Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Persona 3 the Movie, Gekijouban kara no kyoukai dai isshou - Fukan fuukei e Watamote.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Innanzitutto, voglio ammetterlo. Sono sempre stato scettico nei confronti di serie anime, OAV o film tratti da jrpg giapponesi. Questo perché dei giochi in cui sono presenti una moltitudine di personaggi, eventi, una trama complessa e quant'altro, da un adattamento animato ne escono irreparabilmente danneggiati. Avevo già in passato storto il naso davanti agli OAV di "Tales of Phantasia" e alle serie TV di "Xenosaga" e "Persona 4"; l'ho storto di nuovo di fronte a questo lungometraggio di "Persona 3", tratto tra l'altro da un gioco che ho molto apprezzato.

"Persona 3", nonostante alcuni difetti di gameplay, rimane comunque un'ottimo esempio di jrpg fosco e cupo "made in Atlus" di qualità; il punto forte di tale videogame, a parte le atmosfere lugubri e l'ottima trama - una versione più "user friendly" di quella del caposaldo Atlus "Persona 2: Innocent Sin" -, sono senz'altro i rapporti tra i personaggi e la loro interazione sociale, perfettamente integrata nel gameplay attraverso un vero e proprio simulatore di appuntamenti tout court, con tanto di calendario, quesiti a scelta multipla e possibilità libidinosa di sfociare nell'harem. E' questo il punto forte di "Persona 3" (e, in generale, di tutti i "Persona"): man mano che il rapporto con un determinato personaggio si fa forte, è possibile sbloccare nuovi tipi di Persona sempre più potenti - una Persona è un'entità animistica la quale viene utilizzata dai personaggi come arma nella lotta contro le misteriose ombre; non a caso ho sempre visto il concept originario della saga come una sorta di "Carl Jung meets Pokémon". Ma veniamo al punto. Tutto questo nel film non c'è, in quanto è troppo breve. L'interazione tra personaggi è ridotta al minimo, i power up conseguenti lo sviluppo dei rapporti tra persone sono innaturali e forzati. "Persona 3 the Movie 1" non fa altro che ripercorrere gli eventi base della prima parte del gioco in modo sterile ed alquanto approssimato.

Certo, ogni fan del gioco sarà lieto di vedere i suoi beniamini animati in modo abbastanza fluido e inseriti in un film dalla grafica molto particolare e tenebrosa. Tuttavia, essi sembrano le ombre di quegli che erano stati nel gioco; tanto per fare un'esempio, Mitsuru, la quale da baronessa iper carismatica diventa una sorta di macchietta inespressiva. Il protagonista, il quale nel gioco prendeva la caratterizzazione che gli imprimeva il giocatore in base alle sue scelte, nel film è stato reso alquanto sbruffone e monocromatico. Non parliamo poi di Jumpei, ben lungi dall'esser divertente come lo era nel videogame, in cui alleggeriva le vicende drammatiche con il suo fare cazzaro dal retrogusto serioso. Fuuka, da ragazza nerd bruttina e introversa, è stata graficamente abbellita e svuotata a mio avviso del suo mood da amichetta timida, intelligente e poco effervescente. Sono curioso di vedere come verrà sviluppata nei film successivi Yukari, la tsundere dal passato difficile la quale nel film ha troppo poco spazio rispetto al gioco - come tutti gli altri personaggi, d'altronde.

A livello tecnico le atmosfere del film sono ottime, così come gli effetti di luce. La regia è abbastanza standardizzata e le vicende sono fin troppo veloci e compresse: chi non ha mai giocato a "Persona 3" si sentirà un po' spiazzato dalla frenesia della sceneggiatura. Anche i combattimenti non mi hanno fatto impazzire, a parte quello mutuato da una scena d'intermezzo del gioco in cui compare per la prima volta la classica evocazione di Thanatos, la quale fa a brandelli i nemici con spettacolare cattiveria. Per fare un contentino ai fans viene pure mostrato il calendario utile per gli eventi dei social link, anche se praticamente nel film non serve a nulla.

