Nono appuntamento con la rubrica mensile atta a presentare i migliori anime degli ultimi anni secondo l'utenza di AnimeClick.it. Ogni notizia prenderà in esame un'annata dell'ultima decade a partire dal 2009 (per il 2010 invece è ancora troppo presto, è necessario far passare del tempo in modo da far accumulare un numero sufficiente di recensioni). A corredo della classifica dei primi 30 titoli verrà presentata una rassegna di recensioni di alcuni dei titoli della classifica, partendo dalle prime tre posizioni del podio e poi a scalare, cercando di evitare i grandi blockbuster che non hanno certo bisogno di pubblicità. In chiusura d'articolo verranno infine presentate brevemente le recensioni apparse in vetrina ad opera dello staff del sito.

Buona lettura!

1 La città incantata* 9,128
2 Millennium Actress** 8,941
3 Hikaru no Go 8,333
4 Noir 8,308
5 Vampire Hunter D - Bloodlust 8,250
6 Fruits Basket 8,118
7 Detective Conan: Trappola di cristallo 8,111
8 Digimon Tamers 8,071
9 X (TV) 8,034
10 Argento Soma 8,000
11 Angelic Layer 7,909
12 Infinite Ryvius 7,889
13 Bible Black 7,857
14 Earth Girl Arjuna 7,800
15 Inuyasha - Un sentimento che trascende il tempo 7,750
16 Il principe del tennis 7,700
17 One Piece - Jango's Dance Carnival 7,636
18 Metropolis 7,619
19 Jungle wa Itsumo Hare 7,615
20 Animation Runner Kuromi 7,600
20 Arete Hime 7,600
20 Legend of Condor Hero 7,600
23 Figure+17 - Tsubasa & Hikaru 7,571
24 Project Arms 7,556
25 Cowboy Bebop the Movie 7,542
26 Grappler Baki 7,500
26 Moonlight Lady 7,500
28 Mahou Senshi Riui 7,455
29 Nekojiru-sou 7,444
30 Doredo Doremi 7,429


* 11° posto assoluto
** 22° posto assoluto

>>Tutti gli anime del 2001<<



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Chihiro, bambina di 10 anni, e i suoi genitori si stanno trasferendo in una nuova città; lei però non gradisce molto questa scelta. Mentre viaggiano in auto, si perdono, e il padre decide di prendere una scorciatoia lungo un sentiero di un bosco; dopo un breve tragitto la famiglia arriva a quello che sembra essere un parco di divertimenti abbandonato. Incuriosito, il padre guida la famiglia attraverso un tunnel, per trovare una città deserta ma con tantissimi chioschi pieni di cibo appena sfornato; i suoi genitori si servono, ma Chihiro preferisce evitare. Si mette quindi a esplorare la zona e incontra un ragazzo di nome Haku che la avverte che è pericoloso restare lì, e le consiglia di scappare con i genitori. Quando la piccola torna da loro, scopre con orrore che sono diventati maiali, e che l’unica strada per andarsene è ora diventata un fiume; intanto è calata la notte, e degli spiriti appaiono nel parco. Chihiro è disperata, ma sarà aiutata da Haku, il quale le spiega che se vuole salvare i suoi genitori dovrà trovare un lavoro presso il bagno termale degli spiriti.
Inizia così una grande avventura in un magico e coloratissimo mondo popolato da creature di ogni tipo, come ragni antropomorfi, palline di fuliggine, ranocchi parlanti, teste rotolanti, vecchie streghe, bebè giganti, uccelli di carta, dragoni...

L’onirico viaggio che Chihiro compie nel mondo degli spiriti altro non è che la metafora della sua crescita: da bambina viziata e piagnucolona diventerà autonoma, coraggiosa, giudiziosa, in grado di occuparsi di se stessa e degli altri, quindi adulta.
Lei viene separata da tutto ciò che conosceva, tanto che persino il nome le viene sottratto: quindi Chihiro perde la sua identità, ma non “scompare”, infatti “rinasce” come Sen. E' fondamentale però che non dimentichi il suo passato, il suo essere stata bambina. Da adulta deve quindi vivere una nuova vita, con ritmi completamente diversi; deve impegnarsi duramente, superare tutte le sfide che le si presentano: dal trovare un lavoro, allo svolgerlo bene, al farsi accettare da tutti i dipendenti delle terme, al farsi degli amici. Questo film è quindi anche un inno all’amicizia e all’amore, perché se Chihiro (poi Sen) non fosse stata aiutata da Haku, da Kamaji, da Rin e dagli altri spiriti non ce l’avrebbe mai fatta.
Non può mancare in ogni film di Miyazaki la tematica del rispetto della natura, infatti vengono mostrate, attraverso lo spirito più brutto e pestilenziale di tutti, le terribili conseguenze dell’inquinamento dei fiumi, che spesso e volentieri si trasformano in vere e proprie discariche.

