Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Apertura di settimana con venature sentimentali: 5 centimetri al secondo, Miha Paradise e AnoHana.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


-

Se state leggendo questa recensione significa che volete sapere se vale la pena "specare" un'ora della vostra vita vedendo quest'opera. Se volete la mia opinione personale, io vi dico: sì, ne vale assolutamente la pena. I vostri occhi prima e il vostro cuore poi vi ringrazieranno.
La storia ruota attorno a Takaki e Araki, due bambini che si conoscono a scuola e legano subito, accomunati dai continui trasferimenti e da una salute leggermente cagionevole. Quando, alle soglie dell'adolescenza, la loro profonda amicizia potrebbe trasformarsi in qualcosa di più, Araki deve nuovamente trasferirsi. Inizia così un'intensa corrispondenza che culminerà con un incontro prima dell'ennesimo trasferimento e che segnerà per sempre la futura vita di entrambi.

Ma, oltre ai personaggi e alle loro storie, due sono i veri protagonisti di quest'anime. Innanzitutto l'amore idealizzato, perché non vissuto ma cristallizzato in un istante perfetto, oppure perché non corrisposto, come nel secondo episodio, fra Takaki e una sua compagna di scuola. Un sentimento che, proprio perché non corroso dalla quotidianità, diventa così puro da essere ineguagliabile e che porterà Takaki a rinchiudersi in se stesso e a non essere capace di vivere fino in fondo la sua vita e quello che gli offre.
La natura è l'altra compartecipe di questo affresco, dipinto in maniera superba dal regista Shinkai, moderno pittore di vedute, che grazie alla sua tecnica è stato paragonato ai grandi nomi dell'animazione giapponese come Miyazaki. Essa occupa ogni scena, sotto forma di neve, di mare o di petali di ciliegio ed è resa in maniera così realistica, così perfetta e precisa da togliere il fiato; riusciamo quasi a percepire il freddo intenso dell'abbondante nevicata del primo episodio, la brezza marina e il calore estivo nel secondo e nel terzo la leggerezza delle migliaia di petali che scendono a terra alla velocità di 5 cm al secondo, che danno il titolo all'opera.

Si riesce ad apprezzare tutto questo grazie all'ottima grafica: il disegno è pulito, nitido ma mai freddo, ricco di particolari che rendono il quadro sontuoso senza essere stucchevole. La presenza del computer non è mai ingombrante, né fastidiosa ma serve solo a rendere l'impatto visivo ancora più coinvolgente.
Originale la chiusura, affidata a una canzone il cui testo riassume bene i sentimenti dei protagonisti e che lascia intravedere comunque un barlume di speranza. Triste ma non melenso, "5 Cm Per Second" non indulge nella lacrima facile, ma lascia molto su cui riflettere. Per apprezzarlo appieno bisogna essere nello spirito d'animo giusto, perché è una storia che non fa sconti.



7.0/10
-

Qualche anno dopo il fortunatissimo "Ai shite knight", la mai troppo compianta Kaoru Tada ci riprovò. Ecco ancora una volta una giovane, Narumi, e due affascinanti cantanti rock, Ichiro e Keisuke. L'amore, le lacrime, i triangoli, le fans inviperite, i capelli cotonati e i giubbotti di pelle con le borchie.
L'incipit, praticamente, è ancora una volta lo stesso: una ragazza che viene introdotta da un'amica al mondo della musica rock, da lei ignorato fino a quel momento, e finisce per invaghirsi di un cantante.

Un "Kiss me Licia remixed & revisited", che però manca della forza espressiva e innovatrice posseduta dalla storia di Yakko e Go.
La brevità della storia (due volumi di cui il secondo occupato per circa metà da una storia breve che non c'entra con "Miha Paradise"), infatti, non permette a Narumi, Ichiro e Keisuke di scolpirsi troppo nella memoria dei lettori. Narumi è un personaggio assolutamente standard, dal background e dal carattere poco interessanti, mentre di Ichiro praticamente non si sa nulla e appare come un personaggio piatto e un po' schizofrenico nei suoi comportamenti. Dei tre, il personaggio che spicca maggiormente è Keisuke, una rockstar tutta particolare, che appare oscuro, scorbutico e minaccioso quando in realtà è molto tranquillo e per nulla superbo.
Manca, purtroppo, una delle caratteristiche che aveva permesso al lettore di adorare "Ai shite knight" e che successivamente gli farà adorare "Itazura na kiss", ossia la presenza di tanti personaggi, tutti ben caratterizzati e divertenti. Qualche personaggio secondario "Miha Paradise" lo presenta, ma non sono poi così memorabili. Non troveremo, fra le tante groupies più o meno oche che popolano questa storia, un altro Shige-san, un Hashizo, un Giuliano, un Sudo-senpai, e anche i genitori di Narumi sono meno scoppiettanti rispetto a ciò che ci si aspetterebbe da un fumetto della Tada.
Il setting è, ancora una volta, il mondo giovanile del Giappone degli anni '80, quello delle live house e delle rockband. Il Giappone di "Miha Paradise" ha però quasi completamente accettato questa realtà filo-occidentale e, salvo un paio di fugaci frecciatine verso il finale, non c'è quel culture clash così esasperato, divertente e realistico allo stesso tempo, che era parte integrante di "Ai shite knight" e ne aveva decretato il successo.

