Prosegue la rubrica a cadenza mensile in cui andare a presentare i manga più apprezzati dalle recensioni della nostra utenza. Per ovvi motivi, la maggior parte dei titoli qui presentati sarà una selezione di quanto pubblicato ufficialmente dagli editori italiani, con ben poco spazio per gli inediti.
In questo secondo appuntamento, ritardato di una settimana per lasciar spazio a Lucca, si andranno a prendere in esami i seinen anni 2000-2009: dopo una classifica dei primi 70 posti si darà spazio ad una serie di recensioni utente su alcuni dei titoli della classifica meno noti al grande pubblico – oltre, ovviamente, al podio.

Buona lettura!

P.S. Specifichiamo per chi ancora non lo sapesse che shounen, shoujo, seinen, josei sono categorie create per le riviste contenitore e poi di riflesso applicate anche ai manga ivi contenuti; come confermato anche da tutti gli studiosi, professori ed esperti sull'argomento, quindi, la rivista di pubblicazione originale sarà l'unico ed il solo parametro con cui catalogare i manga. Per cui, lamentele come “questo manga è troppo maturo per essere uno shounen” o simili sono da ritenersi irrilevanti e verranno pertanto ignorate.


1 Dorohedoro 9,080
2 Genshiken - Otaku club 8,958
3 Ikigami – Annunci di morte 8,875
4 Uchu Kyodai – Fratelli nello spazio 8,750
5 Pluto 8,721
6 Vinland Saga 8,720
7 Homunculus 8,682
8 Lei, l'arma finale 8,667
9 Planetes 8,600
10 XXXHolic 8,594
11 The Black Museum Springald 8,579
11 Jackals 8,579
13 Billy Bat 8,571
14 Dogs – Pallottole e sangue 8,556
15 Kajimunugatai – Racconti di vita e di morte portati dal vento 8,538
16 Gantz 8,524
17 Black Lagoon 8,517
18 Watashitachi no shiawase na jikan 8,500
18 Basilisk 8,500
20 Shamo 8,471
21 Vanished – Oyayubi Sagashi 8,467
22 Liar Game 8,444
23 Blade of the Phantom Master - Shin Angyo Onshi 8,400
24 Blue Heaven 8,364
25 Elfen Lied 8,357
26 La Carrozza di Bloodharley 8,308
27 Un cielo radioso 8,300
28 Rozen Maiden 8,294
28 Duds Hunt 8,294
30 Tetsuwan Girl 8,273
31 Zetman 8,269
32 I giorni della sposa 8,250
32 Manga Bomber 8,250
34 Densha otoko – Il ragazzo del metrò 8,235
35 Raqiya 8,231
36 Le bizzarre avventure di JoJo – Steel Ball Run 8,214
37 ES – Eternal Sabbath 8,211
38 Hotel 8,200
39 Blame Academy! And so on 8,182
40 La voce delle stelle 8,176
41 Sun Ken Rock 8,167
41 Un marzo da leoni 8,167
43 La strana storia dell'Isola Panorama 8,143
43 Team Medical Dragon 8,143
45 Victorian Romance Emma 8,125
46 Sidooh 8,100
47 Sole maledetto 8,077
48 K-On! 8,000
48 The Climber 8,000
48 Arakawa Under the Bridge 8,000
48 Seton 8,000
48 Manhole 8,000
48 Moonlight Mile 8,000
48 Ultra Heaven 8,000
48 Cesare – Il creatore che ha distrutto 8,000
48 Buonanotte, PunPun 8,000
48 King of Thorn 8,000
48 La ragazza scomparsa 8,000
48 Übel Blatt 8,000
60 Astral Project 7,933
61 March Story 7,923
61 My Girl 7,923
63 Hiroshima nel paese dei fiori di ciliegio 7,917
63 Uno zoo d'inverno 7,917
65 Solanin 7,914
66 Skyhigh 7,909
67 Red Garden 7,900
68 Masurao 7,895
69 Black Jack NEO 7,889
69 Hot Detective Tsubaki 7,889


>>Tutti i seinen manga degli anni '00<<

9.0/10
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In una parola: sporco.
Tristi figuri perlopiù macabramente mascherati fanno la spola tra una città che sembra essere appena uscita dal meno ispirato boom edilizio possibile (palazzoni su palazzoni, cemento armato, e, perché no, qualche fogna a cielo aperto) e un mondo dove la croce rovesciata è unanimemente considerata l'elemento di arredo più elegante. Nel mentre si massacrano, vuoi sparando dalle dita fumo nero variegatamente magico, vuoi a martellate/coltellate/mazzate generiche.
E tutto ciò è bellissimo.

E' bellissimo per come dopo pochi numeri sei affezionato tanto ai buoni quanto ai cattivi (quello più odioso è, indovina indovinello, quel coccodrillo del protagonista) e quando appaiono nuovi personaggi che non si capisce se son buoni o cattivi, finisce che ti affezioni anche a loro.
Cosa che porta il momento in cui (ipoteticamente, non dico che succeda, non voglio spoilerare niente a nessuno) due di queste fazioni si scontrano e si massacrano senza pietà, a essere un momento di raro pathos.
E' bellissimo perché nonostante il degrado che sprizza da tutti i pori di questo seinen, la sensazione che ti lascia è come di una placida routine, come un senso di famiglia. Provare per credere.

Poi, lo stile di disegno: sicuramente la prima cosa a saltare all'occhio, non piacerà ai puristi della proporzione e agli amanti dei corpi femminili snelli, non si può negare che porti con sé una carica di grande impatto e sia eccezionalmente ben amalgamato col tipo di storia che racconta. Personalmente penso esistano poche pagine di manga belle come le vedute di palazzoni malmessi e accatastati, bagnati da una pioggerella sordida, che regala "Dorohedoro".

Infine la suspance. La storia è a tratti confusa, a tratti fin troppo chiara, eppure riesce a creare i suoi topos, a farti aspettare con ansia il momento in cui succederà questa o quell'altra cosa. Non c'è niente da fare, Q sa come montare la tensione, a tratti è cinematografico.
Il tutto condito da un sano splatter, da uno humor stupidissimo e un'amore morboso per la cucina che "Toriko" in confronto è uno che mangia surgelati.
In una parola: sporco.


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"Genshiken - Otaku club" è un manga delizioso. Allegro, spigliato, moderno, intriso di una comicità spensierata che mette il buonumore senza scadere nelle solite ovvietà.

La trama di Genshiken è semplice: seguiamo le vicende in quattro anni di vita universitaria (ovvero la carriera scolastica di Sasahara, il primo personaggio che compare nel manga) degli iscritti al "Club per lo Studio delle Arti Visive Moderne", il "Genshiken", appunto. Il Genshiken, da sgangherato ritrovo per uno sparuto gruppetto di otaku duri e puri, diventa un club attivo sulla scena dei gruppi studenteschi, grazie al contributo di un gran numero di personaggi che, oltre alla loro esperienza in fatto di manga anime videogame & co., portano soprattutto la loro visione del mondo, facendo crescere il club e, contemporaneamente, crescendo loro stessi.

Sono senza dubbio i personaggi a fare la forza del manga: dal "tenero" Sasahara, elemento di equilibrio nel gruppo; alla collerica Saki, che con la sua spietata energia da convinta anti-otaku contribuisce a smuovere gli animi pigri dei suoi amici; dalla chiusa Ogiue, che sembra far di tutto per reprimere sé stessa e le sue inclinazioni (con scarso successo); a Madarame, che nel fisico e nel comportamento incarna l'ideale del perfetto otaku; passando per la cosplay-addicted Ono, per il bizzarro Kuchiki, per le americane yaoiste, e per un'altra grande quantità di incredibili stranissimi elementi umani.
Ogni personaggio è vivace, vitale, con le sue piccole manie, le sue grandi passioni, le sue idee e convinzioni, e l'autore è abilissimo nel tratteggiarne il carattere e gli atteggiamenti: in Genshiken vengono descritti dei "tipi umani" bizzarri, sopra le righe, ma nonostante tutto ritratti in maniera piuttosto veritiera, visto che è praticamente impossibile non identificarsi in qualcuno di loro. Tanto più che il manga, pur ricchissimo di citazioni (anche se per la maggior parte sono "criptate", ma comunque in genere facilmente comprensibili!) sul mondo otaku, sembra avere come intenzione principale il descrivere con pennellate surreali le vicende vissute da questo gruppo di "aspiranti adulti" alle prese con amicizia, amore, sesso e aspirazioni.

La lettura, perciò, risulta piacevole e divertentissima anche per chi non ha grossissime conoscenze sul Giappone e sulla cultura otaku; in ogni caso, bisogna pur dire che chi ha un minimo di dimestichezza con questo mondo ha maggiori possibilità di apprezzarne la comicità e i riferimenti alle opere esterne. Ottimo in questo senso è l'apporto dell'edizione, semplice ma buona, della Star Comics: ogni volumetto è corredato da un glossario, e ci sono diverse note che permettono di afferrare il senso di battute difficilmente traducibili. Inoltre, i volumi presentano alcune pagine a colori (la carta è opaca, quindi non sono eccellenti, ma è comunque meglio di niente!), l'interno della copertina è sempre disegnato e il volume è nel complesso solido e ben fatto.

Un'ultima parola sul disegno: simpatico e allegro quanto il manga, seppur non eccezionale e non sempre particolareggiato. In ogni caso, non si sente il bisogno di un disegno più elaborato, e bene ha fatto l'autore a concentrarsi sui testi, fornendo al lettore "in alternativa" ad uno stile più fine un'enorme quantità di contenuti extra relativi a "Kujibiki Unbalance", manga-nel-manga (da cui sono stati tratti un vero anime e un vero manga!) di cui sono pazzi i maschietti del Genshiken.

