Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo alle commedie scolastiche, con Chuunibyou demo Koi ga Shitai, Hyouka e Lucky Star.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Chi non è mai arrossito di vergogna al solo pensiero di certi momenti imbarazzanti vissuti in passato, il cui ricordo vorrebbe fosse definitivamente cancellato dalla propria e dall'altrui memoria? Con tutta probabilità nessuno, a maggior ragione se questa gravosa zavorra riguarda un intero periodo della propria vita: è il caso di chi, avendo sofferto della cosiddetta 'sindrome della seconda media' - una sorta di volontario isolamento dal mondo, frutto di una fantasiosa rielaborazione della realtà -, senza rendersene conto si è reso terribilmente ridicolo di fronte agli altri.

Questo, in sintesi, è ciò che è accaduto a Yuuta, protagonista di "Chuunibyou demo Koi ga Shitai!", il quale, riavutosi da poco dagli effetti di questa curiosa patologia, è impaziente di scrollarsi di dosso la scomoda eredità del suo alter ego, quel 'Dark Flame Master' nei cui panni si era calato ai tempi della scuola media, un buffo travestimento che gli era valso solo emarginazione e dileggio. La rottura con quel tormentato periodo coincide con il suo ingresso al liceo, luogo prescelto per un radicale cambiamento: nuovo look, nuovo abbigliamento, nuovi compagni e, cosa più importante, la giusta attitudine per poter entrare a pieno diritto tra le braccia accoglienti di una seducente normalità. Purtroppo per lui, i fantasmi di quel passato che vorrebbe morto e sepolto riaffiorano con forza dopo il fatale incontro con Rikka, compagna di classe che sembra proprio non aver superato quella strana fase esistenziale, e che, scoprendo in Yuuta un'affinità di carattere, finirà per fargli rivivere, suo malgrado, quelle esperienze giovanili da lui ormai etichettate come pericolose per la reputazione.

E' uno spunto decisamente originale, abilmente sfruttato per creare una sceneggiatura elegante e ricercata, e per dar vita a un anime divertente e dai contenuti, almeno in apparenza, leggeri. A esser pignoli, tuttavia, "Chuunibyou demo Koi ga Shitai!" si rivela un'opera di non semplice classificazione: nonostante le situazioni paradossali dei primi episodi siano infatti sorprendentemente spassose - geniale la sovrapposizione della dimensione fantastica al mondo reale, soprattutto durante i combattimenti in stile gioco di ruolo - e la comicità che ne deriva straripante, appare altresì riduttivo confinare l'anime tra gli spazi angusti della commedia scolastica. Le venature malinconiche che gradualmente si fanno strada, man mano che la storia entra nel vivo, trascendono infatti la sua natura prettamente umoristica, rivelandosi in realtà il veicolo per una garbata riflessione sull'innata paura di relazionarsi con il mondo, ostacolo da superare per giungere a una più consapevole percezione di sé stessi.

Fiore all'occhiello di questa produzione è senza dubbio l'indovinata caratterizzazione dei personaggi, esaltata oltretutto da un cast di doppiatori in ottima forma: è quasi impossibile non maturare un legame affettivo con l'introversa e stravagante Rikka, adorabile sia nelle sue esibizioni carnevalesche, sia quando, deposta la maschera, rivela tutta la sua dolcissima fragilità. Una figura dai tratti goffi ma delicati, ben bilanciata dalla sua controparte maschile, il più pragmatico Yuuta, coprotagonista dalla personalità poliedrica, imbranato e fracassone da una parte, inaspettatamente sensibile dall'altra. Completano il cast comprimari di tutto rispetto, tra cui l'attraente rappresentante di classe Nibutani, la pigra Kumin e il testosteronico Makoto, nonché la kohai Dekomori, 'servant' di Rikka e inesauribile fucina di strampalate idee.
Sotto il profilo tecnico KyoAni non offre, come al solito, alcun appiglio per le critiche: disegni, fondali e animazioni sono un tripudio visivo, con vette qualitative di caratura cinematografica. Il character design si inserisce invece sui binari già tracciati da "K-On!", proponendo quel perfetto connubio tra il tanto vituperato moe-style e un tratto grafico sapientemente proporzionato, capace di conferire credibilità 'fisica' ai personaggi - un'operazione commerciale dal successo garantito, con menzione d'onore per la superba realizzazione di Rikka. Della colonna sonora, particolarmente apprezzabile l'ending, presentata nel classico stile dello studio di animazione di Kyoto, ovvero accompagnata da una carrellata di immagini delle nostre eroine in versione 'femme fatale'; meno incisiva, a mio parere, la sigla iniziale.

