Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Kiseiju Midori no neko e il drama Vampire Heaven.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Non conoscevo la storia di questo titolo, per cui sono rimasto molto sorpreso nel venire a conoscenza del fatto che l'anime è stato realizzato ben ventiquattro anni dopo l'uscita del manga; così, col senno di poi, ho dovuto rivedere molte delle impressioni che avevo raccolto durante la visione dei ventiquattro episodi che lo compongono e che riguardavano, fondamentalmente, l'originalità dei momenti introspettivi che si susseguono nel corso della serie.
In realtà non credo che le critiche che avrei mosso avrebbero avuto grande importanza in sede di valutazione; ma indubbiamente l'esser riuscito a collocare con esattezza la data di nascita di questa storia mi libera dal triste fardello di dover muovere degli appunti a un anime che, per il resto, m'era piaciuto tantissimo.

Partiamo con il trailer dell'opera. La Terra viene invasa da una nuova forma di parassiti di origine ignota. Questi parassiti attaccano l'uomo insinuandosi nelle sue carni e mirando dritti al cervello; se riescono a raggiungerlo uccidono la persona e prendono il controllo del suo corpo che, dietro un'apparente normalità, può essere deformato fino a diventare una vera e propria macchina da guerra con braccia estensibili e una falce alle estremità delle stesse. Per nutrirsi, poi, queste creature praticheranno il cannibalismo facendo stragi di esseri umani. C'è però anche la possibilità che essi non riescano a raggiungere il cervello della vittima; in questo caso il parassita alloggerà in una diversa parte del corpo e dovrà convivere con la persona ospitante. Ed è proprio ciò che accade al nostro Shinichi che, essendo riuscito a bloccare l'avanzata del parassita grazie a un filo per le cuffie, lo vedrà impiantarsi nel suo braccio destro. Comincerà così l'improbabile convivenza fra i due e su questa si articolerà il resto della storia.

Azione, splatter, romanticismo sono tutti elementi che permeano questo anime; ma la parte davvero rilevante è quella psicologica: da un lato, infatti, Shinichi sarà spesso impegnato a razionalizzare la presenza di una creatura pensante nel suo braccio, cercando di volta in volta di capire quanta parte di sé è ancora umana e quanta parte è stata invece condizionata dall'invasore; dall'altro egli progressivamente finirà per cambiare la sua visione del mondo e dell'uomo in generale sulla base degli spunti forniti dalle situazioni che si troverà ad affrontare e dalle persone che incontrerà.
Altra parola chiave per interpretare questo anime è "evoluzione": la psicologia dei personaggi (umani e non) è in continuo cambiamento lungo un percorso di crescita che li porterà ad acquisire personalità molto diverse da quelle che avevano inizialmente. Ma non è solo la psicologia dei personaggi ad evolversi, ma anche quello dello spettatore che viene spinto verso valutazioni e giudizi via via sempre diversi. E ad evolversi sono anche i rapporti fra i vari personaggi, in particolar modo quello tra Shinichi e Migi, il parassita che vive nel suo braccio: all'inizio dominano la freddezza e la diffidenza; poi esse cederanno il passo all'amicizia ed alla collaborazione.

La morale di questo anime è molto pessimista: la conclusione a cui si giunge è che l'ospite indesiderato di cui parla il titolo non è il parassita ma l'uomo stesso. E' una tesi molto forte e con basi molto solide, ma forse un tantino esagerata, in quanto non tiene conto di numerosi aspetti positivi dell'animo umano che pure vengono menzionati, per poi essere ignorati nel momento di tirare le somme.
Una nota di merito va assegnato anche al tratto grafico dato ai vari personaggi: in particolar modo mi è piaciuta molto la fisionomia di Murano, che viene vista non come una ragazza dalla bellezza devastante, ma dotata di un aspetto che attira per la dolcezza e la semplicità delle sue espressioni.
Per quanto riguarda la colonna sonora, ottime sia l'opening theme che l'ending theme: i motivi si fanno ascoltare e apprezzare.