"Genshiken-Otaku Club" è un manga che consiglio a viva voce, uno tra i pochi che è riuscito a farmi ridere di gusto, appassionandomi alle vicende di quest'esilerante gruppo di strambi amici. Il voto che merita è un 9, dovuto principalmente al fatto che, leggendo Genshiken, è praticamente impossibile annoiarsi!
Consigliato a chi si sente otaku nel cuore, ma anche a quelli che pensano di non poterli sopportare: dopo aver conosciuto quelli del Genshiken, come si fa a non amarli?!


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<i>"Che cosa faresti se ti venisse detto che oggi è il tuo ultimo giorno di vita?"</i>

Questo è un manga che ho acquistato quasi per caso, nonostante il prezzo (che semplicemente non avevo notato), ma che si è poi rivelato essere una delle letture più coinvolgenti in cui mi sia mai inoltrato.
Ikigami è, a dirla tutta, un titolo “scomodo” (non a caso visto l’argomento trattato), ovvero uno di quei titoli che obbligano a rivalutare tutte le care preferenze di lettura. Infatti ogni volta che ne chiudi sospirando un volume, ti rendi conto di quanto molti altri bei manga siano quasi delle bambinate in confronto (con questo ovviamente non voglio sminuire altri titoli).

<b>La narrazione</b>
Nella sua semplicità la storia è davvero coinvolgente, versatile ed in definitiva una delle più intriganti che siano mai state partorite negli ultimi anni. Versatile perché ci si stupisce di quante possibili situazioni sia in grado di plasmare l’autore su questo semplice (?) incipit:
Nella società creata da <i>Motorô Mase</i>, vige la “Legge per la Prosperità Nazionale”: in osservanza ad essa, a tutti i bambini in età prescolare viene fatta quella che sembra una semplice vaccinazione… in realtà ad un bambino su mille (scelto a caso) verrà iniettata anche una capsula contenete del veleno, destinato a diffondersi in circolo anni dopo, in un giorno e ad un’ora precisa (ogni informazione riguardante il soggetto e la tempistica del decesso, viene accuratamente archiviata).
Questi sacrifici casuali vengono eseguiti per combattere l’apatia giovanile, e per ricordare a tutti di vivere la propria vita al meglio. Si perché “l’annuncio di morte” può colpire chiunque, andando a devastare indiscriminatamente l’esistenza di individui che presentano delle situazioni esistenziali molto diverse tra di loro: talvolta rosee ed altre già abbastanza problematiche.
In ogni nuovo capitolo l’autore introduce una determinata situazione (un contesto lavorativo, famigliare, una scolaresca ecc…) spesso senza palesare dall’inizio chi sarà “il fortunato”, per poi stupire il lettore con la scelta del protagonista del capitolo.
È stupefacente poi come Motorô Mase riesca, in un intervallo tutto sommato molto ristretto, a caratterizzare magnificamente ogni nuovo (e diversissimo) personaggio. Nell’arco di un paio di capitoli il lettore finisce inevitabilmente per legarsi empaticamente al malcapitato, ed a condividerne emotivamente le sorti.
C’è da specificare però che in questo manga non vengono semplicemente narrati degli episodi slegati tra di loro, infatti a “raccordarli” tutti c’è la figura dell’impiegato Fujimoto, incaricato della consegna degli ikigami. Il suo è un compito terribilmente gravoso sotto ogni aspetto, visto che la consegna degli ikigami va effettuata a tutti i costi e nel più breve tempo possibile (cosa spesso non facile). Egli veste i panni della figura tormentata, piena di dubbi morali riguardanti la propria professione, ed il proprio ruolo sociale. Allo stesso tempo questi ha le mani legate visto che il regime non permette errori o ribellioni, neanche quando sono in ballo le vite dei propri cari… pena lo stesso trattamento di chi è destinato a ricevere la sentenza capitale.
Proprio il tema della denuncia sociale e la "Legge per la prosperità nazionale", sulla quale è imperniata la narrazione, un po’ ricorda nei contenuti “il programma” di un altro manga dai forti contenuti: Battle Royale; comunque le similitudini con quest’altro titolo finiscono qui, visto che si tratta di due stili narrativi, due ritmi e due storie differenti. A giudicare da fattori come questo, sembra quasi che alcuni autori giapponesi ce l’abbiano a morte con la loro società… che il Giappone non sia poi la terra dei sogni che tanto amiamo? (considerazione provocatoria ;-) ).

<b>Il disegno</b>
Il manga eccelle anche nell’aspetto grafico, infatti lo stile è molto realistico (non vi noterete inverosimili occhioni luccicanti) e vi è una gran cura per la resa naturalistica dei personaggi, molto ben differenziati come somatotipi, sesso, età e razza (infatti si capisce benissimo che i personaggi rappresentati in questo manga sono asiatici, e le immagini di questa pagina in parte lo testimoniano).
Non mancano inoltre scene di forte impatto emotivo, magnificamente rese grazie a dei sapienti giochi chiaroscurali, complici in questi casi l’uso magistrale del tratteggio e dei retini (questi mai utilizzati a sproposito). Anche le scene più dinamiche sono ben disegnate e mai confuse, e ce ne sono molte visto che le vittime non se ne stanno buone a casa, in attesa della loro morte. Le tavole in generale traboccano di particolari ed il tutto ha sempre un aspetto pulito, visto il tratto preciso e sicuro (ma mai leccato) dell’autore.
Insomma si può tranquillamente affermare che la componente grafica assolve egregiamente al difficile ruolo di trasmettere i forti contenuti della storia, e questo (inutile specificarlo) è un elemento non da poco.

<b>L’edizione</b>
L’edizione Planet Manga ha pochi fattori positivi; i materiali utilizzati non sono nulla di eccezionale, soprattutto la carta, giallognola (ma la cosa può risultare gradita ad alcuni lettori) e caratterizzata da un certo grado di trasparenza (ma questo quasi non si nota molto, visto che le tavole lasciano pochi spazi bianchi, non disegnati). Il volume però si sfoglia facilmente, non "scricchiola", ed è abbastanza flessibile. Inoltre la carta non presenta ondulazioni in prossimità della rilegatura, difetto questo assai ricorrente nelle edizioni Planet Manga di un certo, tristemente famoso, periodo.
Purtroppo le tavole che in origine erano a colori, vengono qui riproposte in gradazione di grigio. Una semplice sovraccoperta poi, NON può di certo giustificare un prezzo di ben 7 euro.
A livello contenutistico invece nessuna critica da muovere: l’adattamento risulta ben fatto, non conosco il giapponese quindi non mi azzardo a fare paragoni, ma comunque i testi sono comprensibilissimi, non vi sono passaggi oscuri o senza senso e non compaiono errori di lettering. Le onomatopee non hanno subito un adattamento grafico, ma presentano una semplice traduzione in piccolo nelle loro vicinanze; certo questa è semplicemente la scelta meno costosa per la casa editrice, ma il sottoscritto la preferisce perché costituisce la soluzione meno invasiva e più rispettosa nei confronti dell’autore.

<b>Concludendo</b>
Ikigami è un manga che in un modo o nell’altro coinvolge e stupisce sempre il lettore, nonostante si sappia già in partenza che non ci sarà mai un lieto fine per i personaggi che fanno, di volta in volta, capolino in questa opera... a meno che l’autore, per il futuro, non ci riservi qualche sorpresa.
Questo è uno di quei rarissimi manga che coinvolgono all’inverosimile, che una volta finito di leggere lascia davvero qualcosa dentro, un’opera che non mancherà di far versare qualche lacrima ogni tanto (ed io son sempre stato dell’opinione che se un’opera riesce a farti commuovere, questa è sicuramente ottima). Ciò perché stiamo parlando di un titolo molto maturo, ad alto contenuto emotivo, ma che non fa ricorso alle emozioni in maniera banale o gratuita, risultando magari troppo sdolcinato o troppo violento: in Ikigami tutto è abilmente ponderato e (soprattutto) sentito.
Dopo averlo letto probabilmente comincerete anche a vedere le cose in maniera diversa (davvero, non sto esagerando) perché probabilmente qualcosa vi scatterà nel profondo.
Ed ora ditemi: Cosa fareste voi se vi rimanessero solo 24 ore di vita?
Sareste certi di non sprecarle inutilmente? Potrebbe venirvi naturale stare a piangervi addosso tutto il tempo o peggio ancora far finta di nulla, sperando che sia tutto un incubo. Magari ne approfittereste per vendicarvi di qualcuno, per regolare vecchi conti in sospeso. O invece per sistemare tutto prima di andar via, per stare vicino a chi amate e magari per fare del bene al vostro prossimo… o meglio ancora vi dareste da fare per lasciare una piccola traccia di voi su questo sporco mondo.

Ikigami è tutto questo e molto altro ancora: Opera GENIALE! Consigliatissimo, nonostante il non eccelso rapporto qualità/prezzo dell’edizione Panini (sul quale comunque consiglio di sorvolare), che spero non finisca per penalizzare questa serie.

Buona lettura
By Oberon


10.0/10
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Difficile recensire Homunculus, perché si finirebbe, anzi, si finirà, col dare la propria opinione relativamente all'interpretazione personale dell'opera, più che relativamente all'opera stessa.