Adatto a chi si vuol fare quattro risate, ideale per chi è incline al romanticismo, perfetto per chi è sensibile ai temi dell'integrazione e della diversità, "Chuunibyou demo Koi ga Shitai!" è sconsigliabile solo a chi ritiene il conformismo etico uno stile di vita cui adeguarsi: quest'anime è la celebrazione della follia, l'esaltazione della stranezza. Qui le persone 'normali' fanno solo da tappezzeria.
"Synapse, break! Vanishment, this World!"



7.0/10
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Si passa dal "quando diavolo finisce?" al "ne voglio ancora" nel giro di una dozzina di episodi: Hyouka è l'arte della rivalutazione.

Strana serie, questa di Kyoto Animation, capace in una certa manciata di episodi di annoiare come poche, ma nel contempo di incuriosire, grazie agli elementi di "soft-giallo" amalgamati alla sua natura di "slice of life" scolastico. I quattro protagonisti si ritrovano nel club di letteratura a risolvere piccoli casi di cui solitamente non fregherebbe nulla a nessuno, come avvenimenti accaduti anni fa e dall'importanza ormai irrilevante, deduzioni su un particolare comportamento di persone, e via su questi livelli.
Qual è la "molla" che fa scattare quest'insana curiosità? Ha un nome e un cognome: Eru Chitanda. La liceale di buona famiglia è l'ormai tipico uragano umano che deve frantumare in mille pezzi il sogno di tranquillità dell'apatico protagonista di turno, Hōtarō Oreki, la svogliatezza in persona, fedele al suo motto "se non sono costretto non lo farò, se lo sono lo faccio in fretta". Bravo, Hōtarō, l'adolescienza è una sola, buttala pure via, ma allo sguardo penetrante di Chitanda, accompagnato dal suo "Onegai! Ki ni narimasu!" ("Per favore, sono curiosa!"), non resiste.
Ed ecco che Hōtarō si trasforma in un brillante Sherlock Holmes liceale, alle prese con casi di quotidiana essenza, aiutato anche dal vecchio amico Satoshi Fukube, appassionato di gialli e dalla grande memoria, ma penalizzato da scarse capacità deduttive, provando in tal senso un complesso di inferiorità nei confronti del compagno, che considera un rivale, ma sempre con scarso successo.
Mayaka Ibara completa il quartetto di protagonisti: è colei che sembra sulle prime un personaggio-tappezzeria, ma che alla fine si dimostra essere la figura più interessante e profonda, purtroppo poco approfondita nel corso della serie se non in rari casi, come nell'arco narrativo del festival, il più articolato e avvincente.

Hyouka è infatti tratto da una serie di light novel, e la Kyoto Animation ne anima quattro, tre delle quali con misteri più lunghi da risolvere e una invece con una raccolta di casi più semplici, sapientemente qui alternati alle storie maggiori. Perché, diciamolo, la storia non inizia certo con il turbo, e non sempre Hyouka riesce a stimolare la curiosità dello spettatore (o peggio, a tenerlo sveglio) proprio per via della sua natura molto soft, molto "giapponese", dove i rapporti personali si evolvono in tempistiche tanto dilatate quanto in un certo senso reali, e del tutto prive di teatrali sbroccate di un Toradora! o altri prodotti simili. Ed è in questa pacata realtà che un personaggio come Eru Chitanda, colei che sembra uscita dall'ultimo successo harem della stagione, potrebbe risultare fuori dagli schemi rispetto agli altri e cozzare contro l'alchimia della serie stessa, quasi come fosse un ingrediente troppo forte aggiunto all'ultimo nella minestra. Ma del resto è Chitanda con la sua curiosità che tutto fa nascere e tutto fa muovere, con la "rottura dell'ordinario" come tema principe delle serie Kyoto Animation da Haruhi in giù, e lo sarà anche nel successivo "Chuunibyou demo Koi ga Shitai!" con risultati forse ancora più convincenti.

La realizzazione tecnica di Hyouka raggiunge il maniacale, con animazioni di qualità cinematografica e fondali ai limiti del fotorealismo, negli interni come negli esterni, che riproducono in modo perfetto la caratteristica e piacevole città di Takayama, qui chiamata con il nome fittizio "Kamiyama". Ad accompagnare la vita scolastica e le deduzioni del nostro giovane quartetto ci pensa infine una pregevole colonna sonora curata da Kohei Tanaka, ma contenente brani classici di Bach, Gabriel Fauré e altri, che un po' a sorpresa ben si adattano a scene e situazioni proposte, al punto che un non conoscitore di musica classica potrebbe scambiarle per BGM originali (o al massimo uscirsene con "quella è la sigla di Superquark!"). Ottime sigle, in particolare la seconda simpatica ending.

Serie tutt'altro che perfetta e che probabilmente non mancherà di alzare dibattiti neanche negli anni a venire, vanta momenti da sbattere la testa al muro assieme ad altri di grande spessore registico, personaggi non sviluppati ma comunque riusciti e credibili, un finale che finale non è ma nel contempo soddisfa, eccetera. Sei una contraddizione continua nel mio giudizio, Hyouka, e spesso ti dimentichi di intrattenere a dovere lo spettatore, ma sotto il solito "moe-style" il coraggio di distinguerti non ti manca affatto, e di questi tempi il coraggio si premia con una pacca sulla spalla, che per me equivale a 7.



7.0/10
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Alfred Hitchcock diceva che il cinema è la vita con le parti noiose tagliate. Mi piacerebbe sapere cosa penserebbe di "Lucky Star", slice of life demenziale si concentra esclusivamente su ciò che chiunque altro scarterebbe in quanto privo di qualsivoglia interesse. Considerato quanto costa in media realizzare un singolo episodio di un anime, inoltre, viene spontaneo domandarsi come mai la Kyoto Animation - KyoAni per gli amici, e non vi è dubbio che tra gli otaku ne annoveri parecchi - abbia sentito l'esigenza di bruciarsi così tanti yen in dissertazioni su come mangiare un cornetto al cioccolato e altre questioni di altrettanta vitale importanza. Che dire poi della rivista che, in primo luogo, ne ha pubblicato il relativo manga? Cos'avrà visto in quello che, ad un primo sguardo, si potrebbe considerare un emule di "Azumanga Daioh"?
Eppure, per motivi che io stessa, probabilmente a causa della mia mentalità da eterna parvenue nel mondo degli anime e dei manga, non riesco bene a comprendere, "Lucky Star" funziona. Gli argomenti di cui parla sanno indubbiamente di stantio, ma vi è senza dubbio un che di corroborante nella freschezza parodistica e spesso autoreferenziale con cui vengono trattati.

