Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime K: Return of Kings, Uta-KataTaifuu no Noruda.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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La serie di tredici episodi di K: Return of Kings, andata in onda nella stagione autunnale dell'anno 2015, si ricollega perfettamente al film K: Missing Kings, che si conferma essere il collante fra la prima e la seconda serie di K. Senza aver guardato il film, di cui ne consiglio la previa visione, non si comprende bene la situazione presentata nell'incipit di K: Return of Kings. Troviamo tutto esattamente come l'avevamo lasciato: l'HOMRA ha riacquistato vigore con la nascita del nuovo Re Rosso nella piccola Anna, e continua imperterrito a trascinare sul campo di battaglia la squadra governativa del SCEPTER 4, capitanata dal Re Blu Munakata Reisi. Nel frattempo il nuovo clan dei JUNGLE, guidato dal misterioso Re Verde Hisui Nagare, fa il suo saluto ai restanti re attraverso lo spadaccino Mishakuji Yukari, e presenta un piano rivoluzionario che minaccia l'incolumità dell'intera razza umana. A questo punto ci si domanda dove sia finito il protagonista, ossia il Re Argento Isana Yashiro. Tutti aspettano il suo ritorno, in particolar modo i membri del minuscolo clan che gli si è formato intorno: Yatogami Kuroh e Neko conducono un'estenuante ricerca dell'amico perduto. Sarà proprio con il ritorno di Shiro che la spirale di eventi inizierà a girare vorticosamente...

K: Return of Kings lascia un po' da parte i personaggi della prima stagione per dare spazio ai nuovi arrivati, presentati già in K: Missing Kings: i membri del JUNGLE. In quella che sembra essere la stanza di una casa per le bambole, il Re Verde e i suoi fedeli amici trascorrono il tempo mangiando, giocando, facendosi la manicure, e infine approntando le bozze dei prossimi attacchi. All'inizio appare tutto così finto e artificioso, ma successivamente quest'unione si rivela essere più profonda di quello che ci si aspettava, facendo in modo che affezionarsi ai JUNGLE non sia di per sé impossibile. Rilasciando il potere che risiede nel Dresden Slate, antica pietra rappresentante la fonte dell'aura dei Re e delle loro Spade di Damocle, finora protetta e controllata dall'ormai defunto Re Oro Kokujōji Daikaku, i Verdi mirano a conferire all'umanità la capacità di decidere del proprio futuro, senza che nessuno imperi con un ordine precostituito sul destino di tutti. Per diversi anni essi hanno aspettato con ansia che arrivasse il momento giusto, l'occasione per liberare il proprio arsenale e impossessarsi del potere che cambierà la storia del mondo intero. È soprattutto la figura di Hisui Nagare a catalizzare l'attenzione per tutto il corso della serie. Antagonista dalle molteplici sfaccettature, che sembra sempre camminare sul filo del rasoio, riesce a incuriosire e a tenere alta la tensione, dove invece c'è una stagnazione nella caratterizzazione di Shiro e compagni.

La storyline della prima serie di K era confusa, molte cose non furono spiegate in maniera adeguata. Lasciava un senso di perdita, come se mancasse un importante tassello per arrivare a capire. Mi domandavo in continuazione se mi fossi persa qualche passaggio, perché molte cose non mi erano chiare. Ciò che mi rimase impresso fu semplicemente un anime tecnicamente bello da vedere e con un character design davvero benedetto. Tuttavia il dubbio che volesse dire altro restò tutto. K: Return of Kings, invece, ha avuto abbastanza senso dall'inizio alla fine, nonostante alcune situazioni siano state affrontate frettolosamente e lasciate un po' a sé stesse, ma direi che nel punto in cui è terminato ha fatto il possibile per una serie di tredici puntate con un comparto personaggi così variegato, e che in fin dei conti non mira ad essere null'altro di quello che è. K però non ha perso il suo solito vizio di alternare episodi carichi di azione e colpi di scena con altri in cui non succede niente di niente, se non discorsoni lunghi che rasentano l'ovvio e che annoiano lo spettatore. In questo conserva la sua natura di cattivo slice of life, per contro se in quegli episodi di intermezzo avesse arricchito la caratterizzazione dei personaggi, i cui legami sono rimasti a volte abbozzati, avrebbe guadagnato senz'altro qualche punto in più. Ma parlare con i se e con i ma non giova a nulla.

