TKOE 1 The King of Eden riprende la storia dall’enjambement di Eden of the East e le si riallaccia con un’apocope, giocando con l’introduzione in medias res, espediente già utilizzato per la serie. La corrispondenza nei modi dei due incipit è uno dei tanti paralleli con la produzione tv, della quale il film è un’ανάλογον, nel bene e nel male.
Kamiyama infatti riconferma i suoi τόποι e le sue lacune. È capace di dare sostanza al discorso socio-politico intavolato dalla fabula; ha un approccio personale alle problematiche d’attualità a lui tanto care. Ma non sa gestire ciò che scrive. Kamiyama si ridimostra sceneggiatore e regista ancora bisognoso di una guida senza la quale si perde, perdendo il punto delle sue creazioni.

L’ex collaboratore di Oshii ha sempre palesato più o meno grandi difficoltà nella strutturazione e nella conduzione del racconto. Opera quasi euedrale, eccetto per il passo falso della conclusione, Seirei no Moribito sembrava l’ultimo gradino verso la maturità di un Kamiyama che invece, nel suo più recente progetto, è tornato a smarrire il bandolo della narrazione.
Così The King of Eden gira per troppe strade e la sempre spaesata Saki sembra metaforizzare in sé un film disorientato, quasi una prosopopea dei problemi del lungometraggio. Non è un principe evanescente – re dell’aria e forse a causa di ciò impalpabile – a reindirizzare il percorso, non sono le comparse vecchie e nuove a guidare l’intreccio che pare andare per conto proprio ripercorrendo vie già battute.

Con la sua grafica garbata – anche troppo – e con toni mai sopra le righe, The King of Eden avanza con stile verso il nuovo enjambement, inconcludente quanto la serie e più dispersivo nella propria durata minore. Mentre, per sua stessa ammissione, il primo Stand Alone Complex era stato un disegno preparatorio e il 2nd GIG l’affresco compiuto, qui Kamiyama non lima le mancanze seriali sfruttando l’esperienza acquisita con i primi 11 episodi di Eden of the East. A riconferma che l’evoluzione del secondo S.A.C. era dovuta al maestro e non all’ex ‘allievo di grandi speranze’, che si spera non resti tale in aeternitate. E che, del suo prediletto e pluri-citato J.D. Salinger, dovrebbe studiare attentamente Franny e Zooey.