Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Prima di rivedere “serial experiments lain” una seconda volta, le parole che vedevo accomunate più di frequente a quest’opera erano: profetica, devastante, spietata e reale. Tutti termine chi si legano a “serial experiments lain” in maniera terribilmente vera.
“serial experiments lain” nasce nel 1998 da un soggetto scritto a due mani dall'illustratore Yoshitoshi ABe e dal produttore Yasuyuki Ueda, e può essere considerata - a tutti gli effetti - come un’opera rivoluzionaria al pari dei precedenti “Neon Genesis Evangelion” (da cui peraltro ha preso spunto) e “La rivoluzione di Utena”.

Nonostante siano passati vent’anni dalla sua uscita, è proprio oggigiorno che ci rendiamo conto di quanto profetiche siano state le intuizioni degli autori, nel voler dipingere quello che allora era un problema che si stava a malapena affacciando.
Descrivere la trama di “serial experiments lain” è quasi impossibile o, quanto meno, risulterebbe abbastanza riduttivo, specie se teniamo conto del fatto che la trama non è niente più di una cornice secondaria. L’incipit ci mostra il suicidio di una ragazza e il conseguente invio di mail, da parte della morta, a diverse compagne di classe. Lain, una ragazza con evidenti difficoltà a socializzare, rimane estraniata dagli eventi, non avendo un computer, e, facendoselo regalare, inizia la sua epopea nel mondo di Internet, con conseguenti messe in dubbio sulla sua reale identità.
In quest’opera, il cyberspazio prende il nome di Wired, e viene presentato come una rete informatica futuristica e probabilmente potenziata, in cui è possibile trasferire la propria coscienza. A questo va aggiunto che nel Wired si rintanano diversi inquietanti misteri, tra cui la presenza di un’entità, proclamatasi Dio, che, disprezzando la materia fisica, spinge le persone del mondo reale a fare a meno del proprio corpo, per trovare la propria felicità.

E’ difficile parlare con ordine di tutto ciò che “serial experiments lain” ha da offrire, così come è difficile seguire il susseguirsi degli eventi, riuscendo a cogliere il più piccolo dei dettagli (motivo per cui, vedere “serial experiments lain” un’unica volta è sconsigliatissimo). L’opera vuole analizzare diverse tematiche, prima fra tutte l’alienazione dell’umanità, che perde il proprio tempo in locali alla moda, droghe cibernetiche, cyberspazio...
Il viaggio dei protagonisti è tutto un’allegoria, che ci mostra come le nuove tecnologie possano creare una dipendenza tale, da mettere in dubbio la propria individualità. Lain stessa, nel momento in cui entra in contatto con questo mondo, è combattuta tra due sé: da una parte resta affascinata da questa falsa realtà, in cui mostra una personalità severa, egoista, spericolata; dall’altra ne ha paura, teme di non trovare sicurezze, tanto da interrogarsi di continuo su chi lei sia davvero, e su quale delle due personalità che sfoceranno nella serie sia quella vera. Lain è la rappresentazione delle nostre paure recondite, del timore della frammentazione del proprio io.
Un problema terrificante, se ci si pensa bene, messo in luce anche dagli altri personaggi, dalle inquadrature, dall’atmosfera onirica, e da una regia sensazionale. Anche alcune frasi infondono la giusta dose di inquietudine, basti pensare al padre di Lain che, regalatole un computer, le dice: «Bene, ora non avrai più bisogno di uscire e vedere i tuoi amici».
Interessante, a questo proposito, anche l’immagine di Dio che ci viene proposta. Più volte, mi è venuto spontaneo chiedermi se l’autore fosse ateo, o se la sua fosse una critica a chi lo è. Ma chi è il Dio che ci viene presentato nella serie? E’ il Dio che le religioni ci hanno abituato ad adorare? Non è forse la rappresentazione del singolo uomo che, all’interno di uno spazio fittizio come può esserlo Internet, si sente una divinità, contrariamente a com’è nel mondo reale, in cui la sua individualità non è altro che una mediocre comparsata?

Anche l’aspetto citazionistico è tutto da lodare. Se, tecnicamente, molte inquadrature e scelte registiche ci ricordano quelle di “Neon Genesis Evangelion” (e la stima verso Anno si nota tutta), la regia rielabora un po’ quello che è lo stile di David Lynch, con inquadrature che mettono inquietudine e ansia.
Più e più volte, le riprese si focalizzano sui tralicci, sui cavi (come il Navi di Lain, che viene presentato con una miriade di cavetti), sui primi piani di personaggi totalmente alienati (bellissimo, a questo proposito, il fatto che di Lain vengano spesso inquadrati gli occhi che, il più delle volte, risultano come vuoti) e inquietanti (come i genitori e la sorella di Lain, che sembrano più dei burattini).
Sempre per quanto riguarda le citazioni, mi è sembrato di notare un certo richiamo alla famosa opera di Carroll “Alice in Wonderland”. Come Alice è una ragazza che viaggia in un mondo surreale e bizzarro, rimanendone affascinata, ma impaurita, così Lain resta affascinata e terrorizzata dal Wired. Peraltro, e non so se sia fatto di proposito o meno, la migliore amica di Lain si chiama appunto Arisu, ovvero Alice.
Ogni problema reale legato alla dipendenza dalle nuove tecnologie ci viene mostrato ampiamente, e da qui affiorano tutte le ovvie domande e le ovvie paure che ci si pongono ogni giorno: il non essere certi che ciò che viene scritto su Internet sia reale, sia sicuro, o non venga manipolato da altri...

