b>Conclusioni</b>
Una volta c'era una parola, non proprio bellissima a dire il vero ma molto espressiva, che credo si adatti perfettamente alla <i>Fenice</i>: weltanschauung.
Già perché <i>La Fenice</i> è una di quelle opere che hanno la capacità di modificare la visione del mondo di una persona e questa, io credo, è una qualità rara. In campo letterario solo tre libri sono riusciti a farlo nel mio caso e <i>La Fenice</i> è uno di questi.
Ovviamente che questo accada a tutti quelli che decidano di leggerla è a dir poco improbabile, ma se anche non succedesse (e per molti sarà così) nondimeno vi troverete tra le mani un capolavoro della letteratura mondiale che, in un modo o nell'altro, vi lascerà sicuramente qualcosa.

<i>La Fenice</i> è davvero una lettura che consiglio senza remore a chiunque, soprattutto a chi ancora crede che il fumetto sia solo e necessariamente una maniera per farsi quattro risate. Il fumetto è un'arte non inferiore in alcun aspetto alle altre forme di letteratura, e di questo si era ben reso conto lo stesso Tezuka agli inizi della sua carriera, quando sulla copertina di Lost Word (1948) aveva scritto: <i>Questo non è un fumetto, è un romanzo.</i>