Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo ad anime fantasy, con Sword Art Online, I cieli di Escaflowne e Final Fantasy OVA.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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La cosa più interessante di questo "Sword Art Online" è stato constatare come ormai la porta aperta dai fratelli Wachowski sia letteralmente stata divelta dai cardini, e certe tematiche siano ormai all'ordine del giorno, che si assista a un film in 3D nel miglior cinema della città o a un anime di questi ultimi tempi. Concetti come realtà virtuale o MMO (i famosi giochi online di massa, cui si rifà questo "Sword Art Online") sono trattati con una semplicità estrema, visto che questi ultimi concetti sono ormai stati assimilati dalla gran parte delle persone che fruiscono di questi media.

Chiuso questo veloce incipit, passiamo alla disanima dell'anime, che pur avendo riscosso in patria un grandissimo successo e, a quanto ho visto, suscitato un forte interesse anche qui in Italia (si vocifera di un forte interesse di Rai4, se non vado errato), non può non lasciare con l'amaro in bocca chi, come me, si era effettivamente appassionato moltissimo a seguire le vicende di Kazuto ed Asuna, nel mondo virtuale di "Sword Art Online".
E in quest'ultima ultima frase è racchiusa un po' la chiave di lettura dell'anime, che si rivela appassionante ed equilibrato finché si svolge ad Aincrad (il mondo virtuale, ambientazione del gioco Sword Art Online, da cui deriva il titolo), zoppicante e a volte risibile quando l'azione si sposta nel nuovo mondo di ALfeihm, in cui è ambientata la seconda metà della serie. E il voto stesso che avete visto, rappresenta un po' una sorta di media (generosa) tra l'ottima valutazione del primo arco e la pessima riuscita del secondo.
Pur non essendo immune da difetti, la prima fase dell'anime, infatti, riesce a catturare decisamente lo spettatore, che, pur non ottenendo risposte convincenti ai numerosi dubbi che il background della trama fa sorgere (possibile che le autorità non possano interrompere il folle disegno di Kayaba Akihiko? Possibile modificare un hardware - il Nervegear - a un livello così profondo, tramite solo delle istruzioni software, da consentirgli di nuocere all'utilizzatore?), chiude volentieri un occhio, appagato dalla convincente sensazione di trovarsi anche lui tra i meandri di uno dei dungeon del gioco, in compagnia dei nostri eroi, o ad ammirare uno dei paesaggi, virtuali, ma incantevoli, generati dall'incredibile motore del gioco. Da metà circa della serie in poi, però, l'incanto svanisce e i nodi cominciano a venire al pettine. Per qualche motivo, che immagino sarà di natura prettamente commerciale, gli autori infatti sembrano "stancarsi" dell'ambientazione di Aincrad, chiudendola in tutta fretta in un paio di episodi, per poi trasferire il canovaccio in quella di ALfeihm, che si rivelerà molto più fragile a livello di coerenza ed equilibrio. Da questo momento il meccanismo che fino a quel momento sembrava funzionare si inceppa, e sempre più spesso gli autori ricorrono ripetutamente al pessimo espediente, di dragonballiana memoria, del deus ex machina. E poco importa se per far ciò vengono calpestate anche le leggi più logiche e di buon senso che governano le regole e la fisica di un videogioco o del semplice comportamento umano.
A seguire in modo coerente questo andamento altalenante della serie, infatti, contribuiscono anche i personaggi, che, se appassionano e convincono nel primo arco, non mancano di lasciare basiti nel secondo. Prima tra tutte è la sorellastra di Kazuto, che risulta un personaggio davvero mal concepito, vista l'immancabile (ahimè) attrazione per il fratellastro e la razionalmente poco credibile scelta di fiondarsi in un gioco online lei stessa, poco dopo che il fratello ne era appena, traumaticamente, uscito. Giudizio analogo va anche all'antagonista del secondo arco, tal Sugou Nobuyuki, che nella sua rappresentazione da psicopatico, supera decisamente l'eccesso, in nome di un fanservice sfrenato e discutibile che lo vede eccitatissimo torturatore di un'indifesa Asuna, nel penultimo episodio.
A rimanere per fortuna di buon livello sono gli scenari, davvero bellissimi in entrambi gli archi, anzi, se vogliamo essere precisi, forse migliori nel secondo, grazie al fatto che i giocatori nel mondo di ALfeihm possono volare, e grazie a ciò possiamo assistere quindi a delle belle visuali "a volo d'uccello". Ottima devo dire anche la caratterizzazione estetica dei personaggi, con la bellissima Asuna a spiccare tra tutti, e dei vari mostri del gioco.

In conclusione, ancora una volta, si assiste, con rammarico, all'ennesima occasione sprecata di offrirci un ottimo lavoro; se si fosse seguita la linea impostata dai primi episodi, questo "Sword Art Online" probabilmente sarebbe stato un "must have"; per come è stato, scelleratemente, sviluppato, invece, rimane uno dei tanti anime sfornati dalla fucina nipponica, carino da vedere, ma assolutamente non da ricordare.