Insomma, “serial experiments lain” si mantiene, anche a distanza di vent’anni, una serie attualissima e incredibilmente vera, che dipinge il mondo il post-avvento di Internet in maniera terribilmente realistica.


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Devo ammettere che non mi aspettavo molto da questo titolo. A dirla tutta ho avuto il sentore, di primo acchito, che si trattasse di una vera e propria trashata. E, per carità, in un certo senso lo è, ed anzi l’autore ci gioca molto su questo elemento, persino a partire dalle copertine che reinterpretano i protagonisti di questo manga in chiave sadomaso (cane incluso!).
La trama è presto detta: esiste una sorta di apparecchio ortodontico (l’SCM) che permette a chi lo indossa di poter sfidare un altro possessore: il perdente diventa lo schiavo ed è costretto ad eseguire praticamente qualsiasi ordine del padrone. Come è facile immaginare, la cosa viene interpretata innanzitutto in chiave sessuale in molti frangenti di questa storia, ma non solo.
Da questo incipit prenderanno quindi il via le vicende di una rosa sempre più ampia di personaggi, che finiranno per intrecciarsi e ingarbugliarsi tra di loro sempre più, a volta sorprendentemente, sempre a causa di questo SCM.
Ognuno ha le sue motivazioni: possono essere superficiali, malate, disperate o persino in qualche modo nobili. Fatto sta che ne viene fuori un susseguirsi di sfide, macchinazioni e trabocchetti che sicuramente tiene desta l’attenzione per tutta la durata dei 10 volumi che compongono il manga. Anche perché l’SCM ha tutta una serie di vincoli e regole, e molte di esse sono da scoprire strada facendo, assieme ad una serie di interrogativi riguardanti la natura di questo marchingegno, chi l’ha creato e come si stia diffondendo...

Sappiamo bene però come in storie di questo tipo dipenda tutto o quasi da quanto son ben pensati gli stratagemmi, i colpi di scena, i ragionamenti e le deduzioni intricate dei personaggi in gioco. Più il risultato è, quindi, simile ad una partita a scacchi, e più l’opera risulta meritevole. E il manga in oggetto è in parte un “vorrei ma non posso”, nel senso che sicuramente mostra dall’inizio un ottimo potenziale, avvince e intrattiene anche se con alti e bassi, ma non siamo di certo ai livelli di un Death Note (per citare un esponente famoso del genere, apprezzabilissimo nonostante i suoi pregi e difetti). Infatti a volte il risultato di certe sfide è un po’ tirato via alla buona, e gli stratagemmi poco credibili o cmq forzati.
Ad alzare il livello nell’economia generale, però, concorrono i personaggi. Nonostante non siano paradossalmente nulla di originale, alla fine ci si lega abbastanza ad alcuni di loro, tanto che risultano particolarmente apprezzabili, sotto tale ottica, le ultime tavole del manga che narrano che fine abbiano quindi fatto questi, e come abbiano proseguito i loro percorsi di vita.

Non aspettatevi nulla di geniale quindi: non penso che questo sarà un titolo che si ricorderà negli anni a venire; ma se vi piace il genere e non site troppo puntigliosi, una lettura la merita. Qualche freccia al proprio arco ce l’ha, e nel complesso è un titolo anche abbastanza “solido” e godibile. Non a caso è in arrivo una sua trasposizione animata, che penso non passerà inosservata.


8.5/10
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L'estate è finita e con essa è terminata anche una delle serie del 2017 più seguite. Inizialmente gli episodi trasmessi sulla piattaforma di VVVVID non avevano avuto un buon riscontro in termini di visualizzazioni, ma in breve tempo le voci positive si sono diffuse e hanno raggiunto anche molte delle persone che non avevano minimamente preso in considerazione l'idea di iniziare questa serie.