Il personaggio più interessante è Senzavolto, uno spirito/fantasma solitario dalla massa informe nera che indossa una maschera bianca. E' paradossale che abbia questo nome, perché egli in realtà ne ha due di facce o personalità: all’inizio è educato, gentile, schivo, silenzioso, e offre a tutti qualcosa; successivamente cambia atteggiamento e diventa vorace e aggressivo, e non esita a ingoiare tutto ciò che gli capita a tiro, esseri viventi inclusi. E' quindi la rappresentazione della golosità dell’uomo spinto sempre all’eccesso, tanto che quando è nella seconda forma è un mostro enorme e grottesco.
Sembra quasi che reagisca agli atteggiamenti di chi incontra, infatti quando fa dei doni a Sen rimane pacato perché lei accetta solo quello che le è strettamente necessario, e non altro; invece quando incontra degli spiriti avidi lo diventa anche lui: c’è qualcosa di pirandelliano in questa creatura, perché come lo scrittore siciliano affermava che ognuno di noi ha una maschera diversa a seconda di chi ci giudica, allo stesso modo Senzavolto cambia in base a come sono accettati i suoi doni. Quindi questo enigmatico personaggio ha infiniti volti, ma nessuno che gli appartenga, perciò un vero volto non ce l’ha. Lui non è altro che il riflesso del carattere della persona che approccia, e siccome nel mondo ci sono persone diverse, nel film viene posta l’attenzione su due modelli opposti, ovvero quello di una Sen educata e gentile (infatti la bambina lo aveva fatto entrare nelle terme perché fuori pioveva a dirotto) e quello delle persone avide, golose, approfittatrici, malvagie.

“Sen to Chihiro no kamikakushi”, questo il lungo e complicato titolo originale, è secondo me un film bellissimo adatto a un pubblico di ogni età; è ovvio che abbia vinto il premio Oscar.


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Millennium director

Dopo un fulminante esordio con "Perfect Blue" (1997), Satoshi Kon firma il soggetto originale, la sceneggiatura con Sadayuki Murai, il chara-design con Takeshi Honda e naturalmente la regia di "Millennium Actress", lungometraggio del 2001 targato Madhouse.
Con questa sua nuova creatura il cineasta di Kushiro mette da parte i toni cupi del thriller per regalarci una piccola, grande epopea imbevuta nell'iconografia della cultura e della tradizione giapponese.

In seguito alla demolizione dei suoi vecchi studios, un nostalgico film-maker (Genya Tachibana), fervente ammiratore di una gloriosa stella del cinema ormai tramontata (Chiyoko Fujiwara), decide con il suo cameraman (Kyōji) di andare a trovare l'anziana attrice, allo scopo di farsi rilasciare un'intervista da inserire in un documentario a lei dedicato. Sarà l'inizio di un vorticoso viaggio su e giù nelle spire del tempo seguendo le tracce degli antichi fasti e di un perduto amore. Genya, totalmente ammaliato, si lascerà trasportare empaticamente dal racconto della donna che finirà per confondere le sue esperienze personali con le trame dei suoi film in un flusso freudiano di pensieri che si materializzano sullo schermo sul filo dei ricordi.

