Spesso è dato per scontato che la cattiva animazione sia la conseguenza di compagnie costrette a ridurre il numero di disegni per tagliare le spese.
Questo sfocia nella supposizione che "se lo studio avesse abbastanza denaro, non avrebbe bisogno di risparmiare sui frame e l'animazione non ne risentirebbe". Precedentemente abbiamo introdotto il concetto di animazione limitata, mentre ora capiremo meglio come funziona la sua applicazione, e in che modo si relaziona al discorso sul budget.
 


Innanzitutto, è corretto parlare di buona animazione solo talora essa sia caratterizzata da movimenti fluidi ed un frame rate elevato? Tali requisiti potevano essere una consuetudine negli anni '60, ma ai giorni nostri quel pensiero è superato. Abbiamo già visto come l'animazione limitata abbia permesso di differenziarsi rispetto alla full animation delle produzioni Disney.
Grazie agli sforzi di gente come Otsuka, Miyazaki e Takahata, l'industria dell'animazione nipponica ha vissuto un boom autoriale che, negli anni '70 e '80, ha interessato sia registi sia animatori, spinti dalla voglia di competere e di sperimentare, al fine di dimostrare la propria unicità, e così di crearsi una propria identità artistica.
L'animazione limitata ha appunto offerto a queste persone un nuovo ventaglio di possibilità, e ha dato vita ad una varietà di stili d'animazione personali e distintivi, che tutt'oggi albergano ed incidono nella resa estetica degli anime.

Secondo lo iamatologo Thomas LaMarre, l'avvento dell'animazione limitata innesca una crisi del modello classico di animazione. Quest'ultimo, piegandosi a determinati standard atti a garantire la massima fluidità dei movimenti, può avere la tendenza a restare incastrato in alcuni cliché. Dall'altra parte, nell'animazione limitata, il movimento tende ad esistere in forma "potenziale", concedendo dunque maggior spazio, anche in senso materiale, all'espressione individuale dei singoli animatori.
Questo conduce anche alla valorizzazione crescente del character design, come mezzo per delineare caratterialmente i personaggi fin dall'aspetto esteriore, e consentirgli di muoversi più facilmente tra diverse forme di media.
LaMarre poi sostiene che la diffusione dell'animazione limitata abbia anche guidato lo sviluppo di certe espressioni creative da parte degli spettatori, come le fanart, i dojinshi, i garage kit e il cosplay.
Ma il punto più importante, dice citando il critico Takuya Mori, è che l'animazione limitata, come la full animation, è forte di modalità artistiche e di sperimentazione proprie, ed è anche capace di infrangere la distinzione tra produzioni di stampo commerciale e quelle di tipo sperimentale.

Un esempio di come gli animatori siano in grado di plasmare un proprio stile unico, è rappresentato dai lavori di Yoshinori Kanada (1952-2009). Kanada è generalmente considerato il padre dell'animazione giapponese moderna. In netto contrasto con l'animazione fluida della Disney, la sua vede ridurre al minimo il numero di frame, spingendo agli estremi la limited animation.
Nelle sue scene, figure ed effetti sono spesso raffigurati in pose, forme e prospettive esagerate, dando l'impressione che i corpi "balzino" da un frame all'altro. Il suo riconoscibile stile è esemplificato nella sigla d'apertura di Ginga Senpuu Bryger: