Nonostante le più di trenta candeline sul groppone, Saint Seiya (noto in Italia come I cavalieri dello zodiaco) è un brand che continua ancora a tirare molto in tutto il mondo, e non si contano i sequel, i prequel, gli spin-off o le rielaborazioni in varie forme che da più di una decina d’anni continuano ad essere prodotti con alterne fortune. Tra i tanti nuovi progetti, Saintia Sho (manga di Chimaki Kuori in corso per Akita Shoten dal 2013, in Italia pubblicato da Panini Comics) si è rivelato uno dei più interessanti, per via di una storia particolare, che non vuole (almeno in un primo momento) parlare dei soliti noti in armatura dorata, ma si concentra su un cast nuovo e quasi interamente femminile, con l’introduzione delle Saintia, casta di ancelle personali della dea Atena create per l’occasione (sono diverse dalle Saint donna presentate nella serie originale, lo si nota dal fatto che non hanno l’obbligo di indossare una maschera). Grazie ad uno stile di disegno fresco e piacevole e ad una storia un po’ banale ma comunque carina da seguire e ricca di bei momenti, Saintia Sho si è imposto come una produzione simpatica e interessante, e l’annuncio di una serie animata dedicata alla mascolina Shoko di Equuleus (Cavallino) e alla lotta contro la sorella Kyoko, involucro umano della dea Eris, ci ha fatto piacere.

Saintia Sho - Recensione

Annunciata, rimandata, dimenticata, ripescata, trasformata in una webserie di pochissimi episodi trasmessa un po’ a casaccio, Saintia Sho non è nata sotto i migliori auspici, segno che, forse, ai fan non importa poi molto di tutti questi spin-off e storie alternative, e rimangono legati unicamente alla serie originale (e al grandissimo giro di merchandise e modellini ad essa collegato). Ed è proprio ai fan nostalgici più accaniti della serie originale che si è rivolto lo staff di Toei Animation, realizzando Saintia Sho con lo stile classico di Shingo Araki piuttosto che con quello, più moderno, di Chimaki Kuori (qui relegato unicamente alle illustrazioni degli eyecatch). Addirittura, la sigla finale è stata disegnata in parte da Michi Himeno, la storica collaboratrice del compianto Araki, che ben conosce il vecchio stile dei Saint. Quel che si perde, togliendo a Saintia Sho i suoi disegni freschi e gradevoli, lo si recupera amplificando a mille l’effetto nostalgia già presente nel manga originale, che spesso e volentieri strizza l’occhio ai vecchi fan con lo stile grafico dei balloon e dei combattimenti, coi titoli dei capitoli, con graditissime guest star e personali retrospettive sui vecchi personaggi. È un Saint Seiya dal tocco più femminile, che riesce a sondare il cuore dell’imperscrutabile Saori/Atena con una sensibilità mancante nell’opera originale, e ci regala combattimenti altrettanto passionali e avvincenti, dal piacevole retrogusto classico.

Saintia Sho - Recensione

Shoko, la ribelle eroina dai capelli rossi che all’inizio della storia vive da sola col padre, che la allena in un dojo di arti marziali, e si ritrova invischiata in un destino di battaglie divine che rivolteranno tutto ciò che sa su di lei e sulla sua famiglia, è un personaggio adorabile a cui ci si affeziona immediatamente. Un po’ Akane Tendo, un po’ (tanto), inevitabilmente, un Seiya al femminile, è un personaggio molto azzeccato e piacevole. Non si può, purtroppo, dire lo stesso delle sue compagne, che escono un po’ con le ossa rotte (e non è colpa degli emissari della dea Eris) da questa trasposizione animata che, dovendo condensare in soli dieci episodi ben otto volumi di una storia che in realtà continua ben oltre la decina di uscite, ha operato diversi tagli alle vicende, risparmiandosi di animare quasi tutte le scene dove i personaggi che non fossero Shoko facevano qualcosa, combattevano, ci parlavano di sé. Il risultato è una serie carina, ma piena di figurine che stanno sullo schermo e di cui, tuttavia, non si sa molto, mentre, invece, nel manga, ognuna delle compagne di Shoko aveva il suo percorso personale, le sue battaglie e la sua storia (penso anche solo alla vicenda personale di Elda di Cassiopea, legata inscindibilmente ad una nostra vecchia dorata conoscenza, qui totalmente tagliata). È un peccato, perché la storia di base del manga, pur non essendo nulla che non si sia già visto in altre produzioni precedenti di Saint Seiya, è carina e interessante, e magari il doppio degli episodi avrebbe giovato anche alla versione animata, consentendole di dare un maggior spazio a tutti i personaggi.

Saintia Sho - Recensione

Con i suoi colori accesi, i disegni in stile Shingo Araki (non sempre perfetti, ma è inevitabile per le webserie), le animazioni, i movimenti, gli effetti dei colpi volutamente ripresi da quelli della serie storica, Saintia Sho è molto bello da vedere. Sia tra i buoni che tra i cattivi è pieno di personaggi femminili di incredibile bellezza, cosa che indubbiamente fa piacere. Anche la colonna sonora, ad opera di un sempre apprezzabile Yasuharu Takanashi (che, tra Sailor Moon Crystal e Precure, è ormai esperto di ragazze combattenti), è epica e solenne, come giustamente si confà ad un’opera basata su Saint Seiya, e impreziosisce di molto le scene di battaglia. Anche a livello musicale, ovviamente, è stato amplificato l’effetto nostalgia, con diversi reprise della storica “Pegasus Fantasy”, cosa assai gradita. Molto bella anche la grintosa sigla d'apertura tutta al femminile, che ci riporta un po' alle atmofere rockeggianti della prima sigla di Sailor Moon Crystal.

Saintia Sho - Recensione

Non è un adattamento pienamente riuscito, questo Saintia Sho, che ha tagliato via molto del manga originale, perdendo in compattezza della storia e in caratterizzazione dei personaggi. Rimane una miniserie carina, ma dimenticabile, che si fa ricordare più per il suo effetto nostalgia, quello sì, pienamente riuscito, tra uno stile grafico “familiare”, un gruppo di combattenti in gonnella che si scontrano con nemiche gnocche (avessero la divisa alla marinaretta piuttosto che l’armatura diremmo di aver già visto un film simile, diversi anni fa), tanti personaggi storici che fanno capolino qua e là e persino un remake-lampo delle Dodici case. Il manga originale ci mette un po’ di tempo prima di trovare la sua dimensione e la sua strada, qui non ne ha il tempo, al Pegaso sono state tarpate le ali prima che riuscisse a spiccare il volo, e alla fine della miniserie (che, tra le altre cose, finisce, ovviamente, in maniera diversa rispetto al suo corrispettivo manga, promettendo una continuazione che suppongo non vedremo mai), resta un po’ di amaro in bocca. In definitiva, un divertissement piacevole per i fan del brand, che però continueranno, inevitabilmente, a preferire il Pegaso al Cavallino.