Quel che rimane è una storiella d'amore piuttosto superficiale che si svolge sullo sfondo degli anni '80. Anni '80 sapientemente dipinti (il solo vedere raffigurata su uno sfondo una maglietta dei Blues Brothers mi farà alzare di un punto il voto di questa recensione), ma che non bastano a far scolpire nel cuore del lettore la vicenda della giovane Narumi, che sarà una fugace lettura sì piacevole ma anche poco memorabile. Molto graziosa, nella sua semplicità, è invece la storia breve che chiude la serie, dove la Tada torna a parlarci di amori che nascono grazie a vivaci bimbi ficcanaso Hashizo-style.
"Miha Paradise" è una storia molto breve e semplice, che non lascia troppo il segno. E' abbastanza piacevole e i fans del mondo degli anni '80 dovrebbero dargli un'occhiatina d'obbligo, ma dall'autrice ci si aspettava molto di più, e il rimpianto per ciò che sarebbe potuto diventare e non è stato, purtroppo, è grande.



-

Sinceramente, mi aspettavo qualcosa di più.
Non che sia "Anohana" un brutto anime, intendiamoci. Ma dopo i primi due meravigliosi episodi, intrigante premessa di quello che sarebbe potuto essere un capolavoro, la narrazione perde progressivamente mordente, con l'inevitabile conseguenza - almeno da parte mia - di un brusco calo di interesse per questa serie animata.

La storia, bene o male, la conosciamo tutti: Jintan, hikikomori adolescente segnato dai lutti dell'infanzia, ha la facoltà di vedere il fantasma di Menma, compagna di giochi tragicamente morta quando entrambi erano bambini.
Causa della permanenza terrena di Menma è il desiderio di riunire nuovamente i "Super Peace Busters", il gruppo di amici di cui faceva parte insieme a Jintan, i cui membri si sono progressivamente separati e allontanati proprio a causa della scomparsa della ragazza.
Afflitti dai sensi di colpa, egoisticamente protesi verso la ricerca di un affrancamento dal loro passato doloroso, i componenti del suddetto gruppo riallacceranno progressivamente i rapporti, vincendo, grazie alla mediazione dell'eterea Menma, quei rimorsi che, come macigni, pesano sulle loro vite, fino alla scontata - ma, in un'opera del genere, necessaria - palingenesi finale.
Trovo che la trama sia originale, resa interessante da un'analisi (in parte) ben fatta dell'evoluzione psicologica dei personaggi dall'infanzia all'adolescenza, i cui traumi, essenziali nel plasmare la loro personalità e il loro comportamento, vengono accuratamente descritti, non senza una discreta dose di pathos; mi sono piaciuti, in particolare, i brevi flashback sulla malattia della madre di Jintan.
A livello grafico, disegni e animazioni sono di buona fattura, nonostante nelle puntate immediatamente precedenti a quella conclusiva si osservi un leggero calo qualitativo.
Bellissime, e orecchiabili, entrambe le sigle.

Purtroppo, accanto ai lati positivi elencati, ce ne sono perlomeno altrettanti negativi, che non posso trascurare e che, dal mio punto di vista, svalutano parzialmente l'opera in questione.
Primo fra tutti, il modo in cui viene inserito nella narrazione l'elemento paranormale. Se all'inizio della storia Menma appare una via di mezzo tra un'allucinazione della mente di Jintan e una presenza spirituale - scelta a mio parere azzeccata -, con il prosieguo della vicenda il fantasma della ragazza acquista sempre più una dimensione "fisica": muove oggetti, scrive, interagisce con le persone, e - cosa alquanto ridicola - mangia (il che mi fa supporre che uno spirito debba assolvere a tutte le funzioni fisiologiche tipiche di un essere umano).
Capisco che non si volesse sceneggiare un dramma psicologico, quanto piuttosto un'opera melodrammatica, ma, in base a quanto detto poc'anzi, certe soluzioni narrative sono davvero incomprensibili: perché, ad esempio, solo Jintan può vedere lo spirito di Menma? Perché, se Menma può fisicamente modificare l'ambiente, le sue parole invece non possono essere percepite?

Evitando di dare spiegazioni metafisiche si finisce per rendere il tutto un polpettone stile "Ghost", dove è lecito avvalersi di ogni espediente possibile per strappare quella benedetta lacrimuccia allo spettatore più incline al sentimentalismo (e, badate, certe volte lo sono anch'io!).
Analogamente, molte altre scene che vorrebbero essere struggenti, soprattutto quelle di pianto collettivo, appaiono forzate, quasi fastidiose, alimentando il sospetto che la parte più drammatica dell'anime nasconda, ahimé, l'assenza di sentimenti genuini.
Non parliamo infine dei cambiamenti repentini, e ingiustificati, che certi personaggi hanno a un certo punto della storia: Yukiatsu, ad esempio, che da sempre alterna disprezzo e invidia nei confronti di Jintan, tutto a un tratto sembra diventare il suo migliore amico, dimenticando d'embleé tutte le incomprensioni e tutti i contrasti avuti.
Sarò io a non comprendere la magia e il candore dell'amicizia pura? Può darsi.
Allo stesso modo non capisco certe dinamiche amorose dell'anime, a mio parere un po' artificiose.

Nonostante i difetti riscontrati, "Anohana" si dimostra comunque una piacevole visione, sorretta da una realizzazione tecnica all'altezza; se affrontata con il giusto spirito, ovvero sedendosi in poltrona senza badare troppo alle falle della sceneggiatura, può rivelarsi decisamente gradevole, soprattutto agli amanti delle storie dichiaratamente strappalacrime.