La tesa e intensa sceneggiatura prende vita in una sorprendente messa in scena: innescando il corto circuito di film nel film, il regista ci presenta un excursus di storia del cinema che si svolge davanti agli occhi dello spettatore in un turbine di immagini dove finzione e realtà si fondono in un continuum narrativo.
"Millennium actress" è anche un suggestivo spaccato sui set delle produzioni cinematografiche scrutati dall'interno con sguardo appassionato e autoironico. In questa chiave lo si può accostare al grande classico "Il viale del tramonto" (1950) di Billy Wilder, in cui si criticano i cinici meccanismi e le stravaganze dello star system.
I personaggi sono magistralmente delineati: colpiscono la commovente dedizione di Genya, nella doppia veste di "addetto ai lavori" e fan sfegatato, il magnifico supporto di Kyōji, simpatica ed efficace spalla comica pronta ad alleggerire l'atmosfera con le sue uscite estemporanee, e ovviamente lo spessore della protagonista Chiyoko, una figura romantica e tragica, consumata dal ricordo e dall'eterno dilemma tra il disincanto di un amore impossibile e una vita dedicata all'arte.
Le scene e i costumi spiccano per la ricercatezza della ricostruzione filologica delle varie epoche, mentre il chara-design e le animazioni si attestano su un certo livello di realismo, salvo fugaci ma raffinatissime escursioni nella storia dell'arte giapponese in cui il tratto si fa elegante e stilizzato "alla maniera" dei grandi pittori Kitagawa Utamaro e Katsushika Hokusai.
Da menzionare l'intelligente uso della CGI, limitata alla fotografia e agli effetti visivi.
La soundtrack, a base di tastiere ed elettronica, tradisce il retaggio rock-progressive del compositore Susumu Hirasawa (ex P-model) e si fa notare per lo sperimentalismo e l'originalità del sound, uno stile unico e particolare che avremo modo di apprezzare anche in altre produzioni "koniane" quali "Paranoia Agent" e "Paprika".

"Millennium Actress" conferma la poliedrica creatività di Satoshi Kon, un talento visionario capace di attraversare generi diversi pur mantenendo intatta la sua brillante personalità e la sua peculiare cifra stilistica.


10.0/10
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Finalmente un anime che non mi sono stancato di seguire con passione dalla prima all'ultima puntata (ci sarebbe anche la puntata lunga fuori serie dove si decidono i partecipanti al torneo orientale di go tra Corea Cina e Giappone). Il collante della storia è la sfida e la continua messa in gioco delle capacità dei due protagonisti (con Hikaru metto anche Sai, che mi piace da morire - dove lo trovi un personaggio che si suicida per aver perso una partita di Go?): Shindou Hikaru e Touya Akira.
Quelli che all'inizio era scontri tra lo spirito di Fugiwara no Sai e i migliori giocatori di Go del Giappone, diventa un percorso di perfezionamento per Hikaru (tanto da generare l'invidia di Sai quando comprende il senso della sua permanenza al fianco del ragazzo), che vuole dimostrarsi all'altezza del suo avversario nello stesso modo in cui Akira cerca di dimostrarsi all'altezza di quello che crede Hikaru ma invece è Sai (mamma che giro di parole). Per farla breve è un vicendevole scambio di esperienze, non esiste nessun nemico e nessun fine ultimo (sarebbe limitante).
E' vero che comprendere le regole del Go non è indispensabile per apprezzare la serie, ma devo dire onestamente che è un gioco che non può non interessare (sempre meglio degli scacchi, per me).
Consigliato a tutti, belle le sigle e le musica (soprattutto la 4 ending che è la mia preferita, ma il video della cantante evitatelo), buone le animazioni (tranne in qualche episodio), interessanti le lezioni di Go della sensei Yukari (se avete seguito o avete intenzione di seguire l'anime in inglese del gruppo Elite Fansub).

Voto 10 la storia e 8 le animazioni

Guardatelo altrimenti vi mangio un piatto di tagliolini in testa, giuro! Comunque ne vale la pena, guardatelo!


10.0/10
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Kirika si sveglia in una stanza. In apparenza è una normale studentessa delle superiori: c’è la sua divisa scolastica, il suo tesserino da studentessa, foto che la ritraggono con quelli che dovrebbero essere i suoi genitori. Ma non ha memoria del suo passato. L’unica cosa che le è famigliare è una pistola che trova nella sua stanza e la melodia di un orologio.
Mirelle è un killer a pagamento a cui Kirika si rivolge per risolvere i misteri del suo passato. I suoi genitori sono stati assassinati quando era bambina e il suo più grande desiderio è scoprire chi li ha uccisi. Unico indizio, lo stesso orologio carillon di Kirika, la cui melodia la accompagna attraverso tutta la serie...