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Solo nel 2013 ho recuperato quello che è da molti considerato come uno dei migliori anime degli anni Novanta. Se prima reputavo grave il fatto di non averne ancora intrapreso la visione, adesso che l'ho fatto, sentire che Escaflowne venga affiancato per importanza a opere come Bebop o Evangelion, mi suona come una grandissima bestemmia.

La serie in questione può vedersi come un insieme di storie sentimentali incluse in un impianto fantasy da cappa e spada, a sua volta munito di elementi sci-fi: certo, vedere dei mecha spadaccini all'azione può risultare pittoresco da un lato, ma incomprensibile da un altro (civiltà che costruiscono robottoni, enormi velivoli e macchinari per controllare il destino, ma non conoscono la polvere da sparo?), ma gli aspetti più risibili dell'opera coincidono sfortunatamente proprio con i più importanti. Partendo dai personaggi, dunque dalla protagonista della nostra storia, Hitomi, si può notare, oltre a una caratterizzazione superficiale ed estremamente volubile dal punto di vista sentimentale, una forte tendenza all'ingenuità e all'incoerenza che quasi ha dell'incredibile.

Sebbene sia stata magicamente catapultata in un pianeta sconosciuto, la sua immediata reazione lascerà trapelare uno stupore più vicino all'auto-coinvolgimento che al turbamento. Adattarsi a un ambiente nuovo e distante (dove si parla il giapponese), costernato da guerre, morti a palate, eventi ed entità soprannaturali, sarà per lei una cosa normalissima (ah già, d'altronde anche leggere il futuro per lei, i suoi amici e la sua famiglia, è tutto fuorché anormale). E nonostante venga 'usata' da tutti grazie al suo potere da veggente, raramente accennerà a opporsi, e quando ci proverà, si smentirà in modo fulmineo - SPOILER: sì arriverà al colmo a tre episodi dalla fine, quando la ragazza, dichiaratasi stanca della situazione, riuscirà a ritornare a casa, ma a distanza di nemmeno un giorno, la rivedremo mettere piede su Gaia!
I restanti personaggi sono scialbi e stereotipati, come i rapporti che li legano, le esperienze che intraprendono e quello che dicono. In quest'ultimo caso, non so se è dovuto in parte all'adattamento italiano, ma mi è parso di sentire una banalità dietro l'altra - il fastidio che mi ha recato Merle con i suoi "Signorino Van!" è incommensurabile.

La trama, piuttosto monotona e priva di veri e propri sussulti, si fonda tutta sulle predizioni della "eroina" e sulle loro conseguenze, sfocianti quasi sempre in guerre. Ma la sceneggiatura si correda anche di triangoli/quadrangoli amorosi ridicoli e inseriti a forza (il finale alla "fate l'amore, non fate la guerra" ne è l'apoteosi), proprio come il mito di Atlantide e della sua scomparsa, o ancora un insignificante tentativo di stemperare i toni con le scaramucce tra Hitomi e Merle. Dunque non c'è possibilità di sottrarsi alla drammaticità - ma soprattutto noiosità - delle cospirazioni, delle storie di vita e delle battaglie (che hanno almeno il pro di essere ben animate) nemmeno con qualche risata nei momenti di minor tensione, quando piuttosto dovremo sorbirci conversazioni smielate degne degli shoujo più scontati.
Unanimemente, insieme al comparto grafico, anche il sonoro è stato molto apprezzato, ma io ritengo che la Kanno abbia fatto molto di meglio in altre circostanze.
Per la prima volta resto pienamente deluso da una serie degli anni '90.



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Chi scrive è fan da una vita di Final Fantasy, una delle più lunghe e famose saghe j-rpg della storia videoludica, il cui nome, come "Mario Bros", "Legend of Zelda" e "Tomb Raider", è simbolo di milioni di copie vendute e legioni di fan capaci di uccidere pur di possedere una copia dell'ultima Fantasia Finale partorita da Square Enix. Il primo capitolo, uscito nel 1987 sul vecchio NES, con i suoi ovvi limiti sintetizza quelli che saranno i punti fissi della saga: grafica all'avanguardia, colonna sonora sontuosa (quasi sempre il maestro Nobuo Uematsu), epica storia fantasy di grande respiro. Un successone di critica e pubblico che porta anno dopo anno, console dopo console, l'ora milionaria Square Enix a creare un numero sempre più alto di ulteriori titoli e spin-off, quasi sempre storie indipendenti l'una dall'altra, ora ambientate in mondi fantasy d'ambientazione medievale, ora in cupi scenari cyberpunk, con conseguente evoluzione di grafica (sempre al top in ogni sistema), storie (più adulte), personaggi (più profondi) e gameplay, al punto che svariati saranno gli eroi e antagonisti indimenticabili, creati da Square nel corso della saga, che tutt'oggi, ad anni e anni di distanza dall'episodio che li vede apparire, sopravvivono nella memoria storica venendo puntualmente rievocati e celebrati nel pantheon delle divinità videoludiche. Tutta questa premessa per cercare di rendere l'importanza rivestita da un simile brand, e sopratutto con che aspettative nel 1994 il fan comprava le VHS contenenti la prima produzione animata dedicata al mondo di Hironobu Sakaguchi, la miniserie OVA "Legend of the Crystals", diretta addirittura da Rintaro.

