Lo abbiamo detto tante volte: il Giappone è un paese bellissimo, ma non è perfetto. È una nazione con pregi e difetti, sotto alcuni aspetti lontanissima dall'Italia, mentre sotto altri più simili di quello che potremmo immaginare. Quindi è giunto il momento di affrontare un argomento spinoso: la Yakuza. Quella che in occidente è definita come la mafia giapponese, ha molte facce e una storia complessa che cercherò di raccontarvi almeno per sommi capi.
 

La cosa migliore per descrivere una realtà come la Yakuza è quella di partire dall'inizio: quali sono dunque le sue origini? La sua nascita risale al XVII secolo tra la fine dell’Epoca Muromachi e l’inizio dell’Epoca Edo, ma sul come sia nata esistono due versioni.
La prima narra che quest'organizzazione criminale si sviluppò a causa del lungo periodo di pace dell'era Tokugawa: molti samurai si ritrovarono senza lavoro, licenziati dai loro padroni divennero dei ronin e si unirono in bande, dette Kabukimono o Hatamoto-Yakko. Divennero famosi per la loro violenza con cui taglieggiavano e terrorizzavano gli abitanti dei villaggi; avevano un comportamento rozzo, usavano un linguaggio volgare, indossavano abiti dai colori sgargianti e portavano eccentriche acconciature.

La seconda invece, sostenuta guarda caso dalla stessa yakuza, indica come loro antenati i Machi-Yakko, una specie di polizia privata, formata da commercianti e ronin, nata per proteggere le persone proprio dai kabukimono. Ovviamente, proprio per questo, divennero figure molto amate, dei veri e propri eroi; nonostante ciò, è certo che gli affiliati a questo clan fossero dediti al gioco d’azzardo e inoltre il modo di relazionarsi fra i vari membri era simile a quello che esiste ancora oggi nella yakuza moderna.
 

Ma tutto si evolve e nella metà del XVIII secolo comparvero nuovi gruppi, decisamente più simili agli attuali. Da una parte c'erano i Bakuto, specializzati nel gioco d'azzardo; essendo illegale, i bakuto erano relegati agli ultimi posti del sistema di caste ed erano spesso assunti dai signori feudali per ripulire le tasche dei loro dipendenti e riprendersi così parte dello stipendio.
Proprio dai loro giochi deriverebbe il nome "yakuza": infatti uno di quelli più praticati era l’Oicho-kabu, una specie di Blackjack in cui per vincere bisognava fare 19 punti. Facendone 20 si sballava e quindi si perdeva; una delle combinazioni che davano 20 era 8-9-3 che in giapponese si legge come hachi, kyuu e san, da cui ha-kyuu-sa e quindi ya-ku-za. Inoltre essi amavano anche tatuarsi vistosamente il corpo, usando un metodo doloroso e lungo detto irezumi, che alla fine diventò una specie di prova di coraggio da affrontare per diventare parte della banda. Probabilmente nacque da qui l'associazione tatuaggio=yakuza.
 

Dall'altra parte invece c'erano i Tekiya: nati come venditori ambulanti noti per imbrogliare i clienti vendendo merce contraffatta, si unirono in gruppi per controllare i mercati e offrire protezione agli altri commercianti in cambio ovviamente di soldi.
Essendo svolto alla luce del sole, era perfettamente legale e perciò il governo di Edo decise di rafforzarli permettendo loro di portare la spada. Ma i Tekiya erano anche specializzati in attività meno lecite, come il racket e le estorsioni. Sembra inoltre che fu in questo gruppo a comparire per la prima volta il termine Oyabun per indicare il capo assoluto.
 

Nei primi decenni del novecento salirono alla ribalta i Gurentai, decisamente più violenti dei primi due e vicini all'estrema destra e agli ultranazionalisti. Divennero in breve il mezzo con cui il regime dell'epoca intimidiva i sindacati, assassinava politici scomodi e spiava ciò che succedeva nelle colonie.
Quando la guerra finì, gli Stati Uniti cercarono di debellare la yakuza (termine unico con cui si iniziò ad indicare i tre gruppi), ma invano: grazie infatti al mercato nero essa si era fatta più forte di prima. Quindi per la regola "se non puoi abbattere il tuo nemico, fattelo amico", gli Americani decisero di sfruttarla per cercare di bloccare la penetrazione delle idee comuniste nel Paese.
 