Homunculus è un seinen, uno dei più complessi e profondi che abbia mai letto. Non innovativo, questo no, perché il concetto e la critica di fondo non ha il copyright di Yamamoto, ma artistico e psicologico sì, indubbiamente.
Vivere nel XXI secolo significa per tutti avere a che fare giorno dopo giorno col consumismo di matrice capitalistica, con la massificazione, con il conformismo belante, con i sottoconformismi ugualmente belanti, con il diffondersi, come virus, di ideologie che tendono a supportare tutto ciò, ad eliminare, ad emarginare, fino ad illegalizzare chi lotta contro tutto ciò. C'è chi si accorge di questo, c'è chi non se ne accorge, chi semplicemente lo vive come necessità (in senso filosofico, ossia la impossibilità di un qualcosa ad esser differente da com'è), chi lo sopporta e chi non riesce ad andare avanti.
Cosa fare se non si è accettati dal gregge, se non trasformarsi in modo tale da creare una forma standardizzata e celare la propria sostanza? Questo fa il protagonista, Nakoshi, che da uomo d'affari diviene un clochard, un barbone, dicendolo in modo politicamente scorretto, e ritornando al suo Io precedente. Questa vita monotona e grigia che affligge Nakoshi sia nella povertà che nella ricchezza viene spazzata via dalla possibilità di osservare sé stesso negli altri sotto forma di creature o raffigurazioni più o meno comprensibili. D'altronde parliamo di psicologia, di subconscio e la coscienza con cui osserviamo gli avvenimenti non riuscirà, comunque sia, a comprendere il 100% della simbologia che cerca di proporre Yamamoto.
L'homunculus, ossia ciò che il protagonista riesce a vedere, è la rappresentazione dell'oggetto della vista o del soggetto, di colui che vede?
Attorno a questa domanda ruotano i 15 volumi, che volan via veloci come una nuvola all'orizzonte.
Narrativamente le vicende sono lentissime: all'8° volume son passati ancora soli sette giorni. Yamamoto adopera centinaia di vignette per descrivere le bocche, gli occhi, le rughe dei personaggi, per far sì che il lettore comprenda osservandoli, comprenda cosa dicono, cosa celano. Ovviamente come controindicazione di ciò si ha un aumento spropositato di pagine con un corrispondente lieve e lento proseguimento della trama, ma questo non va visto come un difetto, è tutto propriamente parte di Homunculus.
Il finale è perfetto, riesce a mantenere quell'andamento narrativo che viene mantenuto per tutta l'opera. Le vicende finali, che presupponevano un'happy ending, si tramutano, invece, in un coacervo di simboli, quasi fino alla maniacalità, alla pazzia. Ho le mie idee relativamente a cosa significhi cosa, ma non è questo il luogo in cui parlarne.

Ho gradito ugualmente molto i disegni e la capacità di Yamamoto di diversificare i volti, di narrare con le espressioni facciali. L'edizione della Panini è semi-decente: a parte errori assurdi, come sulla copertina di alcuni volumi della ristampa la presenza della frase "L?occhio dell?anima" con i ? al posto degli ', la carta è la solita ed a volte appare un po' troppo scuro rispetto all'originale.

In sostanza Homunculus è indubbiamente uno dei manga più sottovalutati, meno conosciuti, ma uno dei migliori che abbia mai letto e mai leggerò.
C'è da dire che è anche sconsigliato a chi necessita di azione, qui totalmente assente, o comunque sia un andamento veloce delle vicende, sconsigliato a chi si impressiona, a chi odia riferimenti sessuali espliciti, a chi vuole continuare a vivere nel proprio mondo piccolo-borghese, circondato da materia e oggetti.
Habere, non haberi.


8.0/10
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Il mercato del fumetto coreano è davvero notevole, soprattutto dopo lo sdoganamento culturale degli ultimi anni. Oramai non è più solo il giappone ad avere il monopolio dell'editoria orientale e a guardare un'opera come "Jackals" si capisce il perchè. Sostenuti da un editore non da poco come Square Enix, Kim Byung Jin e Shinya Murata sfornano un lavoro che a conti fatti non aggiunge nulla al genere seinen, piuttosto rubacchia di qua e di là idee altrui e le propone in questi sette volumetti. E allora come mai un voto così alto, chiederete; semplice: "Jackals" ripropone ciò che è già stato visto e scritto in maniera magistrale e si fa leggere con piacere ed entusiasmo.

Il plot narrativo è molto semplice: Cicero City è un centro urbano in espansione nell'Inghilterra di fine '800 e come tutte le grandi città è meta di immigrazione nonchè di grande caos politico e amministrativo. In questo ambiente marcio e corrotto agiscono i Jackals, un gruppo di assassini indipendenti che lavorando al di fuori di tutte le organizzazioni criminali presenti sul territorio. Le vicende ruoteranno attorno a Nicol e alla violenta battaglia da lui intrapresa contro i Gabriella, gruppo criminale che nel perseguire il proprio piano di conquista della città decide di eliminare tutti i Jackal rimasti di cui il giovane fa parte.

Nei sette volumi che ne compongono l'opera completa, "Jackals" scorre piacevolmente fra azione serrata, complotti ed intrighi politici, facendo passare in secondo piano le citazioni grafiche fin troppo palesi (il protagonista è stato concepito sul modello di Dante in "Devil May Cry", le atmosfere sono state già abbondantemente usate in manga come "D-Gray Man" e l'arma usata da Nicol è decisamente rubacchiata dall'ammazzadraghi di Guts in "Berserk"). Un manwha che entusiasma sul piano narrativo pur non facendo gridare al miracolo riguardo l'originalità delle idee. Inoltre il numero di volumi è quello giusto affinchè venga la voglia di leggere il tutto più di una volta. Mainstream ma non troppo.


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A volte mi ritrovo a chiedermi se valga davvero la pena usare il proprio tempo per cercare di imparare qualcosa sugli usi ed i costumi delle persone che hanno camminato su questa terra prima di noi, chi erano, cosa cercavano, cosa hanno fatto, la loro storia insomma. In fondo gli uomini tendono a commettere sempre gli stessi errori e sembra che non riescano ad imparare nulla se non lo sperimentano direttamente sulla propria pelle. Quindi perché?
Le risposte che di solito si ottengono ponendo questa domanda sono molto spesso insoddisfacenti, probabilmente perché quasi nessuno riesce a vedere oltre le le motivazioni standardizzate che si usano di routine e forse anche perché non sono molti quelli che hanno chiaro un motivo valido per farlo. Eppure ogni tanto qualcuno che sia in grado di fornirci una ragione valida, anche in maniera indiretta, per degnare la storia dell'umanità dell'attenzione che merita lo si incontra: è il caso di Susumu Higa e della sua graphic-novel <i>Kajimunugatai</i>.

Per certi versi è ironico che sia proprio la guerra la cosa che molte volte desta la nostra attenzione e ci porti a considerare la storia come una materia interessante. I cosiddetti "grandi" personaggi storici, che da bambini o adolescenti si tende ad ammirare, quando si cresce spesso si rivelano, nella migliore delle ipotesi, molto meno nobili di quanto si pensasse. Nei cinque racconti che compongono questo manga non troverete nessun accenno ad alcuno di loro, solo un gran numero di persone comuni, capaci tanto di gesti gentili che verrebbe quasi da chiamare miracoli quanto di un numero imprecisato di azioni che definire spregevoli sarebbe a dir poco un eufemismo. Ma in fin dei conti tutti loro non fanno che subire le tragiche conseguenze delle scelte operate senza cognizione di causa da qualcun altro.

Questa è la natura della guerra e per raccontare i suoi orrori forse non c'è modo migliore che scegliere episodi che i libri di solito definiscono marginali, preferendo a loro fatti di "maggiore rilevanza" corredati da una marea di inutili date di un'infinità di battaglie. Perché allora non prendere una piccola prefettura, quella delle Ryukyu, in cui si trovano tre piccoli arcipelaghi, Yaeyama, Miyako e Okinawa, e usarla come teatro della nostra storia. In particolare Okinawa, che per tutta la durata della seconda guerra mondiale è stata trattata al suo stesso governo come un avamposto altamente sacrificabile, quasi non appartenesse nemmeno al Giappone, e considerata niente più che una comoda base militare da cui partire con i propri bombardieri per l'esercito americano. Entrambi l'hanno sfruttata come meglio credevano e gli unici a farne le spese sono stati gli abitanti dell'isola. Alcuni episodi recenti, riportati nel volume, non fanno che dimostrare quanto gli abitanti di Okinawa abbiano sofferto e quanto ancora oggi continuino a subire gli effetti della guerra.

Susumu Higa ad Okinawa ci è nato ed ha voluto mostrare ad altri la complicata situazione della sua terra natale scegliendo di raccontare cinque storie ispirate ad episodi realmente accaduti e lo fa con uno stile di disegno che a molti potrebbe far storcere il naso, ma che comunque svolge egregiamente il suo lavoro. Ad ogni modo, se anche non vi piacesse, non dovete farvi scoraggiare da questo dettaglio, in un'opera del genere il disegno non ha una grande importanza. Ciò che conta realmente è la capacità dell'autore di trasmettere al lettore la crudeltà di una guerra che, come ogni guerra, non aveva ragione di esistere ed io credo che Higa ci sia pienamente riuscito.

Per quanto riguarda l'edizione D/visual fa davvero un ottimo lavoro: 320 pagine di carta bianca senza trasparenze, magnifica sovracopertina, volume robusto, il tutto a soli 9,50 euro. Come se non bastasse ogni racconto è corredato da un breve dossier introduttivo che aiuta il lettore a contestualizzarlo meglio, molto utile considerando quanto poco siano note al pubblico le vicende narrate, più altre informazioni di carattere storico. Alla fine del volume è inoltre presente una <i>Breve storia di Okinawa e degli avvenimenti che hanno portato alla guerra del pacifico</i>, che non è altro che una sintetica cronologia della storia dell'isola dagli anni della guerra al 2003, anno in cui l'opera è stata pubblicata in Giappone.

A cosa serve dunque conoscere la storia del nostro passato? Evitare di fare gli stessi errori sarebbe una risposta ipocrita o dettata da un eccessivo idealismo, piuttosto sarebbe meglio dire cercare di migliorarci nel nostro piccolo ogni giorno che passa, per essere domani uomini migliori di oggi. Questo è ciò che spero otteniate qualora decideste di dare un'occasione a <i>Kajimunugatai</i>.