Volendo essere realisti, in quegli anni qualche perplessità sulla bontà del prodotto avrebbe dovuto affiorare nella mente dell'ignaro fan, considerando che l'opera si poneva come seguito ufficiale di "Final Fantasy V", gioco che, per l'opera di riciclaggio più o meno sputato della trama del capitolo precedente, i personaggi banali e le atmosfere scanzonate, era il più scialbo del vecchio corso della saga (oggi abbondantemente rivalutato per demerito degli episodi più recenti). Però, il poter vedere in animazione un prodotto legato ufficialmente a una delle saghe videoludiche più amate rimaneva un richiamo a cui era troppo difficile resistere. Peccato che, come si sarà capito, di pacco si trattava. Stroncare un episodio ufficiale di Final Fantasy non può certo fare piacere a chi scrive, poiché si parla di una saga che a lui, come a milioni altri di fan, ha regalato grandi emozioni. Bisogna comunque farlo, in quanto "Legend of the Crystals" è brutto, ma brutto forte: una storia banalissima e noiosa, animata male e scritta anche peggio.

Sono passati duecento anni da quando gli eroi Bartz, Lenna, Faris e Krile hanno salvato il mondo sconfiggendo il malvagio X-Death: purtroppo per loro la piccola Linaly, discendente di Bartz, e il suo amico d'infanzia Prettz dovranno presto rassegnarsi a replicare le gesta dei loro antenati. Il cattivissimo Ra Devil sta infatti rubando, uno a uno e per l'ennesima volta, i Quattro Cristalli che governano gli elementali e le forze della natura, per poter nuovamente tentare di sottomettere il mondo. I due ragazzi dovranno quindi sconfiggerlo, ovviamente dopo che nuovi comprimari si saranno uniti alla loro causa. Allo stato pratico il seguito del quinto Final Fantasy si limita alla riproposizione pedissequa della sua trama (già a sua volta "rubata" da "Final Fantasy IV"), senza alcuna aggiunta ma con tante idee pessime in più. Complimenti agli sceneggiatori, anche tenendo conto che questo soggetto, già banale in partenza, è scritto male, con confusione, incertezza e un contorno di irritante umorismo infantile, animazioni funzionali, musiche anonime e chara design moscio, con personaggi così piatti e adagiati su caratterizzazioni ridicole da essere subito odiosi. I (pochi) fan del gioco originale si sentiranno poi ulteriormente beffati, tenendo conto che hanno speso soldi per una produzione mediocre che ha collegamenti labilissimi con il gioco originale, riconducibili solo a una velocissima comparsata degli spiriti degli eroi leggendari e alla figura del classico chocobo, simbolo però di tutta la saga e non certo solo del quinto capitolo. Semplicemente indegno del leggendario nome che porta, "Final Fantasy V-2" è una miniserie noiosa e deludente, addirittura pessima se teniamo conto del suo regista e del giustificato hype dell'epoca.

Quello che più fa male, alla luce dell'ottimo risultato di "Advent Children", uscito undici anni dopo e che funge invece da sequel al settimo capitolo videoludico, è pensare che sarebbe bastato davvero poco all'opera per soddisfare i fan: non necessariamente una trama più elaborata, ma almeno la colonna sonora di Nobuo Uematsu, omaggi e citazioni, un cast non interamente nuovo di zecca ma con qualche personaggio storico. Quelle sarebbero state soddisfazioni, sarebbe bastato poco per reimmergere lo spettatore nella magia e nella meraviglia del mondo di Final Fantasy, anche se si trattava del seguito ufficiale di un titolo non propriamente amato. Square Enix invece devolve a Mad House il compito di farlo, e lo studio risponde con zero fatica e nel modo più facile: scrivendo la cosa più banale che gli viene in mente, con pochi soldi, zero ispirazione e schiaffando il logo Final Fantasy in gigantesco sulla confezione. E il risultato, privo del minimo carisma, è così svogliato e inutile da rasentare il ridicolo.

Chi scrive è cosciente che trasporre su schermo la profondità di un j-rpg è impresa quasi impossibile, ma pensare di sviluppare qualcosa di decente in appena quattro puntate, oltretutto dalla trama così risibile, significa non provarci nemmeno. Negli anni successivi altre incursioni animate nel mondo ideato da Hironobu Sakaguchi porteranno a risultati più dignitosi, ma questo primo tentativo è da bocciare completamente. Velo pietoso anche sul doppiaggio italiano, ma questo è il meno...