Fu questo periodo, fra gli anni 50 e i 60, ad essere probabilmente il più florido per la yakuza: si arrivarono a contare circa 184.000 membri divisi in 5200 bande; si assistette ad un aumento di violenza, ad una diversificazione delle attività e anche ad un cambiamento di look: pistola al posto della spada, occhiali da sole e completi scuri da gangster americani. Nonostante diversi scontri interni che nel corso degli anni hanno scosso la yakuza, essa rimane a tutt'oggi una delle organizzazioni criminali più forte e più ricca nel mondo.
La yakuza in Giappone è onnipresente: dai "settori" più tradizionali come estorsioni, strozzinaggio, recupero crediti, prostituzione, mondo delle scommesse (legali e, ovviamente, illegali) al Parlamento (in cui secondo il mafiologo Kenji Ino almeno un terzo dei deputati viene eletto o ha rapporti stretti con le cosche). Nelle grandi città giapponesi essa controlla i ristoranti, i bar, le sale di pachinko, le ditte di trasporti (come camion e taxi), ma ha anche agganci nel mondo dell'entertainment, degli appalti pubblici, del commercio e, più recentemente, dell'alta finanza.
 

Una figura nota nell'ambiente soprattutto economico è quello del sokaiya: è colui che opera professionalmente nel contesto delle assemblee degli azionisti di società commerciali. Quello che distingue i sokaiya dagli altri consulenti classici è l’illiceità della loro condotta e la brutalità dei loro metodi.
I sokaiya possono essere suddivisi in due grandi categorie:

1) gli yato sokaiya: sono estorsori che operano contro una società attraverso la minaccia di rivelare informazioni sensibili durante le assemblee o a mezzo stampa oppure disturbando o minacciando i partecipanti e i manager durante le riunioni delle società, rendendone impossibile lo svolgimento con metodi più o meno violenti.
2) gli yoto sokaiya: essi lavorano per l’azionista di maggioranza in modo da sopprimere il dissenso dei soci di minoranza, accelerare l’iter e le decisioni assembleari e contrastare l’operato di altri sokaiya.
 

Ma l'aspetto che più lascia stupito chi si avvicina al mondo della yakuza è che essa non si nasconde: essere affiliati alla mafia giapponese infatti non è illegale in Giappone, sono le azioni che compie ad esserlo. Le varie famiglie o sindacati in cui è divisa hanno uffici nei quartieri migliori, con tanto di insegna ben in vista.
Ogni membro, oltre ad essere immediatamente riconoscibile non solo per come si veste ma anche per il caratteristico modo arrogante di muoversi, porta all'occhiello della giacca una spilla con il logo del gruppo a cui appartiene, proprio per farsi subito identificare e quindi incutere soggezione negli altri.
 

All'interno di ogni famiglia (detta ikka) vige una gerarchia ben stabilita che si rifa alla struttura piramidale della società e della famiglia giapponese: al vertice c'è l'Oyabun, il patriarca; questo titolo si trasmette di padre in figlio oppure è lo stesso Oyabun che decreta il suo successore, qualcuno che ha la sua totale fiducia, come ad esempio il Waka-gashira che è il numero due della famiglia.
Sotto di lui c'è il Shatei-gashira, con la funzione di fare da tramite fra i ranghi inferiori del clan e il Waka-gashira. Più in basso ci sono i Kyodai e ancora più in basso i Shatei, i pesci piccoli.
Esiste poi la figura del Saiko-komon che si occupa della parte amministrativa, seguendo avvocati, contabili e facendo rapporto direttamente all'Oyabun.
 