Noir sembrerebbe, in apparenza, un normale anime d'azione, ma è soprattutto un'anime psicologico. Già dalle prime battute delle puntate, che si aprono con la frase "Noir è il nome dell'antico destino, due vergini implacabili che regnano sulla morte. Possano le vostre mani nere sui campi verdi, proteggere la pace dei nuovi nati", comprendiamo che non ci troviamo davanti alla solita storia d'azione senza senso, ma ad anime pensato e molto più profondo di quanto ci si possa aspettare. Numerose sparatorie e un numero altrettanto alto di cadaveri si contrappongono a una limitatissima quantità di sangue visibile nella serie, quasi a voler far risaltare che gran parte dei personaggi non sono altro che pedine, nullità quasi. Non è un caso che l'unico sangue visibile è quello di Kirika e Mirelle, quasi a voler mettere in luce la loro "umanità".
Una colonna sonora di altissimo livello fa da cornice a una serie stupendamente strutturata e che è la punta di diamante della trilogia delle ragazze con le pistole della Bee Train. Un ritmo incalzante e ventisei puntate da unire come pezzi di un puzzle per capire il cuore della storia, fanno di quest'anime uno dei migliori nel suo genere. Assolutamente da vedere.


10.0/10
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La maledizione e il miracolo: sarebbe stato un ottimo titolo alternativo a quello scelto per quest'anime. Fruits Basket prende il nome, invece, da un gioco che Tohru faceva da bambina coi suoi compagni: a ognuno veniva dato il nome di un frutto e quando veniva chiamato il proprio ogni bambino doveva correre verso il centro in cui, immagino, era collocato il cesto che avrebbe dovuto raccoglierli. Puntualmente a Tohru veniva assegnato il nome "polpetta di riso": ma una polpetta di riso in un cesto di frutta non ha senso. Il suo nome allora non veniva mai chiamato. Era solo un'espediente per emarginare una ragazza che non appariva simpatica: lei restava lì seduta a guardare i suoi compagni giocare. Fruits basket ci parla di come anche lei sarà in grado, una volta cresciuta, di evocare un cesto in cui trovare il suo posto.

La maledizione e il miracolo dicevo. La maledizione dei Sorah, molto simile a quella di Ranma e soci, trasforma i membri della famiglia negli animali dello zodiaco cinese nel caso in cui venissero abbracciati da persone del sesso opposto (come faranno a riprodursi? Mistero). Rispetto a Ranma 1/2 qui non troviamo personaggi che vivono la loro sorte spensieratamente, ma ogni membro soffre di una serie di traumi psicologici dovuti alla loro particolare condizione; la sorte poi è stata particolarmente severa con chi nasce sotto il segno del gatto, che deve sopportare ben due maledizioni e allo stesso tempo non è nemmeno ammesso all'interno dello zodiaco.
A questo punto arriva il miracolo: la guarigione. Non quella del corpo, ovviamente, ma quella, ben più importante, dell'anima. Nella vita dei Sorah entra, cioè, in scena Tohru che, talvolta vincendo le loro resistenze, curerà le ferite lasciate dal tempo e li indurrà a una più benevola accettazione del proprio destino. Ognuno di essi, udendo il proprio nome pronunciato con gioia, accetterà di entrare nel cesto di frutta che Tohru sta creando.

Se non s'era capito quest'anime m'è piaciuto tanto, ma proprio tanto. Qualcuno dirà che non è molto originale, ma l'originalità spesso va ricercata nei particolari più che nella storia in sé. I personaggi della storia sono inizialmente emarginati, per destino o per natura, dalla società e lo resteranno fino alla fine: non c'è riscatto per loro. Riusciranno però a crearsi un microcosmo dove riusciranno a vivere e a essere felici tutti insieme.
Quanto alla necessità di dargli un seguito, sinceramente, non sono convinto. Certo ci si affeziona ai personaggi, ma perché rischiare di rovinare una storia così bella?


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"Infinite Ryvius" è il primo, sconvolgente capolavoro di Goro Taniguchi, giovane regista Sunrise che proprio con quest'inquietante lavoro entrerà fulmineamente nell'empireo dell'animazione, dopo l'aiuto-regia di "Gasaraki" e il primo film di "One Piece" ("Defeat the Pirate Ganzak!"). Assorto a opera di puro culto per gli amanti della fantascienza realistica e palesemente ispirato al leggendario "Signore delle Mosche" di Golding, l'anime è un tetro viaggio nell'oscurità dell'animo umano.