“Made in Abyss” è una serie animata tratta dal manga di Akihito Tsukushi e ambientata in un'isola in cui è presente un'enorme voragine. Questo misterioso “Abisso” attira esploratori in cerca di fortuna da ogni dove, ma attualmente nessuno è mai riuscito a raggiungere il fondo a causa di una serie di ostacoli che mettono in costante pericolo la vita degli avventurieri. Mano a mano che si scende, le creature che si incontrano sul proprio cammino sono sempre più pericolose e, come se ciò non bastasse, la risalita è spesso accompagnata da terribili effetti collaterali che possono portare a gravi emorragie o addirittura alla morte. La curiosità dell'uomo però è troppo grande e, nonostante i numerosi pericoli, sono molte le persone che decidono di addentrarsi in questo luogo da cui è difficile far ritorno. Nella città che si è venuta a formare attorno alla voragine, è presente anche un orfanotrofio i cui bambini vengono inviati regolarmente negli strati più superficiali dell'Abisso alla ricerca di cimeli da donare in cambio dell'alloggio. Tra questi bambini c'è anche Riko, una ragazzina che ambisce a diventare un fischietto bianco, ovvero l'esploratore di rango più alto che può raggiungere anche gli strati più pericolosi dell'abisso. Si tratta di un sogno ancora lontano dalla sua portata, ma uno strano evento sta per cambiare le carte in tavola. Durante una delle sue solite esplorazioni, si imbatte nel corpo privo di sensi di un ragazzo-robot e, senza farsi vedere dalla direttrice, lo porta nella sua stanza per studiarlo assieme ad altri suoi amici. Nonostante i numerosi esperimenti sono poche le informazioni che riescono a ricavare da questo strano bambino, ma Riko è intenzionata a sfruttare quest'occasione per scendere una volta per tutte nelle profondità dell'Abisso, convinta che le particolari abilità di Reg siano sufficienti per superare ogni tipo di ostacolo. La discesa, però, è molto più ardua di quel che pensa.

Come avremo modo di vedere, il carattere della bambina è molto diverso da quello di Reg. Lei è molto coraggiosa, determinata e desiderosa di imparare. Lui, al contrario, è molto insicuro di sé anche a causa della sua amnesia e, pur essendo molto forte, avrà ugualmente bisogno della prontezza di Riko per uscire dai guai. Alcuni dei personaggi secondari di questa storia prenderanno delle scelte abbastanza discutibili, ma questo non andrà a minare la qualità dell'opera.

I primi episodi di questa serie sono puramente introduttivi, infatti il ritmo è un po' lento, ma si tratta ugualmente di episodi ben realizzati atti a presentarci i protagonisti e a spiegarci le basi, prima di addentrarci in quella che sarà la vera storia. La seconda parte, invece, prende una piega totalmente diversa e inaspettata, dove abbiamo modo di conoscere la vera natura dell'abisso. Se all'inizio lo sguardo era stato rivolto quasi unicamente verso i protagonisti, nella parte seguente la storia si focalizza soprattutto sulla pericolosità che l'abisso rappresenta per tutti coloro che hanno il coraggio di proseguire oltre quella linea che gli abitanti del luogo considerano ancora sicura. I mostri dell'Abisso e tutto ciò che costituisce un vero pericolo fanno emergere il lato più crudo di questa serie, che è anche quello più coinvolgente.
In alcuni episodi, la tragicità degli eventi e le emozioni provate dai personaggi sono rese così bene, che è impossibile non rimanerne impressionati. Alcuni episodi sono così coinvolgenti, da tenere lo spettatore attaccato allo schermo provando l'ansia e la disperazione a cui i protagonisti vanno incontro. Il coinvolgimento attuato però non è l'unico pregio di questa serie. Ad esso si aggiungono anche i bellissimi fondali realizzati tutti nei minimi particolari. Questi ultimi hanno uno stile molto diverso da quello utilizzato per i personaggi; ciononostante, non vi è alcun contrasto tra le due tipologie, anzi, si rimane facilmente affascinati dalla cura con cui sono stati realizzati.

Una nota di merito va anche alle musiche realizzate da Kevin Penkin, un noto compositore australiano che in precedenza ha lavorato anche alle canzoni di alcuni videogiochi. Le musiche da lui composte si adattano perfettamente ad ogni situazione, permettendo di godersi appieno ogni scena trasmettendo curiosità, ma allo stesso tempo anche stupore di fronte ad alcuni dei bellissimi sfondi presenti in questa serie.

L'unico aspetto che ho trovato un po' fastidioso è il fanservice. Il fanservice di tipo lolicon e shotacon può piacere o non piacere, ma nel mio caso non ha dato una buona impressione. In alcuni episodi l'ho trovato abbastanza invasivo, dato che ha parzialmente rovinato alcune scene in cui non se ne sentiva per nulla il bisogno, quindi sconsiglio la visione di questa serie a chi non va molto a genio questo difetto.

Alcuni dei misteri sono stati risolti negli ultimi episodi, ma ce ne sono molti altri che sono attualmente senza risposta, dato che il manga originale non si è ancora concluso, e per tale motivo mi auguro che questa serie riesca ad ottenere una meritata seconda stagione. “Made in Abyss” è senz'altro una delle serie migliori di quest'anno, quindi consiglio a tutti di concedergli una possibilità e di non lasciarsi ingannare dal chara bambinesco dei personaggi.