Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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È ampiamente dimostrato da diversi studi scientifici che, vivere con un animale domestico, migliora la qualità della vita: l’interazione con un amico a quattro (o meno, dipende dai casi) zampe infatti aiuta a relazionarsi col prossimo, rende consapevoli dell’importanza di avere in affidamento un’altra vita, riesce persino curare e prevenire la depressione, tutti effetti vissuti dal protagonista di “My Roommate is a cat” (titolo inglese del difficilmente ricordabile originale “Dōkyonin wa hiza, tokidoki, atama no ue” che dovrebbe significare “La mia coinquilina è in grembo ma, qualche volta, è anche sulla testa”), un anime della stagione invernale 2019 diretta trasposizione dell’omonimo manga scritto da Tsunami Minatsuki e disegnato da Asu Futatsuya.

Il protagonista in questione è Subaru Mikazuki, ventitreenne scrittore di romanzi gialli dal carattere estremamente introverso e che incontra notevoli ostacoli nelle relazioni sociali tanto da avere problemi anche solo ad uscire di casa, difficoltà queste acuitesi poi di recente in quanto ha subito la grave perdita di entrambi i genitori in un incidente stradale. Anche in un momento simile però il destino gli riserva un incontro in grado di dare una svolta alla sua vita quando, mentre sta lasciando un’offerta di cibo sulla tomba dei genitori, incontra un’adorabile gattina attirata lì dal cibo in questione. Colpito dall’aspetto del felino che gli dà l’ispirazione per una nuova serie di romanzi che stava tanto cercando, decide di adottarla e portarla a casa, inizialmente solo affinché continui a guidarlo nella creazione della sua nuova opera ma basterà poco perché la coabitazione con la sua nuova amica, ribattezzata dopo anche troppo tempo Haru, finisca per incidere sulla sua esistenza più di quanto avesse mai potuto immaginare.

La storia di “My roommate is a cat” quindi è la storia della convivenza tra Haru e Subaru, un rapporto cominciato con reciproca diffidenza ma destinato a rafforzarsi sempre di più grazie anche all’ intervento dei diversi personaggi secondari che incroceranno più o meno casualmente la loro realtà e che saranno fonte di tantissime situazioni differenti che spaziano dalla comicità pura e semplice, a cui vuole dedicarsi per gran parte del tempo la serie, fino a momenti riflessivi dai toni drammatici che aiuteranno Subaru a maturare e provare superare il suo lutto e le sue idiosincrasie, ma anche la stessa Haru che, come vedremo lungo la serie, si porta alle spalle una vita che l’ha messa già a dura prova nonostante la giovane età. L’idea vincente che caratterizza “My roommate is a cat” però, e che la rende per questo meritevole della visione a mio parere, è il fatto che ogni episodio sia raccontato seguendo due punti di vista diversi a seconda che il ruolo dell’io narrante venga assunto ora da Subaru, ora da Haru: quest’ alternanza non solo garantisce una chiave comica convincente e un ritmo sostenuto all’ episodio anche quando si sofferma su elementi apparentemente banali ma, soprattutto, ci aiuta a capire come Subaru e Haru percepiscano diversamente il mondo che li circonda e ciò di cui entrambi hanno bisogno; attraverso i loro sforzi comunque ogni giorno diventa un piccolo passo avanti nella relazione tra Haru e il “piccolo umano”, come lei lo chiama, e parallelamente al loro rapporto anche quelli con le persone che li circondano cominciano lentamente, ma inevitabilmente, a migliorare.