Dal punto di vista tecnico si mantiene su livelli alti, almeno per quello che io posso capire di animazione. Molto fluide e chiare le scene di combattimenti e sapiente uso delle alte luci orientate sul rosso e il blu, marchio di fabbrica di K. Il chara design strizza con forza l'occhio alle ragazze, presentando una sfilata di modelli vestiti alla moda, che anche quando combattono non perdono nemmeno un minimo della loro finezza, pur se a sentire Mishakuji Yukari l'unico elegante è lui! Ma anche per i maschietti c'è un bel po' di fanservice, con riprese nemmeno poi tanto casuali sul basso ventre di Neko e Awashima. C'è pure tanto moe con la dolcissima Anna, che in alcune parti avrei voluto stringere forte forte a me. Il miglioramento più evidente è avvenuto nella colonna sonora, già valida nella prima stagione, che in alcuni punti è stata più che perfetta col suo sound techno. Non mi usciva più da testa il tema delle battaglie fra Nagare e Anna, o fra Iwa e Munakata. Anche l'opening e l'ending sono entrambe belle, pur se per gusto personale preferisco Kai, l'ending dei CustomiZ. Tuttavia, nel video dell'opening mi è piaciuta tantissimo la scelta di sincronizzare il testo di Asymmetry di Yui Horie con la bocca di Anna, come se stesse cantando in playback.

Anche se ci sono stati dei miglioramenti rispetto alla prima serie, a cui avrei dato una sufficienza stiracchiata, K: Return of Kings presenta ancora dei difetti, perciò più del discreto non posso spingermi. Tutto sommato si è lasciato guardare, mi ha anche appassionata sul finale, pur se la conclusione non mi ha appagata del tutto. Non so se in futuro realizzeranno altro di K, forse dovrebbero pensare a un bel prequel, anche perché spesso pure in questa serie sono stati citati eventi e persone di un passato di cui ancora si conosce troppo poco. Io aspetto.



7.0/10
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“Uta~Kata” è un anime di dodici episodi (più un OAV) che nasce come progetto originale nel 2004, ad opera dello studio Hal Film Maker.

La storia segue le vicende di Ichika Tachibana, una studentessa delle scuole medie che un giorno vede uscire da uno specchio una misteriosa ragazza, Manatsu. Per riavere il prezioso ciondolo regalatole dall’insegnante Sei, Ichika è costretta a stringere un patto con Manatsu: dovrà usare il potere delle dodici divinità e portare a termine il compito assegnatole dalla ragazza.

“Uta~Kata”, all’apparenza, sembra il solito mahou shoujo: ragazzine di quattordici anni, poteri magici, costumi differenti per ogni episodio. Tuttavia, non essendo uno dei più rinomati, la maggior parte degli spettatori è indotta a guardare questa serie perché sa che è qualcosa di diverso. Come “Mahou Shoujo Lyrical Nanoha”, o ancor meglio “Puella Magi Madoka Magica” (di cui può essere considerato un po’ “l’ispiratore”), il suddetto anime non è tanto indicato per le bambine, bensì per ragazzi e ragazze più maturi, poiché tratta temi molto più profondi e presenta contenuti non esattamente piacevoli. Tra i generi che descrivono “Uta~Kata”, non è raro, infatti, trovare la dicitura “seinen”. Tuttavia, mi sento almeno un po’ di dissentire: leggendo “seinen” mi ero fatta un’idea leggermente sbagliata, aspettandomi di trovare scene crude e violente, o colpi di scena sconvolgenti. L’anime in questione, pur essendo logicamente diverso, non contiene niente di tutto ciò. Ho voluto fare questa precisazione nel caso in cui qualcuno si aspetti eventi molto più tragici di “Madoka Magica”, ma questo non vuol dire che sia un lato negativo, anzi. “Uta~Kata”, a differenza del suo successore, si presenta in una maniera molto più soft, e direi che sia stata la scelta più adatta, visto che parliamo di ragazzine appena adolescenti. Quindi, evitare di aver inserito scene troppo drammatiche è un punto a favore per la serie.
Oltre a quello detto sopra, e al fatto che sia stato uno dei primi del suo genere, un altro lato di quest’anime da apprezzare è sicuramente il messaggio che vuole trasmettere, i significati nascosti dietro tutti i fatti accaduti. Uno dei temi principali di “Uta~Kata” è, infatti, la crescita: uno splendido processo di maturazione è quello affrontato dalla protagonista Ichika, che, attraverso gli occhi delle divinità, riesce a percepire ciò che è invisibile all’occhio umano, scoprendo i mali del mondo e i vari peccati di cui la gente tende a macchiarsi. Nel corso della serie, quindi, Ichika si accorgerà che sta cambiando, e forse è proprio questo uno degli intenti dell’incarico affidato alla ragazza: farle imparare ad accettare sé stessa, i suoi lati negativi, e al contempo quelli di tutta l’umanità.