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Aperte le prime pagine virtualmente e sfogliate con iniziale distrazione, alla mia perplessità è in breve subentrata un'impressione di colpevolezza immediata e struggente per la poca attenzione prestata in precedenza alla lettura.
Watashitachi no shiawase na jikan non è una favola, lungi dall'esserlo, ma ne esercita fascino uguale su chiunque si avvicini incautamente a leggerne la storia. È un quadro di vita reale, dolorosamente reale, tratteggiato con cura e pochi sentimentalismi, tanti quanti ne bastano per non cadere nella ricercata banalizzazione che oggigiorno è diventato il mondo. I sentimenti non vengono commercializzati né sono oggetto di speculazione, così come le esperienze sofferte dei protagonisti della vicenda non diventano argomento patetico da sviscerare, ma solo un punto di svolta, positivo o meno che sia, verso il giorno che seguirà con deliberato tedio.

La protagonista femminile, Juri, agli albori di una promettente carriera da pianista intrapresa in tenera età per riscattare una nascita che ha provocato nella madre, pianista anch'ella, l'interruzione della propria, subisce una violenza da parte dell'insegnante privato, buon amico di famiglia. Nei suoi soli sedici anni si ritrova costretta a subirne una seconda e ben più brutale quando, cercando conforto nell'unica figura familiare rimastale oltre il fratello e una zia suora, vede rifiutata la sua versione e non creduta. Amareggiata nel profondo, delusa e ferita dal disinganno, abbandona la musica e con essa il concetto stesso di vita rifugiandosi nella meschinità della menzogna che è costretta a perpetrare giorno dopo giorno: far finta di nulla e tacere. Dieci anni dopo davvero poco è mutato, tranne l'odio che riversa verso quel mondo d'ipocrisia e sofferenza bruciante, nonché verso la madre che tanto tempo prima l'aveva accusata ingiustamente d'essere una bugiarda e ora d'essere un peso e un fallimento con le classiche e mortifere parole "Sarebbe stato meglio tu non fossi mai nata".
La vicenda trova il suo inizio al terzo tentativo di suicidio da parte sua, unico modo di risposta che le sembra d’avere per reagire, che la costringe in letto d'ospedale. Tre, quanti sono gli omicidi del condannato a morte Yuu, uomo che come lei non è rimasto ragazzo nel cuore a differenza di altri e forse mai lo è stato davvero, se non proprio nell'inespressa necessità di sicurezza e punti stabili a cui far riferimento di cui ci si abbisogna in quell'età difficile, sensibilissima a pressioni esterne e perciò tanto più fragile. Entrambi colpevoli del risvolto di futuri in scatafascio, vite che si diramano piene di nodi e prospettano minaccia di gragnola all'orizzonte, ma in ultima analisi innocenti quanto può esserlo uno animo devastato dalla pena e dal rammarico di ciò che ha fatto o perduto - innocenza e spensieratezza.
Errori e rimpianti accantonati in un angolo durante incontri settimanali in cui ci si presenta all'altro nella riscoperta di se stessi, della vita e della sua bellezza fugace. Giorni trascorsi nell'attesa del giovedì, profumo di primavera nella neve e nei sorrisi sfumati d'agrodolce malinconia. "Se solo io non...", "Se solo fosse Giovedì ogni giorno...", se, se, i se dell’esistenza che loro avevano smesso di porsi e che ora, riaccettando la vita per quel che è e da ad ognuno, ritrovano.

Una stanza di prigione e un vetro divisorio a separarli, manette ai polsi di lui e altre a quelle di lei, invisibili, che le impediscono di suonare e che Juri infine si dimostrerà capace di spezzare. Un orgoglio complicato da mandar giù quello di entrambi, ma che diventa chiaro nel rifiuto di pietà e commiserazione di cui s’appronta, "apparente comprensione" ricevuta da chi sembra invece non capire proprio nulla. Simili per esperienze e riflessioni riguardo l’ambiente che li circonda, Yuu e Juri capiscono di aver scovato un prezioso amico e alleato l’uno nell’altra, qualcuno che riesca davvero capire e non finga, ma soprattutto non sia gentile per un secondo fine che esuli dal semplice impulso di un attimo. Sono occhi che si osservano e si rispecchiano i loro, cicatrici complementari e un amore che non risulta affatto scontato, ma di una dolcezza che ferisce e consola, punge e guarisce. E non danna, ma fa male solo un po’, quel dolore che fa capire si sia ancora vivi e ricorda che anche nella sofferenza possa esserci qualcosa di bello. Perché nel se più grande, quello del “se non fosse successo quella maledetta cosa, non fosse scattata la molla nella mente in quel maledetto giorno” sta la base del loro incontro e del loro rapporto. Sarebbero stati diversi, non si sarebbero mai conosciuti e probabilmente mai sarebbero cambiati. Non sarebbero state le persone migliori che sono adesso, capaci di affrontare con le lacrime, ma a testa alta, ciò che li attende alla fine di un lungo corridoio e di una scalinata. Di accettare le gioie così come le tristezze della vita e dispiegare a proprio piacimento i ricordi dei preziosi momenti vissuti in comune.

Watashitachi no shiawase na jikan è un percorso di otto tappe, un fiore a cui strappare per gioco le corolle, petalo dopo petalo, con tenerezza commovente e toccante. Un ardente sensazione di libertà quella del finale, che dilegua l’amaro lasciato in bocca poche pagine indietro con un senso di pace e speranza, la capacità di perdonare i torti subiti e andare avanti, voltare pagina una volta per tutte.
Passato che s’intona in un’ultima musica d’addio suonata al pianoforte, astio perduto da tempo e l’ultimo ricordo a cui aggrapparsi, quello che in fin dei conti il loro incontro fosse già avvenuto nel confine labile dove tutto è possibile.
Le lacrime non sono e non saranno mai sinonimo di debolezza o incertezza, ma solo sfogo di quel che si ha nell’animo. La tristezza non tortura né lambisce con carezze mortifere né tantomeno culla. È lo sfogo di un sentimento normalissimo che non ci deve essere precluso: di delusione, sconforto, dispiacere. Un invito a lasciarsi andare alle richieste del cuore. Gli ultimi sguardi che i protagonisti si scambiano, così umani, limpidi e pulsanti, mi hanno scosso nel profondo, così come l’intera storia e l’intreccio della trama.
Il fatto incontrovertibile sia un unico volume mi aveva fatto dubitare della valenza di un’opera che nella sua brevità immaginavo insipida, davo già per scontata considerata comunque la mole di argomenti che si prefissava di presentare e affrontare. Dubbi dissipati completamente, come avrete potuto intuire.

Non solo quindi una storia degnissima del voto pieno che mi sento in dovere di darle, ma trattata con una cura per i dettagli, i dialoghi, la caratterizzazione di ogni singolo personaggio, il turbine di emozioni che provoca nel lettore che s’accinge ad immergersi e un senso del verosimile che lascia di stucco. Chiunque potrebbe essere Juri e chiunque tra noi potrebbe cadere nel vortice disperato in cui l’abuso di pazienza ha trascinato Yuu. Ed è questo che più di tutto colpisce e sgomenta: che per una volta non ci si deve sforzare di vedere od essere eroi. Lo si diventa per le piccole azioni, normali schermaglie quotidiane. Eroe è il giovane universitario che lavora e si mantiene gli studi, la donna che fa il lavoro a tempo pieno di casalinga e la madre senza altra retribuzione che non sia rispetto e gratitudine e affetto dalla sua famiglia. Eroi sono questi due ragazzi e chiunque ne legga la storia e ne comprenda il messaggio trasmesso.


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Il mercato italiano dei manga è abbastanza scarso per quanto riguarda gli Horror, ovviamente se si va a cercare ogni manga che viene catalogato con questo genere si trovano molti titoli, ma quelli veramente Horror, capaci di farci rizzare i capelli sulla nuca, son veramente pochi. Vanished è uno di quelli.

Il titolo originale “Oyayubi Sagashi” significa “La ricerca del pollice” ed è di questo che si parla nella storia, cinque bambini spensierati ed alle prese con i primi amori che decidono di prestare attenzione ad una leggenda metropolitana.
Questa leggenda racconta che riunendosi in cerchio e prendendo in mano il pollice della persona alla propria destra si viene trasportati all’interno di una villa disabitata, dove anni prima una ragazzina era stata squartata brutalmente, ma non si era più trovato il pollice sinistro, così se qualcuno riesce a ritrovarlo vedrà esaudito un suo desiderio, ma bisogna stare attenti: se si sente qualcuno che ti picchia due volte sulla spalla non devi voltarti, altrimenti…
Le leggende son formate da fatti reali e di fantasia, ma come si fa a sapere quali sono le parti vere?
Così i poveri ragazzini si ritrovano all’interno di una villa, ma mentre cercano il famigerato pollice sentono qualcuno picchiargli sulla spalla! Decidono così di fuggire immediatamente, ma al loro risveglio un’amara sorpresa li aspetta. L’allegra ed esuberante Yumi è svanita nel nulla e nessuno la rivedrà più… forse…
Ed eccoci al presente, sette anni dopo, quando i ragazzi si riuniscono per tentare di trovare quel pollice per fare tornare Yumi con il desiderio, ma su di loro sta per abbattersi una grande sventura.

I disegni sono molto d’impatto, Kirihito Ayamura ha già confidenza con il genere (infatti gli sarà affidato anche il ruolo di disegnatore della versione manga di Red Garden) e compie scelte stilistiche perfette, non avremo retini, quindi niente grigi, solo ed esclusivamente nero su bianco, steso con maestria, ogni ombreggiatura sarà eseguita a mano, ogni tavola sarà frutto di un accurato studio della disposizione delle vignette, avremo tante inquadrature ad effetto, non annoierà mai l’occhio e terrà sempre alta l’attenzione, un lavoro ottimo.
Senza contare che saprà regalare una notevole quantità di paura “psicologica” grazie a ciò che obbligherà il lettore a pensare, sarete li pronti a terrorizzarvi ad ogni tavola grazie a particolari giochi di prospettiva che non faranno altro che aumentare la pressione sul vostro subconscio, riuscendo a spingervi sempre di più nel turbine di terrore… spettacolare.
Se avete lo stomaco debole state alla larga, avremo numerosi e copiosi spargimenti di sangue, gente sezionata in modo brutale... Insomma, dovete essere fan dell’horror, altrimenti queste cose non vi piaceranno!