Non altrettanto appagante, ma comunque nella media delle discrete produzioni stagionali, ho trovato il lato tecnico della serie. Realizzato dallo studio Zero-G, “My roommate is a cat” è un anime che non ruba l’occhio dello spettatore pur mantenendo un livello sufficiente per tutta la sua durata, il classico slot ormai da 12 episodi. Kaoru Suzuki ne ha curato la buona regia, che dà il meglio di sé quando focalizza l’attenzione su Haru e le sue peripezie, mentre il character design, ispirato ma con qualche piccola differenza rispetto al tratto originale del manga di Asu Futatsuya, è affidato a Masaru Kitao che fa un lavoro sopraffino, a mio parere, soprattutto nella creazione di Haru, assolutamente adorabile, trovando un giusto compromesso tra una riproduzione fedele di un gatto in carne ed ossa e l’aggiunta di dettagli grafici tipici degli anime quali occhi leggermente grandi e un’ espressività a volte più vicina a quella di una persona vera e propria che di un animale. Semplici e funzionali sono poi le animazioni per una serie che comunque racconta tranquille storie di vita quotidiana ma, anche qui, va rimarcato l’ottimo lavoro fatto nel ricreare i movimenti di Haru, tranquillamente associabili a quelli di un gatto reale. Sempre calzanti ad ogni occasione sono le musiche di Kotringo, che ha firmato la colonna sonora di celebri opere come “In questo angolo di mondo”, così come conformi allo spirito della serie sono le due sigle, l’opening (intitolata “Unknown World” e cantata dalla stessa Kotringo e dagli Schrodinger's Cat) è un pezzo vivace e orecchiabile che ci presenta i due protagonisti nelle situazioni più svariate e fantasiose mentre l’ending (“Kimi no Tonari Watashi no Basho” di Yoshino Nanjo) è una dolcissima canzone, alla stregua di una ninnananna quasi, accompagnata da splendide illustrazioni della piccola Haru, il personaggio che, inutile negarlo, ruba la scena e il cuore di chi guarda più di tutti gli altri. A chiusura della confezione della serie vale la pena citare il buon doppiaggio giapponese e le convincenti prove, in particolar modo, dei doppiatori dei due protagonisti, Kensho Ono per Subaru e una piacevolissima Haruka Yamazaki per la tenera Haru.

“My roommate is a cat”, che ha potuto godere di una distribuzione ufficiale anche in Italia grazie a Crunchyroll, è in definitiva una serie che mi sento di promuovere senza alcuna remora e di raccomandare altrettanto vivamente, non è un’opera priva di difetti, riscontrabili soprattutto in una certa ripetitività di alcune situazioni a discapito di altre con diversi personaggi che restano solo accennate, né un anime tecnicamente imperdibile, ma è una serie che funziona nella sua dolcezza e nella sua semplicità e che è capace di raccontare, al di là del caso specifico dei due protagonisti, in maniera abbastanza credibile la costruzione di un rapporto di fiducia tra uomo e animale, cosa che i fortunati possessori di un animale domestico, dei quali ho la fortuna di far parte, non avranno fatto fatica a riscontrare tra una pappa servita colpevolmente in ritardo e attenzioni esagerate rivolte nei momenti meno opportuni.

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Makoto Shinkai è un autore dotato di una sensibilità fuori dal comune, e “Lei e il gatto”, opera d’esordio datata 1999, mostrava già questa sua peculiare emotività. Il primo lavoro di Shinkai è un OAV, un cortometraggio della durata di appena cinque minuti prodotto col solo ausilio di un Mac. La natura amatoriale del prodotto è ancor più evidenziata dalla scelta del regista di doppiare lui stesso il protagonista della storia (l’unico altro personaggio parlante è doppiato dalla sua fidanzata). Il risultato è un debutto indubbiamente degno di nota, ma non esente da difetti.

Il protagonista è un gatto che in un giorno di pioggia viene raccolto da una giovane ragazza, la quale decide di tenerlo con sé nel suo piccolo appartamento. Il gatto, trovando la sua padrona dolce come una mamma e bella come un’amante, se ne innamora. L’arco narrativo copre un anno, e la trovata dannatamente shinkaiana di sviluppare la storia metaforizzando le quattro stagioni funziona a meraviglia.
La primavera è fioritura e germoglio. In primavera la ragazza trova il gatto, e in lui germoglia un amore puro e platonico verso di lei; è il ricordo più lontano che il gatto ha in memoria, è il suo inizio.
L’estate è invece la stagione dei nuovi incontri, la stagione degli amori e delle scappatelle. E anche il gatto conosce una micia e ci si accoppia; ma l’amore che nutre verso la sua padrona va oltre qualsiasi istinto animale.
Poi arriva l’autunno insieme alla malinconia. Gli alberi sono spogli e le foglie cadono, come le certezze degli esseri umani; la ragazza, dopo una lunga telefonata, scoppia in lacrime; il gatto non capisce perché, ma le sta accanto. “Quando indossa quel cappotto pesante sembra proprio un grosso gattone. L’odore della neve su di lei... le sue dita fragili e fredde... il suono delle nuvole scure che attraversano il cielo lontano... il suo cuore... il mio stato d’animo ... la nostra stanza...”
Nel freddo dell’inverno, mentre cadono i fiocchi di neve, in una dolce antinomia con il tepore di un amore tanto nobile, si conclude l’opera. Il finale vero e proprio, in classico stile Shinkai, è un inno alla vita un po’ telefonato che non dà chissà quali scosse emotive, deludendo in parte le ottime aspettative suscitate.