Veniamo adesso, invece, alle note dolenti dell’anime: ciò che mi ha dato più fastidio è, sicuramente, il suo ritmo troppo lento. Proprio perché si sa, prima di cominciare a guardarlo, che “Uta~Kata” non è un mahou shoujo qualunque, ci si aspetta quanto prima che riveli la sua vera natura. La serie, invece, ha iniziato a scoprire le sue carte solo nelle ultime quattro-cinque puntate, lasciandomi, per tutto il resto degli episodi precedenti, con gli stessi due pensieri: “Quando inizia veramente?” e “Speriamo che la prossima sia la volta buona”. Da questo punto di vista prediligo “Madoka Magica”, che già dal fatidico terzo episodio si mostra per quello che è in realtà. Altro lato che non ho apprezzato è il modo in cui ci hanno portato a conoscenza di tutta la verità: quest’ultima, in pratica, ci viene svelata completamente solo nell’ultimo episodio. Nei precedenti, invece, si potranno solo intuire piccolissimi dettagli, lasciando un po’ troppo lo spettatore con il dubbio. In “Madoka Magica” (scusate l’ennesimo paragone) le rivelazioni vengono invece snocciolate poco a poco, rendendo il tutto più interessante. Trovo quindi che i vari accadimenti non siano stati gestiti al meglio, e in questo modo il livello di interesse, invece di essere alimentato di episodio in episodio, cala man mano che si prosegue. Ultimo punto di debolezza: anche se prima ho detto che è stato un bene non aver inserito scene troppo tragiche, a volte si presenta il problema opposto, ovvero si cade nella banalità. Ichika, infatti, non usa i poteri per sconfiggere un determinato nemico, ma ricorre ad essi quando se ne presenta l’occasione. Purtroppo queste “occasioni”, il più delle volte, sono abbastanza insignificanti: per fare un esempio, la ragazza ricorre alle divinità per trovare un orologio o far andare in corto circuito i cellulari (quest’ultima è quella che ho trovato più assurda).

Passando ai personaggi, non c’è un gran discorso da fare: della protagonista ho già parlato prima, mentre, per quel che riguarda Manatsu, è uno dei più interessanti. Non affronta come Ichika un grande processo di crescita, e ciò è dovuto innegabilmente al fatto che sia uscita da uno specchio - e che quindi non sia umana, come si può dedurre. Tuttavia, è la sua personalità esuberante, che completa quella più pacata di Ichika, a far affezionare lo spettatore a lei, assieme al suo lato talvolta misterioso e ovviamente al rapporto che instaurerà con la protagonista, dietro al quale si può intravedere un sottile velo di yuri, analogo a quello yaoi tra Sei e Kai. Questi ultimi due personaggi, insieme con le amiche della nostra eroina, sono molto importanti all’interno della serie: anche se non vengono approfonditi del tutto, conosciamo di loro quel che basta per poter dire che non sono completamente anonimi.