Tutto è vissuto dagli occhi del sedicenne Kouji: felice di essere stato ammesso al Liebe Delta, dopo la catastrofe il ragazzo diverrà una delle massime cariche nel governo sorto nel Ryvius e potrà così osservare, dalla sua posizione privilegiata, come gradualmente iniziano a crearsi conflitti tra ragazzi dovuti all'impossibilità di adeguarsi al sistema sociale imposto. Abbiamo quindi Aoi, sua innamorata amica d'infanzia; Faina, misteriosa ragazza da lui salvata e dal passato oscuro; Ikumi, il migliore amico dal temperamento caldo e facilmente portato all'estremismo; Yuki, il fratello minore che lo odia; la gang di Blue, turbolento teppista che mira a prendere il potere con un colpo di stato; tutta la crew degli Zwei (i piloti che comandando il Ryvius)... Il cast è enorme: oltre 35 personaggi ottimamente caratterizzati si contendono il protagonismo in una storia cupa e drammatica, di amore, amicizia, odio, orrore e violenza, con un altissimo numero di sotto-trame scandite da una suspense esemplare.

Per essere un'opera drammatica "Infinite Ryvius" ha una partenza insolitamente solare, con atmosfere scanzonate ritmate dalla OST hip-hoppara e un accattivante, colorato e super-semplicistico tratto nei disegni di Hisashi Hirai. Tutte impressioni: ironicamente saranno proprio questi aspetti "infantili" che decreteranno il grande elemento di sorpresa della serie, dato da questi ragazzini dai look sgargianti che arriveranno a usare violenza o addirittura a uccidere i propri simili per soddisfare i loro istinti più bassi. Lo shock dato dal cambiamento repentino di atmosfere rimarrà alla memoria come l'aspetto più geniale e crudo dell'anime, ma sarebbe ingeneroso ricordare questa serie solo per le atmosfere cupissime, perché in essa troviamo numerosissimi spunti filosofici e di riflessione.

Lo spunto dei ragazzi lasciati completamente soli ad autogovernarsi, in una realtà apparentemente senza speranza e privi di nucleo familiare, è l'occasione dello sceneggiatore Kuroda per parlarci di un'obbligata e veloce maturazione: il viaggio sul Ryvius simboleggerà per loro l'abbandono della giovinezza, la necessità di diventare adulti il prima possibile (il sapersi prendere le proprie responsabilità) e la scoperta del sesso, ma anche la superstizione, il fanatismo, l'egoismo e l'invidia. Il governo sorto sul Ryvius continuerà a cambiare fisionomia in vista dell'impossibile adattamento a esso da parte di tutti i giovani, attraversando più stadi per arrivare dalla democrazia all'autoritarismo. Ryvius è un'intelligente analisi sociologica, la documentazione di un esperimento politico visto nella continua ricerca, da parte dell'élite del "governo" dell'astronave, di sapere coniugare i propri ideali con la durezza della realtà, quella data dai vizi insiti nell'animo umano che possono mettere in pericolo la legittimazione del contratto sociale.

Tutto questo è orchestrato dall'abile regista del maestro della suspense Goro Taniguchi, che si sbizzarrisce in tutti quelli che saranno i tratti distintivi del suo modo di dirigere: rimaneggiamento, quasi a ogni episodio, delle immagini della sigla iniziale; presentazione calma e spigliata dei personaggi nel primo arco di serie, per poi accelerare bruscamente a metà serie verso lidi cupi e apocalittici; l'esperimento, mai più ripetuto, di trattare alcune sequenze con l'ausilio di illustrazioni.

Tecnicamente adagiato sui soliti ottimi standard animati Sunrise, avvincente e depositario di numerose chiavi di lettura, "Infinite Ryvius" è una signora opera che merita la visione da parte di chiunque, un debutto al fulmicotone che proietterà meritatamente il suo regista nell'olimpo dei migliori maestri di animazione nipponica. Unici difetti recriminabili sono riconducibili all'insignificante puntata finale (un epilogo che non aggiunge nulla) e alla saltuaria, esagerata complessità della storia, che non cerca minimamente di spiegare il background fantascientifico, bisogna arrivarci da soli; ma sono veramente di poco conto in rapporto alla stimolazione intellettuale che fornisce l'opera.