Questo manga è veramente bello, anche perché prende la chiave narrativa dell’horror classico, non assisteremo ad un’intera storia ma solo ad un pezzo formato dalla disavventura di questi ragazzi, sapremo l’inizio di questa lunga leggenda, ma ne ignoreremo molte parti e soprattutto la fine, assisteremo quindi ad una parte di una lunga storia, inoltre l’autore fa una scelta encomiabile non donando un seguito a quest’opera, così eviterà di fare un prodotto già visto e dal sapore insipido che farebbe perdere solo qualità al tutto decadendo nella banalità.

Personalmente ho cominciato a leggerlo pensando di finirlo più tardi, ma non ci sono riuscito. Una volta partiti non potrete più fermarvi, le spire della suspense vi avranno già preso, la storia corre veloce, senza perdersi in troppi fronzoli, parte diretta e dice quello che deve dire senza divagare troppo, sarete sottomessi dalla raffica di scene inquietanti che vi regaleranno una pelle d’oca di prima qualità!
Poi ci saranno colpi di scena a non finire dove ad ogni tavola vi aspettate di vedere un’oscura ombra uscire da ogni angolo ed anche se sapete che accadrà lo farà in un modo inaspettato!
Ma ovviamente questo manga non contiene solo paura e terrore in dosi massicce, avremo ovviamente un lato più malinconico per una storia amara.

Il mio consiglio finale?
Per 5,90 € potete portarvi a casa un corposo volume unico di rara maestria, capace di fare felici i fan dell’horror più esigenti, ma che potrebbe essere gradito anche da chi non è fan grazie alla tensione narrativa che scaturisce con il proseguire della storia.
Compratelo e prestatelo o regalatelo, un'opera così ben fatta dev’essere conosciuta il più possibile!


8.0/10
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"L'uomo non è un buon selvaggio, è un cattivo selvaggio. È irrazionale, brutale, timoroso, stupido, incapace di essere oggettivo quando i suoi interessi sono coinvolti - questo, per riassumere. [...] Ogni tentativo di creare istituzioni sociali su una falsa visione della natura dell'uomo è probabilmente destinato a fallire." (Stanley Kubrick)

Forse si poteva fare di più, ma non è questo il punto: sono infatti dell'opinione che Tsutomu Takahashi, al quale mi avvicino per la prima volta proprio in questa occasione, abbia tutte le carte in regola per fare ancora meglio, che è leggermente diverso. Non è cosa da tutti, e per questo mi inchino dinnanzi al suo talento quantunque non sia stato facile, per me, metabolizzare un manga come "Blue Heaven". Valeva la pena di compiere un simile sforzo? La mia risposta è affermativa al cento per cento.

Sotto un cielo trapuntato di stelle un transatlantico solca con incedere maestoso le acque nere e quiete dell'Oceano Pacifico: è il Blue Heaven, vera e propria città galleggiante fornita di tutto ciò che occorre per garantire ai suoi passeggeri un soggiorno all'insegna del benessere e del lusso - a patto di poterselo permettere, ovviamente. È una di quelle sere nelle quali si ha voglia di credere che nulla potrà scalfire la magia del momento, ma nessuno di coloro che vivranno abbastanza a lungo da vedere la fine della crociera ne serberà un bel ricordo.
Tutto scaturisce da un atto di solidarietà che, nel giro di poche ore, si rivelerà un errore fatale. Scorta un'imbarcazione alla deriva il capitano della nave si prodiga per venire in aiuto ad eventuali superstiti, facendo valere sul proprio datore di lavoro l'autorità conferitagli dai suoi gradi. Lo scenario che si presenta agli occhi dei soccorritori è a dir poco raccapricciante: gli interni sono a soqquadro e sulle paratie campeggiano numerose impronte di mani che recano il colore, la consistenza e l'odore tipici del sangue. Soltanto due persone vengono tratte in salvo da quel piccolo inferno fluttuante, ma quando si scoprirà che una di loro è l'artefice della mattanza sarà troppo tardi. Come se non bastasse altri pericoli, questa volta di natura intestina, cominciano a profilarsi minacciosi all'orizzonte.

Quando guardiamo un bel tappeto difficilmente badiamo a tutto il putridume che potrebbe annidarsi tra le sue trame o nell'interstizio tra il pavimento e il suo lato nascosto, ma una volta che questo pensiero avrà preso forma nella nostra mente non ci sarà modo di scacciarlo. Basta poco per far scattare questo diabolico automatismo - un risvolto leggermente discosto, una briciola solitaria, un ricciolo di polvere caparbiamente avviluppato a una frangia laterale. Non è lo spietato Ri Seiryuu a portare il male sul Blue Heaven: esso era già lì, in attesa di un'occasione propizia per manifestarsi in tutta la sua nefanda carica oppressiva.
Quello che manca, almeno secondo me, è il tempo materiale per assimilare l'impressionante mole di informazioni a cui si è costretti a far fronte, in particolar modo per quanto riguarda certe sottotrame dal potenziale destinato a rimanere tristemente inesplorato. Ciò non è necessariamente da considerarsi un male - mi rendo conto che a volte è necessario fare un po' di fretta al lettore per assicurarsi che rimanga al passo - ma parafrasando Čechov, a che pro prendersi il disturbo di far comparire una pistola sulla scena se si sa già che rimarrà lì a prendere la polvere?

La brevità dell'opera non incide minimamente sulla qualità dello scavo introspettivo, sempre puntuale e foriero di spunti interessanti. Ri Seiryuu è un "cattivo" atipico, un eroe tragico a cui, fin dalla gioventù, è stata negata ogni forma di calore umano; il mondo, ignaro della sua esistenza, esercita su di lui un fascino potente, atavico e pericoloso. Chi al contrario ha accesso a un'infinità di porte, come il perfido Galph, utilizza il suo ascendente per distruggere tutto ciò che interferisce con la sua utopia privata. Tra i "buoni", invece, spicca senza dubbio l'hostess Yoshiko, la cui positività si contrappone magistralmente al disperato disincanto di Ri Seiryuu.

Il tratto di Takahashi è ruvido, sporco, quasi doloroso a vedersi a causa dell'acutezza che lascia trasparire e al tempo stesso del tutto privo di morbosità. Le sue tavole sono caratterizzate da un ottimo senso della regia e da un utilizzo dei chiaroscuri che si rivela quantomai efficace nella resa su carta della tetra atmosfera del Blue Heaven.

Non è un manga per tutti, e non solo per i contenuti: al di là dei gusti di ognuno, cogliere ogni sua singola sfumatura è un lavoro al quale è necessario dedicarsi con la massima convinzione. Naturalmente nulla vieta di leggerlo al solo scopo di passare del tempo, ma come dice una nota pubblicità "Se non ti lecchi le dita...".


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Un otto che non è un otto, qualcosa di più. Oltre un voto ma che è pur sempre un voto.
''La carrozza di Bloodharley'' è un volume auto conclusivo dell'autore Hiroaki Samura, edito in Italia dalla JPOP.
Esistono, in una realtà storica passata ma in una crudeltà piuttosto recente, un conte ed una carrozza. Esistono ragazze la quale condizione rende, quello che si trova oltre le loro immaginazioni, dolci sogni alimentati dalla comune falsità e dalla discutibile veridicità dei discorsi sulle bocche di tutti. Perché c'è una fiaba la quale afferma esserci la felicità nella destinazione della carrozza di Bloodharley. C'è la possibilità di diventare cantanti d'opera lirica. Poi però il sogno, come l'infanzia appena lasciata da quelle fanciulle, finisce. Si sgretola, sfuma, sfugge, alla fine come tutte le cose.
C'è l'orrore, la violenza, c'è quella fetta troppo grande di natura che l'uomo tende ad educare e nascondere, se parte integrante di una società comoda. Che cosa si diventa quando la propria identità costruita e pettinata, distrugge il nostro specchio perfetto e ci reclude nella cecità?

Samura riesce, nonostante il suo tratto veloce e scarabocchiato, a delineare sguardi, in questi incidere tutta un'oscurità interiore ed una catastrofe emozionale.
C'è di fondo una distinzione tra l'uomo e la donna, tra quello che in realtà è l'animale. Le ragazze, giovani appena uscite dalla purezza infantile ma comunque ancora odoranti di quel vento rosato, sono belle, sognatrici, quasi fate e fiori dolci e delicati. La povertà dell'animo e della sua umiltà si scopre come per il sesso femminile si aspiri e si sogni ad una gloria più ampia e collettiva che non una comune e piccola soddisfazione interiore. Ciò che spinge le ragazze ad una sorta di felicità è prima di tutto il prospettarsi di un futuro luminoso, la popolarità che potrebbe essere data dal ruolo di lirica, dall'adozione da parte di una facoltosa famiglia. Non c'è affatto la serenità e la stabilità che si cerca nel poter essere adottate e quindi prese sotto la custodia di una ''famiglia'', detta come società e come forma d'ordine primario. Non c'è, la ricerca di una tranquillità con i piedi per terra, le ragazze partono direttamente con gli occhi puntati, come fucili, verso l'alto.
C'è nell'arrivare nel luogo prediletto, una delusione nello sguardo il quale racchiude il prospettarsi di un fine diverso, di un'altra realtà; ma per loro è ancora presto sapere la fine cruenta che gli è stata prescritta.