Il lato tecnico si mantiene su buoni livelli: il character design, nonostante gli occhi grandi tipici dei mahou shoujo, è abbastanza carino e dettagliato; le animazioni sono nella media e le OST molto orecchiabili, così come le sigle. In particolare, ho trovato molto bella e malinconica l’ending “Itsuka Tokeru Namida”.

Tirando le somme, “Uta~Kata” non è privo di lati negativi, che vengono comunque compensati da alcuni lati positivi, in primis l’originalità e i temi affrontati. Da guardare è anche l’OAV, che potrebbe essere considerato una sorta di ultimo episodio vero e proprio. Fino all’episodio 11 avrei assegnato un 6, ma dopo aver visto il finale - e anche la puntata speciale - credo che un 7 vada più che bene.



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Una buona grafica abbinata a uno dei film più brutti che abbia mai visto. E' talmente brutto che diventa difficile anche il solo cercare di raccontarlo: io ci proverò lo stesso, ma non garantisco sul risultato finale.

Cominciamo. La scena si apre in una classica scuola giapponese dove due studenti se le stanno dando di santa ragione. Ipotesi numero uno: "Taifuu no Noruda" è un film sui combattimenti fra gang. Errato: subito dopo si viene a sapere che i due ragazzi, Saijo e Azuma sono amici per la pelle.
Il motivo del bisticcio sta nel fatto che Saijo vuole lasciare la squadra di baseball. Ipotesi numero due: è un anime sportivo. Nemmeno questa volta ci siamo: seppure Azuma si porti sempre dietro una pallina da baseball che ogni tanto occupa la scena senza un motivo valido, in questo titolo non si parla di sport.
Mentre è intento a salire le scale, Azuma dice all'amico che non può autopunirsi, abbandonando tutte le cose che gli piacciono. Ipotesi numero tre: è un film che parla di un ragazzo problematico che, a causa di qualche trauma sconosciuto, si sta lasciando andare all'indolenza. Nemmeno questo però è giusto: dei problemi di Saujo da questo momento in poi non se ne parlerà più.
Entrando in un aula, Saijo si imbatte in una ragazza che non ha mai visto e che è completamente nuda. Ipotesi numero quattro: è un ecchi/hentai e a breve i due ragazzi entreranno a far parte dell'età adulta. Niente da fare: oltre a questa non ci sono altre scene di nudo e non sapremo mai cosa ci faceva la ragazza senza vestiti in quell'aula.
Nel frattempo gli studenti restano bloccati all'interno dell'istituto a causa di un tifone e colpi di vento fortissimi lanciano oggetti contundenti all'interno delle classi. Ipotesi numero cinque: si tratta di un survival. Macché, di zombie nemmeno l'ombra e nessuno si fa nemmeno un taglio.
All'improvviso Saijo vede la strana ragazza di prima che viene colpita a ripetizione da un fulmine. Si reca sul posto e la tira via portandola in salvo. Ipotesi numero sei: si tratta di un anime sentimentale, i due sono destinati a innamorarsi. Neanche questa ipotesi, però, si rivelerà esatta.

Potrei andare avanti con la descrizione della trama e con le ipotesi fino alla fine del film; ma lascerò ai coraggiosi che vogliano avventurarsi nell'impresa di guardarlo il compito di continuare. Aggiungerò solo che compariranno in ordine sparso: un buco nella palestra che porta al centro della Terra, una misteriosa quanto inutile astronave, un ciondolo capace di portare distruzione del mondo ma che viene fatto a pezzi con facilità dalla forza di due studenti, colonne d'acqua che partono dalla terra e altre che vengono dal cielo, un finale che potrebbe far presagire un seguito in stile yaoi.

Non ci avete capito un tubo? Beh nemmeno io. Oddio, non è che la trama sia poi così complessa come potrebbe sembrare, ma è farcita di tante cose che o non hanno un senso o sono inutili o sono semplicemente ridicole. In casi come questi è inutile farsi domande: non troverebbero nessuna risposta sensata. Al contrario la procedura da seguire dopo aver visto questo "Taifuu no Noruda" è la seguente: chiudere il video, bere un bel bicchiere d'acqua fresca e poi cancellare dal cervello il ricordo di quello che si è appena visto.