La prima volta che li o notati è stato a Tokyo, all'interno del Meiji-jingu. Non sapevo il loro nome, ma è certo che una serie di botti impilate una sull'altra non passa inosservata! Il loro nome è kazaridaru e sono un'offerta votiva agli dei che si effettua in quasi tutti i templi scintoisti. Scopriamo insieme lo stretto rapporto che esiste fra saké e divinità!
 

Il termine kazaridaru significa "barile decorativo" perché (e qui sta la sorpresa) queste botti sono vuote! Ebbene sì, non contengono saké ma questo non le rende meno preziose, perché sebbene vuote fisicamente hanno un alto contenuto spirituale. Bisogna prima di tutto ricordare che in Giappone il saké è sempre stato un mezzo per unire gli dei alle persone comuni.
L'origine del saké risale addirittura al 300 a.C. ed era considerata appunto la bevanda degli dei. In alcuni testi antichi, la parola usata per indicare il saké era in realtà "miki" scritta con i caratteri con cui si scrivono le parole "dio" e "vino". Durante i matsuri che si svolgono presso i santuari, è sempre stato uso festeggiare bevendo saké, sentendosi così più felici e allo stesso tempo più vicini agli dei.
 

Al giorno d'oggi il termine "miki" (oppure omiki, se si aggiunge il prefisso onorifico o-) si usa solo per indicare il saké usato durante i riti scintoisti o i matsuri e sorseggiarne una tazza resta un importante rito simbolico di unificazione con le divinità, così come resta stretto il rapporto fra templi e produttori di saké.
Infatti i sacerdoti pregano gli dei per la prosperità delle fabbriche e i proprietari delle stesse donano ai santuari il saké necessario per tutti i riti e i kazaridaru per ingraziarsi le divinità. Non esiste un momento particolare per fare queste offerte, ma si va in base alle esigenze del santuario: di solito serve più saké durante i festival che si concentrano principalmente in primavera e autunno, ma non c'è una regola fissa.
 

Di solito ai templi più piccoli, il saké è donato da produttori locali, ma nel caso nel Meiji Jingu a Tokyo e dell'Ise Jingu nella prefettura di Mie, può arrivare da tutto il paese e perfino dall'estero! Proprio al Meiji Jingu infatti si possono trovare botti che arrivano dalla Francia, donate durante il periodo Meiji (periodo in cui il paese si era aperto all'occidente con lo scopo di imparare il meglio della cultura straniera ed integrarlo con le tradizioni nipponiche).
In questo caso sono botti di vino donate dalle più rinomate cantine della Bourgogne grazie all'iniziativa di Yasuhiko Sata, Ambasciatore a Tokyo della Bourgogne e suo cittadino onorario. Vicino alle botti c'è una targhetta esplicativa che recita così:
"Tenendo cio che è buono e gettando via ciò che è sbagliato, è nostro desiderio confrontarci positivamente con le altre terre all'estero".
 

Essendoci più di 1800 aziende produttrici di saké, esiste per i templi maggiori una sorta di comitato (denominato shuzokeishinkai) che si occupa solo di "smistare" le offerte, badando bene a non ricevere più del necessario per officiare i riti. Questo perché chiedere o donare più del necessario sarebbe "mottainai", cioè disdicevole in quanto andrebbe sprecato; per lo stesso motivo le botti votive sono vuote perché l'importante è il "kimochi" cioè il gesto, l'atto del donare. Questi sono due concetti fondamentali della tradizione giapponese: gli dei shintoisti non fanno richieste irragionevoli ai fedeli e i fedeli rispettano il mondo degli dei evitando di riempirlo di oggetti inutili che alla lunga diventerebbero spazzatura.
 

In alcuni casi le botti sono impilate una sull'altra e legate insieme con delle corde, in altri (come nel tempio Hachiman a Kamakura) esistono delle strutture fisse in legno simili a librerie in cui stivare i kazaridaru, mentre nei più piccoli sono disposti dove possano essere viste.
Esistono anche templi che producono da soli l'omiki di cui hanno bisogno: sono molto pochi, anche perché in Giappone la produzione di saké è rigidamente regolamentata fin dall'ottavo secolo e i santuari che vogliono essere indipendenti dalle donazioni devono richiedere una speciale licenza governativa. Ad oggi sono solo 4 i templi che hanno questa autorizzazione: uno di essi, l'Okazaki Hachiman nella prefettura di Yamaguchi, è famoso per produrre un particolare saké chiamato shiroki che può essere degustato solo durante il festival autunnale che si svolge il terzo sabato di ottobre.
 

Piccole curiosità: il saké non viene conservato in botti di legno ma di acciaio, questo perché altrimenti prenderebbe in maniera troppo forte l'aroma del legno. Ma starvi invece per un breve periodo gli conferisce un sapore particolare, perciò viene trasferito nei kazaridaru solo pochi giorni prima del matsuri, in modo che acquisti il giusto retrogusto di legno.
Inoltre anche i privati possono acquistare le botti di legno sia vuote che piene: sono denominate komodaru (da "komo" che è la paglia che le riveste), contengono 72 litri e costano circa 100.000 yen (poco più di 750 euro). Se pensate di non riuscire a berlo tutto, esistono anche gli agezoku, cioè barili con un doppio fondo che, pur grandi uguali, contengono in realtà solo 18 litri di saké.
Di solito si usano durante le feste di Capodanno, ai matrimoni o alle inaugurazioni durante quello che viene chiamato Kagamibiraki: una persona scelta apposta per l'occasione, dopo aver augurato felicità e prosperità, lancia un grido e con un martello di legno rompe il coperchio della botte e distribuisce il saké agli invitati. Un po' come facciamo noi quando stappiamo lo spumante....
 

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Fonti consultate:
JapanTimes
Farmofminds
Dinadari