In definitiva, la mia valutazione è più che buona. Non gli assegno un punto in più solo perché alcune fasi risultano lunghe e tediose; ma questo "Kiseiju" è un signor anime, che merita ampiamente il successo di pubblico che ha ottenuto e che consiglio vivamente a tutti quelli che ancora non l'hanno visto.




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Dal "Padre dei manga" è sempre lecito aspettarsi delle opere di grande qualità e spessore. Talvolta è possibile scoprire delle piccole perle dimenticate. È il caso di "Midori no Neko" (Il gatto verde), la cui storia risulta costellata da alcune particolarità: innanzitutto perché si tratta del primo episodio della collana Lion Books, ossia una raccolta di manga di Tezuka edita dalla Shueisha nel 1956, in secondo luogo perché "Midori no Neko" è stato il primo tentativo della storia dell'animazione giapponese di realizzazione di un OAV, ossia un prodotto d'animazione per il mercato dell'home video, contendendosi il titolo col ben più famoso "Dallos", anticipando la data di uscita di quest'ultimo di ben due mesi.
"Midori no Neko" è un OAV della stagione autunnale 1983 della durata di circa venticinque minuti. L'opera trae origine dall'omonimo manga del 1956.

Trama: Ban Shunsaku lavorava presso una lavanderia in America assieme al suo amico e socio Yushi. Un giorno una banda di delinquenti prende d'assalto la lavanderia e spara a Yushi; l'uomo, prima di morire, affida il figlio Sango a Ban, affinché possa crescere felice e lontano dai pericoli. La leader della banda di delinquenti aveva con sé un misterioso gatto verde, grazie al quale ha sempre potuto superare ogni difficoltà e vivere nel lusso. Ma che cosa accade quando il felino abbandona il suo padrone? Le tracce di Sango si perdono nelle Filippine, da allora si narra che sia rimasto sempre accanto al gatto verde...

Grafica: l'opera si presenta piuttosto bene dal punto di vista visivo. Ottime le ambientazioni, la cui cura per il dettaglio non ha nulla a che invidiare con le serie TV più blasonate dell'epoca. Le animazioni sono un po' incerte, generalmente molto fluide, talvolta si notano dei cali qualitativi che deformano le movenze e i disegni. Il tipico character design di Tezuka è trasposto con grande fedeltà. Ottimo mecha design. Monster design piuttosto inquietante.

Sonoro: nulla di negativo da segnalare. L'opening è un'introduzione strumentale alle varie opere di Tezuka, molto gradevole e orecchiabile, lo stesso dicasi per l'ending. Ottime OST, che enfatizzano le atmosfere inquietanti. Effetti sonori realistici e accurati. Ottimo doppiaggio.

Personaggi: ineccepibili. La caratterizzazione dei vari personaggi è molto valida, è presente un notevole fattore evolutivo e psicologico e l'interazione è perfetta.

Sceneggiatura: l'opera non ha una gestione temporale fluida, poiché si parla del presente, per poi dedicarsi a un lungo flashback nel passato e ritornare nel presente sul finale. Il ritmo si attesta su livelli piuttosto veloci. È presente un notevole quantitativo d'azione, con presenza di violenza e morte. Il fanservice è inesistente. I dialoghi sono ottimi.

Finale: l'opera si conclude molto bene, con un finale dal sottile retrogusto inquietante. Green voleva davvero essere amico di Sango? Mistero. Nonostante ciò il finale è ben strutturato e conclusivo.

In sintesi, "Il gatto verde" è un piccolo capolavoro dell'animazione anni '80. Un'opera contornata da particolarità genetiche che sa affascinare e conquistare lo spettatore. Data la natura del prodotto, chiunque può apprezzarlo.




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"Questa è un'antica storia del passato, che può essere trovata anche in una biblioteca di una scuola elementare. O forse no. L'incontro del destino, che potrebbe essere l'inizio di una comune storia d'amore. Se non fosse per quella cosa..."
Con questa frase si conclude il primo dei dodici episodi di cui si compone "Vampire Heaven", live action del 2013 scritto e diretto da Natsuki Seta e trasmesso su TV Tokyo. Perché cominciare questa recensione con la frase finale del primo episodio? Semplicemente perché già da quella frase si comprende il succo dell'opera. Ma andiamo con ordine e partiamo da un breve riassunto della trama.