In conclusione, questo film m'è sembrato un semplice antipasto del videogame originale, che ovviamente consiglio a tutti dato il suo innegabile carisma. Una serie animata di 26 episodi sarebbe stata molto meglio, sopratutto per quelli che, come il sottoscritto, avendo finito il gioco più volte e avendo sconfitto il boss nascosto - quella truce e sadica hostess biondina di nome Elizabeth, magari addirittura in hard mode (!) - si aspettavano un po' di più dall'adattamento animato di un jrpg che tanto li ha fatti appassionare.




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L'emozione scaturita da una vista dall'alto... è quella della lontananza.

È il 1998, la mente di Kinoko Nasu partorisce il primo tassello dell'universo narrativo cui nel corso degli anni è stato attribuito il nome di Nasuverse, vedono infatti la luce i primi cinque capitoli della serie di light novel Kara no Kyoukai; allo stesso modo, nel 2007 è proprio a Kara no Kyoukai che viene affidato il compito di aprire la proficua e duratura collaborazione instaurata tra Type-Moon - la società fondata da Nasu a inizio anni 2000 e madre di Fate e Tsukihime - e lo studio di animazione Ufotable, allora pressoché sconosciuto.

Primo di una serie di ben undici tra film e special, Kara no Kyoukai - Fukan Fuukei, che possiamo tradurre con Il confine del Vuoto - Vista dall'alto, si presenta come un lungometraggio di cinquanta minuti di genere sovrannaturale, a tratti splatter, e che narra le vicende inerenti una serie di suicidi con protagoniste delle ragazze liceali; apparentemente non connessi l'uno con l'altro per quanto concerne il movente, tutti hanno in comune il luogo ove le giovani consumano gli ultimi istanti di vita, ossia un complesso residenziale abbandonato alla periferia della città dei protagonisti. E protagonista appunto della vicenda è Shiki Ryougi, ragazza fredda e distaccata, dotata di particolari abilità oculari che le permettono di vedere la morte delle cose sotto forma di linee variopinte che si stagliano su uno scenario ai suoi occhi cupo e monocromatico. Grazie a questa sua abilità, essa lavora per Touko Aozaki, artigiana e creatrice di bambole che svolge segretamente indagini inerenti magia ed eventi che coinvolgono la sfera sovrannaturale nella propria città. Altro membro dello studio di Touko è Mikiya Kokutou, ex compagno di classe di Shiki, serafico e sorridente, sempre cordiale, dotato di un eccellente intuito, spesso inconsapevole, e animato dalla passione per le indagini poliziesche; si intuisce uno stretto legame tra i due ragazzi, legame che nei successivi film verrà messo sempre più a nudo, ma i cui dettagli sono per ora taciuti. Il titolo rivela il concetto cardine del lungometraggio: il rapporto dell'uomo con una vista dall'alto, ossia la capacità di straniarsi dal proprio mondo e osservarlo in terza persona da una postazione rialzata che offra una panoramica della propria situazione; chi intraprende tale via è per forza di cose qualcuno disposto, o se non altro obbligato a rinunciare alla propria condizione di individualità, di ente legato a un contesto, e per cui l'unica opzione per comprendere sé stesso e il mondo sia quella di scappare e librarsi nel cielo. Un'atmosfera magica e solenne nella sua irrealtà avvolge l'indagine di Shiki al complesso abbandonato Fujou, ove nove figure cristalline ed evanescenti nel loro pallore fluttuano sopra il tetto dell'edificio, triste scenario della serie di suicidi che ha sconvolto la città; il perché queste figure fluttuino e non volino è il secondo fondamentale nodo di Fukan Fuukei, che lo spettatore sarà in grado di sciogliere mediante una visione attenta e non passiva dell'opera.