Il rapporto di fedeltà tra l’Oyabun e il sottoposto (detto Kobun) è sancito dalla cerimonia del Sakayuki. Dopo un apprendistato della durata di circa 6 mesi in cui l'aspirante yakuza ha dimostrato la sua fedeltà alla famiglia, si procede alla sua investitura con un complesso cerimoniale. Si stabilisce la data più propizia secondo il calendario lunare, ci si veste in kimono, ci si accomoda in una sala arredata in modo tradizionale e ci si siede secondo un ordine stabilito, tutto nel più silenzio più totale.
 

A questo punto l'Oyabun e il futuro membro bevono una tazza di saké che simboleggia i legami di sangue; questa tazza è chiamata Oyako Sakayuki ed è conservata dal nuovo kobun come simbolo della sua fedeltà. Se uno yakuza restituisce questa tazza al suo capo, significa che vuole rompere ogni legame con la sua famiglia.
Se un kobun infrange le regole di fedeltà verso il suo capo, ma vuole restare all'interno del clan e ottenere il perdono dovrà fare Yubitsume, cioè tagliare l'ultima falange del mignolo, avvolgerla in un panno e donarla al capo. Per ogni errore commesso verrà tagliata un'altra falange. Nel 1993 da uno studio del governo risultò che il 45% degli yakuza aveva una falange in meno e il 15% almeno due. Al giorno d'oggi molti affiliati ricorrono a protesi per camuffare la mutilazione.
 

Tutte le operazioni illecite sono ben celate dietro ad attività e società perfettamente rispettose della legge, come ad esempio organizzazioni religiose. Le principali famiglie sono ben note a tutti: la più importante è sicuramente la Yamaguchi-gumi con circa 23.000 membri divisi in 750 bande e ricavi annuali da oltre 70 miliardi di euro. La sua sede principale è a Kobe, ma è attiva in tutto il paese, in buona parte dell'Asia e perfino negli Stati Uniti. Aveva anche un sito internet ora non più attivo.
Segue la Sumiyoshi-rengo con sede a Tokyo e strutturata come una confederazione di piccoli gruppi. Terza come grandezza è la Inagawa-kai che controlla la zona di Yokohama e sembra sia specializzata nel traffico d'armi.
Poi abbiamo la Kodo-kai con sede a Nagoya e per finire la Toua Yuai Jiyo Kumiai, molto particolare in quanto i suoi membri sono quasi tutti di origine coreana.
 

Altra particolarità da tener ben presente è che spesso la yakuza è ben vista dalla popolazione, quasi come se fosse una specie di baluardo contro i soprusi dello stato e delle banche. In parte questo potrebbe essere dovuto al Ninkyodo, una specie di codice cavalleresco che contiene 9 precetti:

1) Non offendere i cittadini onesti
2) Non prendere la donna di un tuo amico
3) Non rubare all'organizzazione
4) Non drogarti
5) Obbedisci e rispetta il tuo superiore
6) Muori o vai in prigione al posto del tuo superiore
7) Non parlare a nessuno degli affari del tuo clan
8) Se sarai in prigione non dovrai parlare per nessun motivo
9) Non uccidere chi non fa parte della malavita.
 

Ovviamente sono sì belle parole, ma sempre meno applicate in un ambiente che sta diventando sempre più violento; resta comunque il fatto che durante il terribile terremoto che colpì Kobe nel 1995, la yakuza arrivò ben prima dello Stato ad organizzare i soccorsi, fornendo acqua potabile, latte in polvere, pane e rifugio a migliaia di vittime. Più di 8000 pasti al giorno furono serviti in un parcheggio a fianco alla sede della Yamaguchi-gumi che mise addirittura a disposizione i suoi elicotteri per trasportare i feriti.
Stessa cosa accadde nel 2011, quando sempre la yakuza portò immediati soccorsi nelle zone devastate dallo tsunami e dall'emergenza nucleare.
 

Quello che vi ho raccontato fin qui non è che la punta di un iceberg ramificato e profondamente radicato nella società giapponese. La yakuza vive da secoli al confine fra illegale e legale e secondo alcuni al governo e ai giapponesi stessi starebbe bene così, perché in fondo meglio un crimine ben organizzato ad un'alternativa completamente disorganizzata.

Fonti consultate:
TuttoGiappone
Wikipedia
DirittoGiapponese
LaPierreetLaSabre