Tecnicamente, considerato anche che l’opera è stata realizzata interamente (e per interamente intendo proprio al 100%) dal solo Shinkai, il lavoro svolto è senza dubbio ammirevole. Il chara è molto basico, e il gatto, stilizzato da linee semplici e contorni caricaturali, non resta molto impresso. Tuttavia i fondali, seppur ancora lontani dall’eccellenza raggiunta dai prodotti successivi, colpiscono per cura e realismo. La scelta del bianco e nero, oltre a nascondere alcune lacune tecniche, imborghesisce la fotografia, dandogli quel tocco di classe espressivo che innalza l’opera.
Gli occhi del felino sono la telecamera, e filtrano tutto ciò che lo spettatore vede.
La regia, dolce e ricercata, mostra tutto il potenziale poetico e sognante dell’autore.
I pianoforti sussurrano rare e melanconiche melodie, che cullano dolcemente i fotogrammi.
Ottimo il doppiaggio italiano, sempre sinonimo di garanzia.

Shinkai è l’uomo dell’amore senza barriere, quell’amore puro e viscerale in grado di valicare ogni ostacolo. L’ormai celebre regista di “Your Name.” racconta un sentimento tiepido e sincero, capace di bypassare anche la differenza di specie.
In “Kanojo to Kanojo no Neko” sono presenti moltissimi elementi che faranno poi parte della semantica autorale del regista, da quelli naturali (come pioggia e neve) a quelli narrativi (il voice-over e l’atmosfera malinconica), ripresi poi in tutti i suoi lavori successivi. Ci sono i soliti buchi di trama e alcuni quesiti non vengono risolti, ma stavolta la brevità del corto giustifica le mancanze. E poi l’OAV è stato riproposto in una serie anime alternativa di quattro episodi, anche questa interamente prodotta da Makoto Shinkai.
“She and Her Cat” è il biglietto da visita di un autore che riuscirà a imporsi sul mercato dell’animazione giapponese senza mai snaturare quello stile lirico e romantico emblema del suo parco opere.
Da recuperare, soprattutto se amate i cortometraggi e le atmosfere nostalgiche.

Voto: 7

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“Mi hanno detto che l'addomesticamento con i gatti è molto difficile”
“Non è vero. Il mio mi ha addomesticato in un paio di giorni”
(Bill Dana)

Questo volumetto è la cronistoria dell'addomesticamento del maestro dell’horror ad opera di due felini, Yon e Mu, il tutto orchestrato dalla di lui fidanzata (e poi moglie) e disegnato da Junji Ito stesso.

Una carrellata di piccole storie che raccontano in modo tenero, divertente, talora realistico, talora grottesco, l’avvicinamento al mondo felino, e che rendono partecipe il lettore dell’iniziazione del sensei all'esperienza della coabitazione con l’animale enigmatico per eccellenza.

Volume in cui gli appassionati di gatti potranno ritrovare emozioni che ben conoscono: lo stupore, la meraviglia, ma anche la rabbia e la frustrazione, la modificazione delle abitudini, l’apprensione per la sorte degli amati piccoli felini, le “lotte” fra i coniugi per attirare a sé le attenzioni dei gatti.

Oltre al mondo dei gatti, nel volume si trova anche il “mondo” del maestro dell’horror, perché è attraverso i suoi occhi, e soprattutto la sua mente inquieta, che ci giungono le vicende, e i disegni non snaturano l’abituale tratto di Ito; questo dà alle storie una peculiarità che consente di non finire nel “già visto”, anche se il lettore ha già letto centinaia di storie di gatti.
Le tavole sono bellissime e rappresentative del grandissimo talento di Ito; per questo il volume può essere un modo di approcciare la sua opera, anche se non si è amanti dell’horror.

Il costo del volume è abbastanza elevato, ma l’edizione è curata e contiene anche le fotografie dei veri Yon e Mu e piccole brevi interviste (a Junji Ito, non ai gatti). E poi, in realtà, gli appassionati di gatti sono già rassegnati al fatto che ogni prodotto che contiene “gattosità” venga, di norma, venduto a un prezzo un poco più elevato della media.