Il corpo è debole in due versi. A vizi e a resistenza. Il corpo non sa dir di no ai piaceri, non sa resistere se privato di questi, la sua carne è debole e degradante, il corpo su questa terra è il padrone.
Il corpo se pur debole ma con un'identità propria ed una sua autonomia, ha la peculiarità di seccare, degradarsi e polverizzarsi. Il corpo non è capace di resistere al vizio, c'è il piacere e c'è il prezzo. In questa storia il piacere uccide il prezzo, ma questi due fattori sono dati a due identità differenti, l'uomo corroso dal proprio pene e la povera ragazza stuprata da tantissimi uomini nel medesimo istante.
L'uomo, identificato nel male, chiuso, prigioniero, un detenuto pieno di quello che è lo scarto, la cenere di una sigaretta. Uomini che, privi ormai della comune libertà (questa presa nel senso più spicciolo della parola, le loro libertà sono quelle di mangiare, pisciare, scopare e dormire), portati a stato di misera trasposizione carnale, hanno il coraggio e la sufficiente depravazione di stuprare una ragazzetta non avente nemmeno le vere forme di una donna.

Trattandosi di diversi spaccati nel quale si ritrova il tema dominante, si vede come in una delle storie sia presente una sorta di luce. Luce? Si prende il punto di vista di un detenuto. Di uno di quegli uomini, un uomo che ragiona, che ha ancora la sua testa e questa presenta gli occhi di un uomo che guarda. È possibile trovare un appiglio per non amalgamarsi, per non degradarsi insieme al resto, se si vive completamente immersi nello squallore più putrescente di un'enorme merda? Alla fine, non serve avere le gambe se non c'è lo spazio per scappare.
Quindi, la drastica distinzione tra l'uomo e la donna, troppo divisi in quanto in questa storia non ci sono differenti visioni dei due tipi, in quanto nella storia esiste solo il marcio, lo sfogo che investe il bello.
L'epilogo è una speranza, forse un modo per augurarsi ci sia nel tempo qualcosa di dolce. Quando, la distruzione riporta al nulla, c'è la speranza che nella ricostruzione si possa non sbagliare, si possa deviare.
Disinteressata presa di posizione sul tema trattato nella vicenda, si vede come il narratore in parte esterno e in alcuni tratti interno, dia una visione pacata ed oggettiva della storia, portando i personaggi interessati a dare deduzioni o far trapelare in modo causale e spontaneo le verità.

Disegno: Lo stile grafico di Samura, è intrigante, spietato, pieno di movimento anche nelle figure statiche. Sembra quasi rappresentare il tumulto interiore, la traspirazione della pelle, quel che dentro è nascosto e che fuori non si vede. Attenzione anche agli sfondi ed alle architetture che non perdono il tono ed il movimento dato dalla linea. Nonostante nelle anatomie femminili c'è un accentuazione quasi michelangiolesca del corpo, (sono un po' mascoline) le piccole figure delle ragazzine vengono date in modo dolce e leggero, nei volti c'è un'opacità di stile in quanto più o meno tralasciando piccoli particolari, i volti sono simili tra di loro, particolare non enunciabile nei volti maschili.
L'ambientazione è quasi da canyon americani. Ambientazioni tendenti al western cari all'autore, illusione questa perché è stato ben scritto dall'autore l'ambientazione storica dell'Inghilterra del 1910. Buona resa nel totale di tutta la storia, sia sotto un punto grafico di personaggi che di ambientazioni.
Tavole a colori paragonabili ad opere di pittura. Come ben si vede nella colonna illustrativa qui di fianco, le tavole a colori sono magistralmente realizzate portando la visione di figure spensierate e nel pieno di una fioritura disinteressata, figure povere e ricche, destinate allo stesso seccare.

Edizione italiana: l'opera è edita come sopra detto dalla JPOP, si ringrazia sempre un qualche personale dio quando a prendere in mano opere del genere sia un editore serio il quale rispetta la serietà di un'opera.
Il volume conta una sovra coperta rigida, pagina a colori plastificate, carta di alta grammatura e qualità, traduzione ed editing modello e nessun errore di stampa o di pratica malleabilità del volume. Il costo è più che meritato se non misero, 8,00 euro. Nel complesso, i limiti d'onore che una casa editrice può donare ad una pubblicazione sono stati egregiamente dati a quest'opera.

Impressioni personali: questa che mi sono ritrovata a recensire è un'opera tenuta d'occhio da tempo immemore e lentissimo. Prima storia del mangaka Samura per i miei occhi. Inizialmente incuriosita dalla somiglianza di tratto di Samura con quello della Toume, ho voluto per questo approfondire un autore il quale è stato osannato e omaggiato così tanto bene. La storia merita la sua lettura attenta, la comprensione e la piena partecipazione emotiva del lettore in ogni piccola vignetta. Ogni segno, ogni ferita, ogni mancanza, è una scelta ben precisa, un'accuratezza che va trovata e che va presa con non poca attenzione.
Quando un fumetto si predilige lo scopo di parlare, di usare le immagini per sparare in bocca le parole. Ho usato fin troppi significanti per descrivere un'opera fumettistica d'alto livello. Quanto bisogna parlare e parlare per convincere a leggere, a conoscere? A volte bisognerebbe stare zitti, altre dir parole fino alla nausea.
Non ho minimamente cercato di dare una visione accattivante e d'incitazione per portare chiunque alla lettura di quest'opera, ci sono lettori e lettori, amanti del genere e non, eppure a volte si chiude gli occhi, si serra il cervello e si evita di trattare temi esposti in modo così esplicito. Non sono perdite di tempo leggere questioni differenti dal solito mangime, bisognerebbe guardare cose che ci arricchiscono che ci portano a ragionare e a riflettere.
È così sbagliato a questo punto, usare tante parole per descrivere un'opera, il quale modo d'accusare ne è privo?


9.0/10
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Il manga, nonostante le apparenze, parla di tutto fuorché del baseball. Tetsuwan Girl miscela un insieme di tematiche abbastanza eterogenee dove lo sport serve solo da collante per creare un racconto dinamico ed accattivante, che non vuole essere allegorico a tutti costi ma gioca su quel filo.

Due sono i temi principali, a mio modo di vedere. Il primo è il rapporto di sudditanza tra i perdenti e i vincenti: fino a quando i giapponesi si sentiranno inferiori agli americani per aver perso la dannata guerra? Fino a quando dovranno abbassare la testa?
Il racconto di Takahashi esprime la voglia di riscatto di un popolo, complice l’ambientazione nel dopoguerra.

Contrariamente a quanto avviene nelle opere ad esempio di Tezuka, qui il tono è però molto meno autocritico, meno equilibrato e più polemico. Takahashi è un autore ormai lontano dalla guerra, e non conosce le mezze misure. Ama tirare coltellate più che lavorare di bisturi. Per questo l’opera è in un certo senso antiamericana, per lo meno è contro un certo occidente; è contro quella parte di popolazione arrogante, principalmente bianca, che ancora oggi è o pensa in modo schiavista e razzista, ha idee fondamentalmente colonialiste e, in virtù di una supposta superiorità, si sente di potere tutto.

Più della metà del manga racconta sullo sfondo il tentativo di un piccolo colpo di coda dell’animale ferito ed agonizzante (il Giappone, rappresentato dall’Istituto di bellezza Hibiya) nei confronti del grande mostro capitalista (l’America, nella persona del potente Richard Banks). Si noti: un istituto di bellezza contro un grande finanziere che, come si vedrà, di bello non ha proprio niente. A parte una figlia viziata oltre misura, tanto bella quanto marcia. Una scena tra le più scioccanti avviene proprio tra il famoso banchiere e la proprietaria dell’istituto di bellezza, Isuzu Ranzaki, nella quale la tematica si esprime su molteplici livelli: politico, economico, morale e sessuale.

Isuzu, imprenditrice, compartecipa naturalmente al tema forse predominante, e cioè l’emancipazione femminile: fino a quando le donne vivranno della luce riflessa degli uomini, in una società di uomini? L’argomento è più generale (meno giapponese) e si sviluppa sulla vicende di Tome Kano, la bella donna dal braccio di ferro e vera protagonista dell'opera.

All’inizio della storia Tome non sa cosa vuole e si barcamena insieme alle altre come entraineuse per i soldati americani in un locale notturno. In uno scenario fortemente sfavorevole al suo sesso, è costretta a sfruttare l’unica merce che le è possibile vendere: la propria bellezza. Ma, mentre la proprietaria dell’istituto Hibiya è più disposta a scendere a compromessi con gli uomini per il proprio benessere, Tome è invece insoddisfatta e svogliata. Fondamentalmente, vuole di più e non esita a pretenderlo. Non desidera vivere della luce riflessa di qualche uomo potente, dei suoi soldi, delle sue attenzioni. Ritaglia anzi per se stessa il ruolo di “sole” e, per il proprio uomo che accetta tale ruolo con spirito di sacrificio molto orientale, quello di “luna”.

L’aspetto più sconcertante dell’opera è una certa qual sua ambiguità: se da un lato ha certamente toni femministi, dall’altro bisogna sottolineare come Tome Kano trovi la propria vocazione per merito o per colpa di altri. Non si può dire che abbia un percorso di crescita: è già fin dall’inizio ciò che molte altre donne vorrebbero essere ma, per i più svariati motivi, non saranno mai. Infatti alla fine in molti sensi fallirà. Perché Tome è sola, come lo sono soltanto gli eroi, tradizionalmente maschi: non sola cioè perché lasciata tale, e quindi una figura patetica, ma perché decide di esserlo sfidando il mondo intero che le è avverso. Ed è proprio nelle sfumature come questa, che fanno il paio con lo sfumato delle vignette più evocative, che vanno ricercati gli argomenti interessanti del manga.

Per concludere, Tetsuwan Girl è un manga da leggere e, probabilmente, rileggere.


