Si dice che sia il mestiere più antico del mondo. Se ne parla spesso nella cronaca nera e in Giappone è stato erroneamente associato per molto tempo alla figura della geisha. Ma esiste un'altra faccia della medaglia di cui si parla poco nel Sol Levante e che è ben diversa dall'immagine patinata che ne diede Richard Gere nel film "American gigolò". Sono gli urisen, cioè uomini che fanno sesso per denaro.
 

A far luce su questa realtà e a portarla a conoscenza di un pubblico più vasto ed internazionale è stato un documentario: "Boys for Sale", presentato per la prima volta al Nippon Connection Film Festival di Francoforte il 24 maggio 2017, racconta le storie, le condizioni di vita e di lavoro degli urisen, giovani che si prostituiscono in locali molto simili a bar e ristoranti ma che nella realtà sono bordelli.
Sono stati necessari tre anni di lavoro, di cui due a Shinjuku Ni-chome, il quartiere gay di Tokyo, affinché i produttori Ian Thomas Ash e Adrian Storey, che vivono da una decina d'anni in Giappone, riuscissero a conquistare la fiducia di dieci giovani che hanno accettato di essere intervistati a patto di garantire loro l'anonimato. Ne esce un quadro toccante e doloroso che mette in luce condizioni economiche al limite della povertà e un profondo riserbo nell'esprimere apertamente l'omosessualità in una società che, nonostante abbia fatto enormi passi avanti, non la accetta e pretende che rimanga nascosta.
 


Il fenomeno degli Urisen (ragazzo in affitto) risale agli anni '60 e '70, anche se si ritiene che le sue radici risalgano addirittura al periodo Edo (1603-1868), quando la bisessualità era all'ordine del giorno e le concubine maschili trovavano favore anche presso gli shogun.
La precarietà economica è la prima ragione per cui queste persone decidono di prostituirsi: alcuni lo fanno per mandare soldi alle famiglie di origine, molti sono vittime del terremoto e dello tsunami del 2011, in cui hanno perso tutto ed altri invece si sentono semplicemente fuori posto nella costrittiva società nipponica, non ci si riconoscono, non appartengono a nessun luogo e si perdono.
Mediamente sono pagati 7.000 yen all'ora (quasi 60 euro) e devono lavorare tutti i giorni della settimana dalle 16 a mezzanotte; hanno diritto di solito a 3 giorni di riposo in un mese. Però metà di quello che guadagnano torna indietro al gestore del bar in cui lavorano. Raramente superano i 25/26 anni mentre i loro clienti sono molto più grandi di loro, di solito sono over 50.
 

Le loro testimonianze, raccolte con discrezione nelle piccole sale dedicate alle relazioni sessuali con i clienti, sono crude e disilluse. C'è chi afferma di riuscire ad avere un'erezione pur non avendone il  desiderio pensando al denaro che ne ricaverà e chi dice che non vuole vivere a lungo, fornendo una visione davvero pessimistica della vita.
"Penso a me stesso come a una specie di edonista: farò qualsiasi cosa se mi fa sentire bene", dice "Hiroshi", un ragazzo di 18 anni di Chiba "I clienti che ho servito hanno un'età compresa tra circa 30 e 65 anni. Di solito sono masochisti che vogliono che io sia, beh, sai, prepotente."

Molti non hanno voluto essere ripresi in viso e si sono nascosti dietro ad una maschera; questo probabilmente ha permesso loro di parlare più liberamente della loro esperienza. Hanno raccontato sia i momenti sereni di vita in comune (gli urisen infatti vivono in un piccolo dormitorio all'interno del bar nel quale lavorano) sia quelli più difficili come le violenze che potrebbero subire. "C'è un legame speciale fra noi", dice ancora Hiroshi. "Non importa quanto sia brutto, ci siamo dentro insieme."
 

Il fatto che gli urisen facciano sesso con gli uomini, non vuol dire che siano tutti omosessuali. La maggior parte si dichiara eterosessuale ed alcuni dichiarano di avere una compagna. A coloro che sono gay viene detto di fingere di essere eterosessuali perché così diventano una sorta di sfida per molti clienti. Ma la loro esistenza tocca un nervo scoperto della cultura e della società giapponese.
Soprattutto se si è di sesso maschile, è molto difficile vivere la proprio omosessualità liberamente e serenamente. Un giapponese "vero" deve sposarsi, avere figli, provvedere alla sua famiglia o non avrà credibilità nella società, sarà considerato inaffidabile nel suo lavoro. Tutto quello che non è incasellato e previsto è respinto e le minoranze sessuali non fanno eccezione, nonostante i notevoli progressi degli ultimi anni. Quindi per sfogare e consumare un'omosessualità a volte repressa fin dalla più giovane età, molti uomini, anche sposati, si rivolgono agli urisen, salvando così le apparenze.
Inoltre questo fa anche capire perché mentre è vietata la prostituzione femminile, ufficialmente in Giappone non è proibita quella maschile. C'è un buco legislativo perché non è concepita, semplicemente non "può" esistere.
 


Oltre ai problemi psicologici, il tabù dell'omosessualità porta anche a una mancanza di conoscenza dei rischi delle malattie a trasmissione sessuale. Durante le interviste si rimane scioccati quando un urisen ha chiesto se anche gli uomini potevano contrarre malattie sessualmente trasmissibili. Come se fare sesso fra uomini non comportasse gli stessi rischi che farlo fra persone di sesso diverso.
Aggiungendo anche il fatto che spesso i clienti chiedono di non usare il preservativo e che alcuni proprietari e gestori di bar nascondono intenzionalmente informazioni cruciali sulla natura del lavoro e sui potenziali rischi per la salute, la vita di queste persone è spesso in pericolo.

Fonti consultate:
Japanization
JapanTimes