In un bosco del Giappone, i vampiri possono vivere senza che gli umani vengano a conoscenza della loro esistenza. Protagoniste della storia sono due vampire, molto legate tra loro, Sakurako e Komachi. Sakurako è la nuova promessa sposa del Conte, anche se la cosa non sembra farle troppo piacere. Komachi, per aiutare l'amica, la convincerà a fuggire ed entrambe si troveranno nella moderna Tokyo ("la Edo del futuro"). Per essere state lontane dalla civiltà per molto tempo (hanno entrambe più di 150 anni) di certo non sarà una facile avventura: dovranno adattarsi ai costumi moderni, nascondere i loro istinti da vampire, nascondersi dal Conte (che di certo non ha preso bene l'essere abbandonato dalla sua amata) e dovranno fare i conti con i sentimenti che inizieranno a provare per Hayato, giovane musicista del bar in cui vengono ospitate. Ad opporsi a questo amore non sarà soltanto la presenza della classica "altra ragazza", ma un problema ben più grave: più un vampiro ama qualcuno, più ardentemente desidera succhiarne il sangue.

Ok, questo è quanto. Nulla di originale, nulla che non sia già stato sentito/visto/letto centinaia di volte e, in base a queste premesse, nulla che valga la pena di essere guardato. Eppure, pur partendo con questi pregiudizi, l'ho guardato molto volentieri perché i suoi punti di forza "Vampire Heaven" ce li ha eccome, e fanno passare in secondo piano la banalità della storia.
Il primo punto di forza è senza dubbio la leggerezza con cui vengono affrontate le situazioni. Non è un'opera che si prende seriamente, anzi, a tratti sembra quasi una parodia del genere vampiresco: il Conte non è altro che una copia poco seria del conte Dracula e i suoi lacchè sono di una incompetenza paurosa. Ma altri esempi calzanti riguardano il primo scontro tra Komachi e il Conte, affrontato come se fosse una partita di "Mortal Kombat", la parte in cui Kentaro (giovane amico umano delle due protagoniste) cerca di abbattere il Conte a colpi di aglio, combattimento affrontato con schermate che ricordano molto i primi "Final Fantasy". Oppure le presunte conseguenze di un bacio tra un vampiro e un umano innamorati. Una gag ricorrente (e divertente) si ha quando le protagoniste discutono tra loro su cosa possono o non possono fare in base al codice dei vampiri; al che una delle due, in genere Komachi, si rivolge direttamente allo spettatore enunciando la particolare regola a cui fanno riferimento.
Il secondo punto di forza sono i personaggi, e in particolar modo le due protagoniste. Non sono personaggi cristallizzati nel loro essere (come ci si potrebbe aspettare da esseri centenari), ma si impegnano con tutte le loro forze per capire il mondo degli umani per integrarsi, a volte facendo delle figuracce nel tentativo (Komachi che si schianta su una porta a vetri di cui non capisce il funzionamento, l'abbigliamento strampalato che adottano). Lo sviluppo dei sentimenti delle due amiche durante gli episodi è senza dubbio banale, ma resta comunque interessante per il modo in cui viene da loro affrontato. Non posso che fare un applauso alle due attrici, Aya Oomasa (Sakurako) e Tsubasa Honda (Komachi), che sono state davvero molto brave. Anche i personaggi secondari sono tutti ben fatti, con l'eccezione di Hayato (interpretato da Yuta Hiroaka). Il suo ruolo dovrebbe essere quello del "bello e dannato", ma risulta essere talmente tanto insipido da diventare antipatico.

Molto bella la opening, "Kindan no Karma" del gruppo di idol "Shiritsu Ebisu Chugaku" ma ancora più bella è la ending, "Bloody Night" della boyband "Super Express" (o "Bullet Train", devo ancora capire quale dei due sia il vero nome). Questa è una di quelle canzoni che non ti escono più dalla testa (o almeno per me è stato così).

In finale, voto 7, tutto sommato un live action divertente, se preso per quel che è.