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È da un po' di tempo che tengo d'occhio Kaoru Mori, da quanto ho visto l'anime di Emma, l'anno scorso. Quando ho sentito che Otoyomegatari era un'opera di questa autrice non me lo sono fatto sfuggire, convinto a priori che sarebbe stato un lavoro di ottima fattura. Ho scoperto di essere stato troppo prudente, perché Otoyomegatari va ben oltre l'ottima fattura: si tratta un'opera completamente fuori scala rispetto alla media dei manga moderni, originalissimo sia come contenuti che come forma grafica, uno dei manga migliori che abbia mai letto. Per dirla tutta, non conosco nessuna disegnatrice moderna paragonabile a Kaoru Mori e non posso fare altro che risalire fino ad un mostro sacro come a Yumiko Igarashi per trovare un'autrice che mi abbia impressionato altrettanto dal punto di vista grafico.

Kaoru Mori comunque non è soltanto una disegnatrice eccezionale, è un'autrice di tutto rispetto anche per quanto riguarda storia, ambientazioni e personaggi. L'ambientazione di Otoyomegatari è qualcosa che non avevo mai visto prima in un manga: l'Asia Centrale nel XIX secolo, tra i nomadi della steppa, sullo sfondo dei conflitti politici anglo-russi per il controllo dell'Asia. È un'ambientazione alla Michele Strogoff, per intenderci, ma da un punto di vista completamente femminile. Il centro d'attenzione di Otoyomegatari non è la politica, la storia, la geografia e neppure i conflitti tra nazioni e clan, tutte cose che comunque sono presenti sullo sfondo: l'attenzione invece è concentrata sulla vita quotidiana dei nomadi e sui prodotti della loro cultura, in primo luogo gli abiti, i ricami, le acconciature; a questo si aggiunge un'attenzione fortissima ai panorami, alla natura, alla rappresentazione di animali e piante. Non per questo la raffigurazione della figura umana è trascurata e i personaggi sono tutti rappresentati con uno stile riconoscibilissimo (lo stesso di Emma) che fa il verso allo stile classico dello shojo anni settanta. Ho fatto prima il nome della Igarashi, di cui vedo l'influenza nella rappresentazione dei personaggi ma anche e soprattutto nel gusto per il dettaglio. La cura nel disegno di abiti, monili, cappelli e capelli è incredibile. In alcune (rarissime) tavole la Mori ci delizia con dei nudi femminili di altissima qualità che nulla hanno a che fare con il grossolano fanservice a cui ci hanno abituato i manga moderni. In generale si può dire che opere della Mori sono quanto di più lontano si possa trovare dalle mode contemporanee: tutte le sue opere sono decisamente proiettate verso il passato, sia come ambientazione che come stile grafico.

Volendo essere imparziali non sarebbe difficile criticare Otoyomegatari. Per esempio si potrebbe facilmente sostenere che i nomadi dell'Asia Centrale non erano certo così belli, eleganti e puliti come vengono raffigurati nel manga; io personalmente me li immagino simili ai messicani con i denti marci dei film di Sergio Leone, immersi nella puzza di cavallo e intenti a cucinare su fuochi alimentati da sterco di cammello. Tutti i personaggi della Mori invece sono di una bellezza e di una dolcezza di tratti assolutamente irrealistici: sembrano tutti giovanissimi, anche i personaggi maturi, senza nessuna imperfezione, anche quelli che dovrebbero essere feroci e che ci immagineremmo coperti di cicatrici. La famiglia di adozione di Amira, la sposa protagonista della storia, sembra composta di santi, anche se si potrebbe immaginare che il nomade tipo della steppa fosse mezzo ubriaco e dedito a picchiare moglie e figli. Del resto la stessa Mori riconosce questa realtà, visto che ci narra che le sorelle di Amira sono morte per i maltrattamenti subiti da un marito crudele. Tutto questo però viene narrato, non vediamo nulla di perturbante a livello grafico e l'esistenza di Amira sembra essere paradisiaca. Tutti i bambini sono dei cherubini, tutte le donne sono stupende, i giovani uomini sono quasi più belli delle donne, gli uomini maturi sono fascinosi e perfino i vecchi e gli anziani sono interessanti. A livello caratteriale l'inverosimiglianza è probabilmente ancora più grande che a livello estetico: Amira è una straniera ma viene accolta subito benissimo, non esistono invidie femminili e contrasti tra suocera e nuora, il marito dodicenne è un perfetto gentiluomo piuttosto che un marmocchio indisponente sposato suo malgrado ad una donna con otto anni più di lui. Anche le (poche) scene di violenza sono di grande bellezza, non esistono sangue, sudore e sporcizia nel mondo di Kaoru Mori.

Ma Otoyomegatari è un manga, non un documentario scientifico, né un saggio di antropologia, anche se il paragone con opere di questo tipo è inevitabile. Non ho intenzione di andare a criticare l'assenza di realismo; anche perché non è necessariamente detto che sia tutto falso, i buoni sentimenti e la dolcezza senz'altro esistevano anche nella steppa, assieme ai sentimenti meno nobili. Otoyomegatari dà senza dubbio una visione parziale della vita, ma non è una visione falsa; e quali fossero le vere relazioni interpersonali tra i nomadi della steppa non è così importante, visto che si tratta di un'opera scritta per il lettore contemporaneo. Personalmente non considero la dolcezza un difetto e tutti i personaggi della Mori mi piacciono molto. Si noti bene che parlo di dolcezza e non di mielosità, che è completamente assente. Le opere della Mori non sono sdolcinate, anzi c'è un notevole grado di drammaticità, dovuto solitamente alla presenza di storie d'amore contrastate dalla famiglia di appartenenza. Questo è stato il tema portante di Emma ma è chiaro dalla lettura dei primi tre volumi che sarà anche il tema portante di Otoyomegatari. Un tema tradizionale e apparentemente antiquato dello shojo, eppure un tema inesauribile che Kaoru Mori sa sfruttare alla perfezione. In questi primi volumi Otoyomegatari è progredito su un registro piuttosto leggero, eppure ho il sospetto che la serie cambierà registro nel futuro e che le storie dei protagonisti prenderanno una piega molto più drammatica nel proseguo dell'opera, che è soltanto all'inizio. Ho anche il sospetto che questa sarà un'opera di ampio respiro in molti volumi che ci accompagnerà per degli anni. Vedremo se ho ragione.

La lettura delle opere di Kaoru Mori è raccomandata a chi ama i personaggi timidi. Otoyomegatari non fa eccezione e tutti i personaggi principali (la sposa Amira, il marito-bambino Karluk, l'amica espansiva Pariya e l'esploratore Mr Smith) sono timidissimi; un numero considerevole di tavole viene speso a rappresentare i loro rossori e i loro silenzi; incidentalmente, la Mori è una delle autrici che sa fare il miglior uso dei silenzi. Otoyomegatari è uno slice of life storico, motivo per cui potete trovare interi capitoli dedicati all'arte del ricamo, all'arte culinaria, o alla preparazione del pane. Questo non vuol dire che non ci sia una trama sottostante (c'è) e che non ci sia azione: ci sono anzi varie scene d'azione, tra l'altro disegnate magnificamente. La storia e e il background dei personaggi ci sono e danno anche l'impressione di essere molto solidi, ma gli avvenimenti si svolgono lentamente perché questo è il passo richiesto dall'opera, e scopriremo i dettagli a poco a poco con il passare dei volumi. Dopo aver letto i primi tre volumi di Otoyomegatari non considero più Kaoru Mori come una giovane promessa, ma come la migliore disegnatrice attualmente sulla scena contemporanea. Aspetto con pazienza che venga realizzata la serie anime di Otoyomegatari, perché vedere le illustrazioni della Mori a colori, accompagnate da animazioni, giochi di luce ed una musica appropriata deve essere un'esperienza impagabile. Dico che aspetto con pazienza perché il delitto più grande che si potrebbe fare è iniziare l'anime troppo presto e inventarsi un finale ad hoc prima che il manga sia concluso.


9.0/10
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Questo volumetto incarna quello che mi aspetto da una raccolta, ovvero una serie di spunti intelligenti raccontati in modo efficace e fluido, alternando in questo caso storie più serie ad altre più leggere e divertenti, nonostante nessuna di essere si possa considerare spensierata.

Fra le cinque proposte sicuramente la prima, che dà il nome alla raccolta, è la più ispirata e profonda. Racconta di come l’umanità cerca di sopravvivere alla distruzione dell’ecosistema terrestre, ormai irreversibilmente danneggiato e indirizzato verso un lento e inesorabile deterioramento che renderà il pianeta invivibile a qualsiasi forma di vita. Vengono scelti due progetti: uno che si rivolge al cielo e allo sconfinato universo, che mira a ricostruire l’umanità su un pianeta con caratteristiche simili alla Terra. Viene immagazzinata su una nave tutta la conoscenza umana e il materiale genetico necessario al computer per ricreare l’uomo una volta giunto a destinazione. Il secondo prende spunto dall’arca di Noe e mira a conservare sulla Terra tutto il DNA delle specie attualmente esistenti sul pianeta, creando un sistema computerizzato autonomo in grado di resistere nei millenni successivi, anche dopo l’estinzione delle forme di vita del pianeta. Lo sceneggiatore si concentra su questo progetto e mostra come l’unita computerizzata si dia da fare per contrastare l’usura provocata dal tempo e contrastare l’ambiente terreste, ormai in balia di forze primordiali ed estreme. Quanto a lungo a potrà resistere?
Un racconto intelligente e per nulla banale, raccontato con ottima perizia e sensibilità, che a tratti riesce ad essere quasi commovente. Un vero gioiello, da solo varrebbe l’acquisto del volumetto.

Come bonus vengono offerti altri 4 brevi racconti, tutti di piacevole lettura e piuttosto ispirati, con tematiche ambientaliste o comunque catastrofiche, che spesso vedono l’umanità sull’orlo dell’estinzione, seppur a volte con preamboli davvero paradossali.