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Earth Girl Arjuna è un anime profondo – molto profondo – e pieno di significato. Presentandosi inizialmente come accusa contro gli sprechi del capitalismo, l’inquinamento deliberato, e contro il sistema mondo in generale(paesi industrializzati, ovviamente), sfocia infine in una riflessione filosofica più ampia e – credo che si possa definirlo così – una sorta di panteismo naturalistico. Il tutto trattato con innocenza e semplicità; con una limpidezza esemplare che svela in modo sconcertante l’abominio che ci circonda, e al quale siamo così abituati da ignorarlo come se fosse scontato, facendolo con una ovvietà scioccante. E in quest’opera non c’è niente di scontato o banale. Ogni parola, ogni immagine, ogni suono, è essenziale; è necessario. Il comparto audio è ineccepibile: rumori vividi, onnipresenti, quasi come se parlasse la voce stessa della Terra, e musiche ispiratissime, suggestive e toccanti della solita, immensa Yoko Kanno (santa subito! – con Kenji Kawai, si capisce). Meno riuscita la parte supereroistica e le sequenze in computer graphic, ma questo è il meno e comunque nel complesso di poco conto. Disegni e animazioni che ricordano molto quelli di Lain, e quindi a tratti approssimativi e un po’ imprecisi, tuttavia compensati da una regia decisamente ispirata, che cadenza perfettamente il ritmo della narrazione (non la fa addormentare ma nemmeno la rende schizofrenica), e che coglie inquadrature, luci e situazioni davvero notevoli. Un messaggio di grande saggezza, di grande innocenza, ma soprattutto di grande disperazione. Un grido di dolore venato di malinconia, ma che contiene ancora un filo di speranza, – forse l’ultimo grido; perché poi non si torna più indietro.


9.0/10
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Da un'idea di Osamu Tezuka ecco uno dei migliori film d'animazione fantascientifici realizzati all'alba del nuovo millennio.
La storia è liberamente ispirata ad un altro celebre "Metropolis", film muto della prima metà del '900 che ha radicalmente cambiato (creato?) la storia del cinema di fantascienza.
Grazie al lavoro di due mostri sacri come Rin Taro e Katsuhiro Otomo, qui il lavoro di Tezuka, oltre alla denuncia politica presente anche nel film originale, riesce a costruire una ricca trama di intrighi e di sentimenti che arricchisce a dismisura i contenuti dell'opera. Nel miglior stile nipponico, a scene di azione frenetica si alternano fasi di riflessione mai banali e mai sterili, con un occhio sempre rivolto all'evolversi delle vicende in vista del finale. Impossibile non farsi coinvolgere da Tima, la vera protagonista di quest'anime, che con il suo ultimo "Chi sono, io?" vi stringerà il cuore.
Tecnicamente il lavoro è da applausi: tutti gli elementi, dalla regia alle animazioni, sono curati nei minimi dettagli e basterebbero da soli a reggere l'intero peso dell'opera. Unica nota controversa potrebbe essere il character design: gli estimatori del tratto di Tezuka (tra i quali mi inserisco anch'io) lo ameranno di certo e non avranno problemi; tuttavia si tratta pur sempre di uno stile un po' inconsueto, soprattutto ora che le scelte grafiche degli autori di manga sono radicalmente cambiate, e potrebbe risultare sgradito ad un certo pubblico, in modo particolare quando si accosta al super-futuristico stile della computer grafica presente nel film.
La colonna sonora è eccellente: mai invasiva ma di grande sostegno, caratterizzata inoltre da alcune felicissime scelte (rimarrete sgomenti quando sentirete partire, in una delle sequenze finali, un'inconfondibile "I can't stop loving you...": da brividi).
Anime da vedere assolutamente, non solo per i patiti del cinema di fantascienza, ma anche per chi abbia semplicemente voglia di assistere ad uno spettacolo unico e stupefacente.


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Grappler Baki, questo il titolo dell’opera diretta da <i>Hitoshi Nanba</i> e ideata da <i>Keisuke Itagaki</i> che andrò ad analizzare.
A questo brand, nato nel 1991, appartengono tre serie manga: oltre appunto alla prima serie omonima, ci sono poi “New Grappler Baki” del 1999 e “Hanma Baki” del 2005, quest’ultima ancora in corso di pubblicazione in patria. Come trasposizioni animate, contiamo: un OAV dal titolo “Ultimate Fighter” del 1998, e le due successive serie “Baki The Grappler” e “Maximum Tournement (Seidai Tournement Hen)”, queste ultime, entrambe prodotte nell’anno 2001. Seppur abbastanza articolato, l’universo Baki è poco famoso nel nostro paese e, a differenza di Inghilterra ed Australia, risulta ancora inedito in tutte le sue forme e derivazioni.
Ciò che mi appresto a recensire è la prima serie animata, la parte di saga in cui lo spettatore fa la conoscenza del mondo violento e ai limiti del disumano in cui i vari personaggi si muoveranno, per un crescendo di rabbia ed emozioni al cardiopalma.

