Fuochi che illuminano le acque scure del fiume al fine di attirare i pesci, barche su cui pescatori esperti muovono cormorani al posto di canne e ami: in un'atmosfera veramente suggestiva, ogni anno si compie il rito millenario dell'ukai, cioè la pesca con il cormorano. Scopriamo una tradizione davvero unica e particolare.
 

La città più famosa in cui si pratica l'ukai è Gifu, situata nell'omonima prefettura, a circa 30 km da Nagoya. Lungo il fiume Nagara, dopo il tramonto, nei mesi che vanno da maggio a settembre, si può assistere a questo spettacolo, annunciato da un fuoco d'artificio.
Le barche scendono lungo il fiume: ognuna ha un falò a prua che serve ad attirare i pesci che si nascondono sotto le pietre sul fondo del corso d'acqua. Quando salgono verso la superficie, i cormorani li catturano ma non li possono ingoiare; hanno infatti un laccio attorno al collo che ha una doppia funzione: impedisce loro di mangiare la preda e li tiene legati all'imbarcazione. A questo punto l'ujô (cioè il maestro pescatore) richiama a sè il cormorano e gli fa sputare il pesce.
 

In tutto sono circa una dozzina le località che praticano la pesca al cormorano, quasi tutte concentrate nella parte occidentale del paese. Ma Gifu è sicuramente la città che vanta la storia più antica: quasi 1.300 anni!
Se ne trova traccia infatti nei testi come il Kojiki (Cronache dei fatti antichi) e il Nihon shoki (Cronache del Giappone) che risalgono al VIII secolo. Ma le testimonianze non si limitano al solo territorio giapponese: in Cina è stata scoperta un'illustrazione risalente al I o al II secolo d.C. che raffigura una tecnica molto simile alla pesca con il cormorano. Stessa cosa si ritrova nell'antico Egitto e su vasi di terracotta in Perù e sembra che nel XVII secolo anche Giacomo I, re d'Inghilterra, amasse praticarla.
 

Al giorno d'oggi è rimasta in uso solo in Cina e in Giappone, ma vi è una sostanziale differenza fra le due e riguarda il tipo di uccello usato. I pescatori cinesi usano uccelli di fiume stanziali, che allevano nella loro fattoria, come fossero pollame.
I pescatori giapponesi invece usano uccelli marini migratori: li catturano durante il loro viaggio migratorio, quando si fermano per riposare sulla costa di Ishihama, nella città di Hitachi, nella prefettura di Ibaraki. Li domano e li inviano poi ai pescatori di tutto il paese.
 

Essere un ujô, cioè un maestro pescatore non è semplice. Non esistono ferie per chi pratica questa tecnica: tutti i giorni infatti alle prime luci dell'alba, l'ujô si alza e trasferisce i suoi cormorani dalle piccole gabbie di bambù in cui dormono a grandi gabbie di ferro, in cui gli uccelli possano sgranchirsi le ali.
Alla sera, dopo aver dato loro da mangiare, deve di nuovo trasferirli nelle gabbie più piccole. Questo 365 giorni all'anno, perché chi decide di essere un maestro pescatore decide anche di vivere in simbiosi con i suoi animali. Ma perché scegliere proprio i cormorani? Oltre a possedere un'ottima vista e ad essere molto veloci in acqua (raggiungono i 3-4 metri al secondo), sono dotati di un robusto appetito ed è piuttosto facile ammaestrarli.
 

Ci vogliono circa 6 mesi perché un cormorano si abitui al suo padrone e altri 6 mesi per addestrarlo prima di poter essere usato in una battuta di pesca. Se l'aspettativa di vita di un uccello allo stato brado è di circa 7-8 anni, quelli usati per l'ukai sopravvivono molto più a lungo, arrivando agli attuali 25 anni per uno di quelli degli ujô di Gifu, che si vedrà se batterà il precedente record di più di 30 anni. Vivendo così a lungo e accudendoli quotidianamente, i cormorani diventano a tutti gli effetti membri della famiglia di un ujô.
 

Se ujô è il termine generico, shikibushoku ujô è il termine che indica i maestri del fiume Nagara di Gifu; la traduzione è "agenti maestri" perché essi sono a tutti gli effetti membri dell'Agenzia Imperiale, colei che fa da raccordo fra la Casa Imperiale e il resto del mondo.
Sempre protetti dagli uomini al potere, dopo la restaurazione Meiji, la prefettura di Gifu, per preservare questa tradizione che stava andando in declino, stipulò nel 1890 un accordo con l'Agenzia della Casa Imperiale, istituendo appunto la figura del shikibushoku ujô in seno ad essa.
Sono solo 9 le famiglie che possono fregiarsi di questo titolo: sei risiedono a Gifu e tre a Seki, tutte lungo il fiume Nagara. Il titolo passa di padre in figlio, in modo ereditario e otto volte all'anno gli ujô pescano e offrono il risultato del loro lavoro alla Casa Imperiale e solo ad essa.
 

I guadagni non sono certo stratosferici. Essere pescatori con il cormorano non rende ricchi: come per ogni impresa ci sono costi iniziali come gli uccelli, le barche, le torce e i costumi.
Anche diventando shikibushoku ujô, lo stipendio mensile inviato dalla Casa Imperiale è di 8.000 yen al mese (circa 60 euro). I guadagni maggiori provengono dagli uffici del turismo e dalla città stessa di Gifu; il ricavato che si può ottenere vendendo il pescato al mercato locale è sempre più esiguo.
 

La specie più pescata è l'ayu, autoctono dell'arcipelago e protetto: è infatti proibito pescarlo da novembre a maggio e anche nei mesi in cui il divieto decade bisogna pagare una tassa. Però gli ayu pescati con il cormorano valgono di più: si riconoscono perché è visibile il segno del becco dell'uccello. Se con i metodi normali di pesca, l'ayu ci mette molto più tempo a morire, con l'ukai la morte è pressocché istantanea e quindi il pesce rimane molto più fresco. Ma nei mesi in cui non è possibile pescare, i maestri cosa fanno?
 

Fino a 50 anni fa, i maestri pescatori vivevano sulle loro imbarcazioni viaggiando su altri fiumi e pescavano altre specie con cui nutrivano i cormorani; in questo modo non impoverivano il territorio.
Oggi sono stanziali, nutrono gli uccelli con sgombri congelati, ma non per questo si riposano: oltre ad occuparsi quotidianamente dei loro compagni di lavoro, riparano le imbarcazioni, raccolgono il legno che servirà ad alimentare le torce, cuciono i costumi tradizionali con cui accoglieranno i turisti che si recano appositamente a Gifu per ammirare l'ukai.
Sebbene una vita del genere non attiri molto i giovani, gli ujô non sembrano troppo preoccupati: "È una storia, una lunga tradizione che i maestri mantengono in vita da soli" afferma Yamashita Tetsuji, shikibushoku ujô sul fiume Nagara "Un orgoglio che viene trasmesso di generazione in generazione".

Fonte consutata:
Nippon

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