Con fare amabilmente confidenziale l'anime segue da vicino le vicende quotidiane di un quartetto di liceali come tante... o quasi: Miyuki, colta e raffinata meganekko; le gemelle Kagami e Tsukasa, tsundere la prima, perennemente svagata la seconda; e infine lei, Konata, una che sul modulo di iscrizione per l'università scrive di voler diventare maestra della Scuola di Nanto e che è una presenza fissa a tutte le più importanti fiere del fumetto e del videogioco da quando, a soli cinque anni, il padre - vittima tutt'altro che penitente del complesso di Lolita - la portò al suo primo ComiKet. Tramite ideale tra lo show e il pubblico, in particolar modo di quella sua parte che ne condivide le fisse, è proprio quest'ultima a bucare maggiormente lo schermo, tanto da essere riuscita ad assurgere allo status di icona in modo repentino ma inequivocabile - merito anche del(l'ennesimo) superlativo doppiaggio di Aya Hirano, che riesce a renderla simpatica come difficilmente potrebbe accadere nella vita reale. "Sappiamo chi siete", sembra dire attraverso di lei lo studio di animazione, "e vi vogliamo bene, per questo ci prendiamo la libertà di prendervi un po' in giro". E gli otaku - quelli veri, non coloro che si definiscono tali ignorando a bella posta la connotazione dispregiativa di questo termine - si prestano al gioco.
Konata non è mai oggetto di discriminazione o di seri rimproveri per via delle sue passioni, che comunque non le impediscono di interagire con gli altri in maniera tutto sommato socialmente accettabile, ma deve lo stesso fare i conti con sguardi vacui, silenzi imbarazzati e battute a denti stretti. A lungo andare chiunque altro se ne avrebbe a male, ma non lei, gloriosamente impermeabile a qualsiasi critica le venga rivolta; non si tratta di una negazione della realtà, bensì di una spontanea e quasi miracolosa coesistenza intrinseca di differenti punti di vista.
Anche i personaggi migliori, tuttavia, hanno bisogno di una spalla. Konata ha Kagami, doppiata da Emiri Kato, che funge da grillo parlante sia a lei che alla sorella - un grillo dai lunghi codini color malva che, a dispetto dei suoi modi bruschi, prende molto sul serio la sua missione. Tsukasa e Miyuki, invece, non sono altrettanto incisive, ma non vi può essere un gruppo di primedonne e zero gregari, che possono comunque riscuotere successo proprio in virtù del fatto che non brillano mai. Eccezion fatta per il padre di Konata possiamo applicare questo discorso a tutti i variopinti comprimari che ruotano attorno alle quattro amiche, dalla professoressa Kuroi, segretamente fissata con i giochi di ruolo e convinta di essere destinata a morire zitella, alla taciturna Minami con la sua prima scarsa. Simpatico anche il segmento parallelo allo show vero e proprio denominato "Lucky Channel", dove una bisbetica idol che non vuole ammettere di stare andando in declino si diverte a tartassare il suo assistente, vale a dire l'attore, doppiatore e cantante Minoru Shiraishi nel ruolo di se stesso.

Visivamente il comparto tecnico è a metà tra il pigro e il carente: non si contano gli sfondi statici o a tinta unita, così come quelli in cui la folla è rappresentata da una massa grigia e compatta che di umano ha ben poco. La fotografia, tuttavia, pur non essendo molto accurata vanta una gamma di colori carezzevoli e riposanti. Il character design non è entusiasmante, ma che vi piaccia o meno moe non tarderete a farci l'abitudine.
La colonna sonora ricalca la ripetitività del canovaccio utilizzato per la maggior parte delle situazioni narrate, concedendosi di tanto in tanto il lusso di qualche ripresa o di un tema famoso riarrangiato per l'occasione. L'opening è artatamente accattivante, così come le ending, affidate nella prima metà al cast regolare (memorabile nel suo essere terrificante la cover di "Cha-La Head-Cha-La", storica sigla di "Dragonball Z", fatta da Konata nel quinto episodio) e nella seconda a uno Shiraishi in versione "live action" e decisamente su di giri.

C'è poco da fare gli snob e da gridare allo scandalo: "Lucky Star" non sarà un capolavoro, ma non è neppure responsabile di un fantomatico tracollo qualitativo dell'animazione giapponese, di cui costituisce un campione soltanto parzialmente rappresentativo. Non parlerà di nulla, ma lo fa, se non proprio con stile, con un garbo che personalmente non mi aspettavo e che mi sembra giusto premiare.