Parlando di comparto tecnico, Ufotable inizia a dare prova delle proprie qualità mettendo in scena delle animazioni dinamiche e precise; i personaggi si muovono fluidi su sfondi estremamente dettagliati, tanto curati quanto lo sono i combattimenti e le scene d'azione, sia per quanto concerne il corpo, sia per le espressioni facciali e fisiognomiche; la colonna sonora, composta da Yuki Kajiura e affidata alle corde vocali delle allora esordienti Kalafina, si rivela essere forse l'apice del primo film, sublime ed evanescente - aggettivo che forse meglio identifica il mood generale di Fukan Fuukei - nel suo accompagnare con irreale distacco e dolcezza ogni scena dell'anime. Concludo dicendo che l'obbiettivo di Nasu era quello di fornire una sorta di introduzione al concetto di magia, elemento fondante dei propri lavori successivi, e quello che Kara no Kyoukai cerca di far capire, infatti, è che nel Nasuverse ogni parola ha un significato e un'importanza particolari e specifici; all'interno di questa saga Touko accompagnerà lo spettatore più di una volta in approfondite riflessioni inerenti la magia e il sovrannaturale e in particolare lo aiuterà a discernere elementi forse simili all'apparenza, ma che in un mondo complesso come quello in questione, possono assumere significati avvolte radicalmente differenti - basti pensare a fluttuare-volare, appunto. Questo è soltanto un primo assaggio di Kara no Kyoukai, ma allo stesso tempo a mio giudizio ne risulta uno degli apici, apprezzabile fino in fondo solo dopo una prima visione della serie, ma comunque affascinante in ogni sua scena anche a una prima visione. Per i contenuti forti può non piacere a tutti, ma, considerandone la qualità, una chance penso la meriti.




5.0/10
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Che anime snervante! Sinceramente sono rimasta piuttosto basita dalla visione di "Watamote", un'opera che ruota attorno a un unico personaggio che io ho trovato fastidiosissimo. Tomoko è troppo irritante. Non ho ben compreso quale fosse il messaggio che si voleva far passare, ma, personalmente, se questo era 'solidarietà verso una adolescente consumata da una società volta all'annichilimento', ebbene, non l'ho provato nemmeno per un secondo.
Tomoko rappresenta quel tipo di persona che io detesto. Io odio chi si piange addosso, rimanendo però inerte. Quei soggetti che maledicono la vita eppure non fanno nulla per modificare il corso degli eventi, che augurano il male e condannano gli altri, ma desiderano ardentemente essere come loro. Soggetti che, pur di non fare i conti con la propria coscienza e personalità, scelgono la via più facile: colpevolizzare chi li circonda dei propri problemi.
Probabilmente è un mio limite quello di non aver colto il messaggio recondito che questo anime voleva passare, ma ero troppo infastidita o forse, semplicemente, non concordo.

Puntate identiche si susseguono per dodici lunghissimi episodi. Quei ventiquattro minuti, durata massima di ogni puntata, sono un macigno. Le lancette non scorrono. Ebbene sì, questa opera riesce ad abbattere le barriere del tempo, a quanto pare.
Che fatica arrivare in fondo. Mi sono sacrificata solo per il bel fratellino che si sarà visto tre/quattro volte in tutto per un totale di dieci minuti (esagero forse, mi sa che i minuti totali sono cinque). Se io fossi stata in lui, avrei più volte preso a mazzate in testa Tomoko. Almeno, può darsi, per più di due minuti riusciva a non parlare.
Un monologo estenuante di una ragazzina lobotomizzata da un mondo che va degradandosi sempre di più, una otaku che si dissocia dalla realtà e preferisce maledire tutto e tutti, invece di provare a cambiare, dato che pare davvero bramarlo. Non lo so... per carità, nessuno nega che la società si stia svilendo, che i rapporti umani si stiano dissolvendo nel nulla e che l'omologazione regni sovrana, ma, impegnandosi, si può restare sé stessi e vivere serenamente con il proprio io. Sforzandosi, è possibile far parte della comunità, se lo si desidera così ardentemente, senza la necessità di violentarsi e piegarsi a delle regole imposte da altri. Cambiare è possibile se ci si impegna per farlo e, ripeto, in coerenza con il proprio essere.
Il modo in cui Tomoko affronta la vita è un insulto per me. Di conseguenza, non sono riuscita ad affezionarmi a lei in quanto è mancata qualsiasi possibilità di immedesimazione o, quantomeno, di lata comprensione. Tutte le vicende fantozziane che le capitavano non mi hanno divertita, ma nemmeno intristita. Tomoko è forse la raffigurazione di quel tipo di adolescente che va sempre più di moda, ma che io non ho mai voluto essere. Da adulta, oggi, ne sono quanto mai fiera.