Uno di questi può essere visto come un critica alla pesca intensiva perpetrata dallo stesso Giappone, con uno scienziato determinato a gustare ancora una volta il sapore di una qualità di tonno ormai estinta e che lo lega al padre defunto. Cosa riuscirà a conquistare in questa sua folle ricerca? A che rischi esporrà l’umanità? Decisamente un racconto dai risvolti strampalati, ma magistralmente confezionato e presentato al lettore.
Oppure, sempre per rimanere in tema catastrofista, seppur questa volta con ispirazione religiosa, curioso quello in cui si racconta la genesi di colui che porterà all’estinzione la razza umana.
Per finire, negli altri due, c’è anche spazio per un breve fantasy e una drammatica storia d’amore.

In mezzo alle storie, dei brevissimi racconti monopagina, in grado di far sorridere e spezzare un po’ la visione non certo ottimista proposta dall’autore.
Una raccolta di grande qualità, proposta in modo impeccabile da parte di Panini.
Imperdibile se amate la fantascienza, comunque da tenere in considerazione per tutti gli altri.


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Se in questi ultimi anni il grande pubblico ha imparato a conoscere e ad apprezzare le storie a sfondo medico, lo deve senza ombra di dubbio, più di ogni altro mezzo, alla televisione. Da E.R. a Grey’s Anatomy e da Dr. House fino a Scrubs, i medici oggi sono tra i protagonisti indiscussi di un filone narrativo che, nonostante sia forse eccessivamente sfruttato, continua a riscuotere un ampio successo. Se per il pubblico televisivo dunque assistere alle vicende di équipe mediche in azione è la normalità, difficilmente un lettore potrebbe fare altrettanto sulle pagine di un fumetto... o almeno questa era la regola fino a qualche mese fa. Da giugno 2009, infatti, anche i lettori di manga hanno finalmente la medesima possibilità grazie alla pubblicazione, da parte di Planeta DeAgostini, di Team Medical Dragon, seinen di Taro Nogizaka e Akira Nagai (medico e giornalista scomparso nel 2004) realizzato con la supervisione medica di Mie Yoshinuma.

Arrivato da noi attualmente al quarto volume, Team Medical Dragon è un manga che, in virtù della specificità delle vicende narrate e per la presenza di alcune scene un po’ forti, è consigliato espressamente dall’editore ad un pubblico maturo. Ci troviamo dunque davanti ad un’opera che può essere facilmente considerata “di nicchia”, per questo anche il prezzo di € 6,95, va visto senza dubbi in quest’ottica.
E’ bene però sapere che se da noi la scelta di pubblicare l’opera può essere vista come una mossa coraggiosa da parte della Planeta, in realtà in Giappone il manga sta riscuotendo un notevole successo, sia di critica che di pubblico.
Giunto in patria al ventunesimo volume e tuttora in prosecuzione, Team Medical Dragon è infatti più volte entrato nelle classifica dei manga più venduti ed è stato premiato nel 2005 con lo Shogakukan Manga Award, riconoscimento che ha visto negli anni, fra le varie vincitrici, anche opere del calibro di Touch, Slam Dunk e 20th Century Boys. Il successo dell’opera inoltre è testimoniato dalla sua trasposizione in un pluripremiato drama televisivo, suddiviso in due stagioni e trasmesso da Fuji TV a partire dal 2006.

La trama di Team Medical Dragon, sebbene il manga sia precedente a molte delle produzioni americane più famose, ad una prima occhiata potrebbe apparire ad un lettore abituato alle serie televisive come qualche cosa di già visto. In realtà, al di là delle varie situazioni in cui il protagonista si trova a dover far ricorso a tutte le proprie abilità mediche, il manga di Nogizaka e Nagai di capitolo in capitolo dimostra sempre più come l’opera sia pensata per mostrare degli aspetti del tutto originali. In poche parole, chi pensa di trovarsi davanti ad una sorta di Dr. House giapponese si sbaglia di grosso.
Ryutaro Asada, un geniale chirurgo cardiotoracico, un tempo a capo di un team medico di primo livello presso un campo profughi africano e costretto a non poter più esercitare la propria professione a causa di alcuni contrasti con il proprio ospedale di provenienza, viene invitato dall’ambiziosa dottoressa Akira Kato, professore associato dell’ospedale universitario Meishin, a creare una nuova équipe medica in grado di portare a termine con successo una difficilissima operazione chirurgica, la famosa quanto temuta “Batista”. L’opportunità di poter portare a compimento l’operazione in questione dunque costituisce l’innesco di una storia che vedrà intrecciarsi una serie di interessi ad essa legati: quelli della dottoressa Kato che nella tesi sulla Batista vede la possibilità di scalare le rigide gerarchie di un sistema da sovvertire, quelli del carismatico e geniale Asada il quale dall’alto del proprio rigore morale cercherà di ripulire l’ospedale dal degrado in cui versa, e quelli dei professori che, al contrario, hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo.
Proprio tali interessi svelano dunque la vera essenza della storia: l’opera rappresenta una dura critica proprio nei confronti del decadente sistema sanitario giapponese. Un sistema capeggiato da potenti professori senza scrupoli che occulta errori e corruzione a scapito della salute dei malati, visti più come cavie che come pazienti da salvare. Un sistema feudale dunque dove l’etica professionale è continuamente umiliata dal tornaconto personale e dagli interessi economici delle case farmaceutiche.

Se le tematiche affrontate dal duo di autori per mezzo delle imprese di Ryutaro Asada rappresentano dunque l’elemento centrale e più importante del manga, l’aspetto grafico non è certamente da meno. In tutta sincerità, ritengo di aver visto raramente un tratto pulito e deciso come quello di Nagizaka, abile sia nell’utilizzo dei retini che dei chiaroscuri funzionali nel dare profondità ai personaggi. Anche i momenti più frenetici son resi perfettamente attraverso un frequente ricorso alle linee cinetiche; contrariamente in quelli dove è necessario riprodurre la calma di una sala operatoria, l’autore dimostra una padronanza assoluta dei propri mezzi, rendendo tutto perfettamente comprensibile, particolareggiato e plausibile.
Il character design inoltre è estremamente funzionale nell’evidenziare non solo la fisicità dei personaggi, ma anche nel trasmettere al lettore la diversa indole degli stessi. Da una parte Asada, il cardiologo Fuiyoshi o la dottoressa Kato ad esempio, mostrano un vigore fisico ed una muscolatura perfettamente aderenti al proprio rigore morale. Al contrario i professori, vecchi, avidi e meschini, appaiono addirittura grotteschi negli atteggiamenti e nelle posture. In virtù di ciò oserei dunque definire Team Medical Dragon un manga “armonico”. Sviluppo della storia e disegni si integrano alla perfezione rendendo l’opera nel suo complesso, un qualche cosa di più della semplice somma delle proprie parti.

L’edizione della Planeta è del tutto simile a quella vista per Gaku. La carta, la stampa, la rilegatura e la sovracoperta sono di buona qualità. La lettura risulta comoda salvo alcuni casi in cui per leggere le note tecniche è necessario aprire il volume un po’ più del necessario. In generale comunque l’albo è abbastanza resistente e maneggevole, dunque non dovrebbero esserci problemi. Ciò non toglie comunque che il prezzo di quasi 7 euro risulti eccessivo, specialmente se si considera che case editrici come JPop o Flashbook, anche a prezzi inferiori, propongono edizioni molto più curate, con pagine a colori e contenuti extra, elementi questi del tutto assenti nel titolo in esame. Ad incidere ulteriormente sulla qualità globale dell’edizione è anche la mancanza delle onomatopee tradotte, le quali negano al lettore la possibilità di “ascoltare” le tavole. Per risolvere il problema basterebbero delle piccole note in fondo alle pagine, ma la Planeta, da questo punto di vista, sembra non sentirci. Altro elemento su cui si discute parecchio quando si parla delle opere della DeAgostini riguarda le frequenti disattenzioni ortografiche e gli errori grammaticali: da quanto visto fino ad ora, a parte qualche ininfluente errore ortografico, peraltro comunissimo in tutti manga di qualsiasi editore, non ho riscontrato alcun grave problema. Al contrario della questione delle onomatopee dunque, qui sembra che la Planeta abbia imparato dai propri errori di inesperienza.

In conclusione, nonostante Team Medical Dragon possa essere considerato, come già detto, un manga “di nicchia”, credo di non sbagliare troppo nel consigliarlo ad un pubblico più vasto possibile. Al di là delle apparenze infatti, pur essendo un’opera legata ad una particolare professione, il manga di Nogizaka e Nagai può essere sottoposto a diversi livelli di lettura. Il concetto di team capeggiato da un leader carismatico, simpatico e determinato unito ad una buona dose di azione e di umorismo, ad esempio, rendono l’opera accessibile anche ad un pubblico più giovane ed abituato ai più famosi shonen d’azione. Anche il disegno, non troppo serioso, ed accompagnato da uno sporadico fan service, aiuta in questo senso.
Allo stesso modo, molte delle vicende trattate faranno la felicità di un pubblico più maturo ed alla ricerca di particolari spunti di riflessione. L’estrema somiglianza tra il contesto rappresentato e quello del nostro Paese, dove il problema della malasanità è un dramma reale che tocca da vicino molti di noi, è solo una delle tante tematiche proposte nel manga e degne di un’attenzione particolare. Argomenti come quello del rapporto umano tra medici e pazienti, del tentativo di suicidio come fuga da una realtà insostenibile, della qualità della vita nei malati allo stadio terminale, oppure dei possibili errori con cui si è costretti ad avere a che fare, fanno emozionare, pensare ed indignare il lettore, ma al tempo stesso contribuiscono ad un unico scopo: umanizzare la figura stessa dei medici, spesso percepiti in maniera un po’ astratta, se non vaga, ma concretamente gravati da responsabilità elevatissime.