Protagonista indiscusso della storia è <i>Baki Hanma</i>, ragazzino di tredici anni, dall’indole aggressiva e dal passato pieno di interrogativi. Baki vive da solo in una casa fatiscente, egli è bersaglio continuo delle calunnie delle bande del suo quartiere, che vorrebbero vederlo morto a causa dei ripetuti pestaggi a cui spesso questi vengono sottoposti. Baki è un teppista, un amante delle risse, un letale lottatore figlio della strada. Sì, “figlio della strada”, dato che sua madre lo ha lasciato al suo destino di scontri e battaglie, nella speranza che si accenda in lui quella scintilla di demoniaca follia, degna di suo padre: <i>Yujiro Hanma</i>, figura avvolta in un tenebroso mistero.

Nel percorso che lo porterà faccia a faccia con il suo passato, Baki forgerà il suo spirito di guerriero nel sangue, fronteggiando i lottatori più forti ed esperti delle più disparate arti di combattimento. L’obiettivo di Baki è quello di diventare il grappler - ossia, colui che padroneggia diversi stili di lotta - migliore del mondo, di diventare semplicemente invincibile.
I vari personaggi che si frapporranno tra Baki e il suo destino saranno molteplici, tutte personalità spiccate e temibili, ma pochi saranno quelli che si faranno veramente ricordare. Una delle varie pecche di questo anime è quella della quasi totale assenza di approfondimento dei personaggi secondari; tranne in un paio di eccezioni, gli sconfitti da Baki si ritireranno nel dimenticatoio e faranno poche altre apparizioni degne di rilievo.

L’anime di Baki è come un picchiaduro d’altri tempi, in cui il protagonista inanella una serie di vittorie, più o meno difficoltose, prima di giungere al boss finale, con la differenza che quell’ultimo scontro pare non arrivare mai. Nel suo lungo percorso, però, Baki non sarà solo impegnato in addestramenti disumani e in combattimenti mortali, ma troveranno spazio anche tematiche più personali, sentimentali e legate alla sfera affettiva e familiare, il che restituisce all’opera un clima di apparente quotidianità. E’ tutta apparenza, come detto, perché questi momenti di riflessione e rapporti umani durano poco, giusto il tempo di una pausa tra un incontro e l’altro e, come se non bastasse, questi momenti vanno addirittura a nuocere sul climax dell’episodio, essendo mal gestiti e mal posizionati.

Insomma, sono molte le lacune che presenta questa serie animata, forse troppe rispetto ai lati positivi che, però, sono talmente elettrizzanti che mascherano bene gli appena menzionati limiti contenutistici.
Tra i punti a favore di quest’opera vanno di certo annoverate le fantastiche animazioni, i disegni dallo stile marcato e le musiche ficcanti, nonché le svariate citazioni a nomi reali della lotta giapponese; componenti che conferiscono al progetto un resa finale più che sufficiente.
Grappler Baki è un titolo obbligato per gli amanti delle serie di combattimento, astinenza consigliata a chi è in cerca di un capolavoro di completezza.
Voto 7, nel suo genere è da tenere in seria considerazione.


8.0/10
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"Nekojiru-sou", letteralmente "zuppa di gatto", è un mediometraggio prodotto dalla JC STAFF, che ha il raro pregio di essere assolutamente particolare e avanguardistico senza però risultare privo di una certa coerenza.
Si tratta di un' opera dal tocco marcatamente surreale, ricca di scenari e personaggi bizzarri e dall'atmosfera onirica (e a volte anche piuttosto macabra). E' da lodare la realizzazione tecnica: i disegni sono sempre adeguati, ora stilizzati e puerili, ora vividi e curatissimi, mentre la colonna sonora fa il suo dovere, contribuendo a catturare lo spettatore nel viaggio (vero o immaginario?) che il gattino protagonista intraprende per recuperare la metà perduta dell'anima della sorella.
Sebbene sia in un certo modo complesso, data la grande presenza di allegorie, qualche volta anche fini a sé stesse, il risultato finale è affascinante. Sicuramente deve piacere il genere sperimentale per poter essere compreso pienamente, ma credo che anche chi non è appassionato di avanguardia possa vederlo senza problemi, magari per godersi un breve e inquietante sogno ad occhi aperti.


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