Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Nella sterile, a tratti imbarazzante, stagione invernale 2018, un posto di rilievo l’ha sicuramente avuto “Violet Evergarden”, anime prodotto dalla Kyoto Animation (studio d’animazione che vanta un curriculum non indifferente, basti pensare al recente “A Silent Voice”). Presentato al pubblico, fin dai primissimi trailer, come l’anime della stagione, “Violet Evergarden” si distingue fin da subito per le sue animazioni fluide, con degli sfondi, e direi anche utilizzo dei colori, da grande cinema, e per una meticolosa cura, anche in particolari apparentemente minori, dal fruscio del vento, al rumore di passi, fino allo stesso riverbero della luce sull’acqua. Ma dietro questo comparto tecnico da capogiro risiede davvero un piccolo capolavoro?

L’ambientazione di “Violet Evergarden” è tardo-ottocentesca, ma risente fortemente dell’influsso steampunk, dove la scienza è già arrivata a concepire parecchie invenzioni avanguardistiche, a tratti fantascientifiche, come per esempio protesi sostitutive perfettamente funzionanti. Quasi in contrapposizione a questo tripudio tecnologico, la comunicazione risulta essere ancora alquanto arretrata, con le lettere che hanno ancora una grandissima valenza e con specifiche figure professionali, le automail, pronte a scrivere e inviare messaggi al bisogno. In particolare si narrano le peripezie di Violet, giovane ragazzina quattordicenne, conosciuta nell’esercito come un soldato prodigio durante la guerra, al servizio di un rinomato maggiore, tal Gilbert. Proprio questi, durante l’ultima battaglia, cade sotto il fuoco nemico, e la nostra ragazza-soldato finisce, al termine del conflitto, per trovarsi catapultata in una realtà a lei sconosciuta: la vita di tutti i giorni, con tutti i pregi e difetti ad essa correlati. Violet, inoltre, dopo aver perso ambo le braccia durante l’ultima battaglia, sfoggia adesso delle protesi di metallo, e vive con il doloroso ricordo delle ultime, strazianti parole sussurrategli da Gilbert: “Ti amo”. Violet, però, è completamente ignara di quale significato si celi dietro tali parole, pertanto, sotto suggerimento dell’ex generale Hodgins, decide di prestare servizio come postina presso la CH Postal Services. Desiderosa di dare interpretazione all’ultimo messaggio del suo defunto maggiore, Violet, la ragazza, rimasta affascinata dall’attività di Auto Memory Doll, o automail che dir si voglia (copiste che riescono a trascrivere in parole i più svariati sentimenti ed emozioni), intraprende un’importante decisione: lavorerà come automail per imparare il significato di quella misteriosa parola. Da qui in poi inizierà un profondo e complesso processo di formazione psicologica (e, passatemi, sessuale) per la nostra Violet che, presto, attraverso la sua attività, arriverà a comprendere quante sfumature possa comprendere la parola “amore”, in tutte le sue meravigliose, e sfaccettate, forme.

Innanzitutto credo sia doveroso distinguere la trama in due linee: quella autoconclusiva, dove Violet funge solo da scrittrice, e in parte spettatrice, alle singole vicende narrate in ciascun episodio, con personaggi di volta in volta diversi e con le proprie distinte tematiche affrontate; e quella in cui c’è la trama di fondo, ovvero la formazione della bella automail. Ecco, la mia opinione non potrei definirla più divergente: gli episodi autoconclusivi, presi singolarmente, soprattutto il settimo e il decimo, riescono a risultare memorabili, grazie soprattutto a una colonna sonora sempre al posto giusto, e da un livello di animazioni tale, da far concorrenza a capolavori cinematografici, il tutto impreziosito da tematiche commoventi trattate con incredibile tatto; la trama di fondo, invece, risulta essere solo abbozzata superficialmente (e condita da alcune scelte registiche alquanto discutibili), tanto che finisce per diventare, paradossalmente, un fastidioso contorno. Ad un certo punto si può quasi finire per detestare la Violet “protagonista”, e apprezzarla di più nei panni di “automail-spettatrice”. Il che, detto francamente, è un vero peccato, anche perché nei primi episodi le aspettative verso la storia di fondo risultano essere assai alte, complici alcuni flashback intriganti.
Per quanto riguarda i personaggi, dispiace un po’ ammetterlo, ma sono delle macchiette. Pur non ricalcando stereotipi o concept già visti, soffrono tutti di una caratterizzazione assente, complice la struttura stessa della “non-trama”. Molti, pur essendo presentati alla grande con piccole, ma incisive, peculiarità, finiscono per diventare anch’essi meri strumenti usati solo per narrare le vicende narrate. Anche la stessa Violet, che pur risulta un po’ più abbozzata nella psiche e con un accenno di evoluzione nelle ultime battute, finisce spesso, suo malgrado, per occupare lo sfondo della scena, abbandonata da una sceneggiatura mai davvero interessata a portare avanti un personaggio che pure sulla carta si presenta come originale e interessante. Un vero spreco di potenziale.

La colonna sonora è di ottimo livello, così come sono spettacolari, e aggiungerei a tema, opening ed ending.
Sulle animazioni c’è poco da dire: “Violet Evergarden” è probabilmente uno degli anime meglio animati degli ultimi tempi, con grandissima cura nel riprodurre anche dettagli insignificanti che rendono la sola osservazione di alcuni frame pura contemplazione. Magari tutte le serie anime fossero animate così.

Concludendo, potrei definire “Violet Evergarden” come un capolavoro mancato. E’ una buona storia di formazione, dove a farla da padrona sono alcuni episodi autoconclusivi che riescono a donare picchi emotivi non indifferenti, ma la trama di fondo, proprio quella che avrebbe dovuto maggiormente far affezionare lo spettatore alla bella Violet, finisce per rivelarsi solo accennata, e in alcune occasioni persino ridicola. Resta comunque un anime che consiglio fortemente, soprattutto per la sua ambientazione steampunk, oltre che per il comparto tecnico e musicale mozzafiato, ma soprattutto perché alcuni episodi, con le loro peculiari tematiche, meritano seriamente almeno una possibilità. Insomma, resta comunque un valido prodotto di intrattenimento.
Un ultimo consiglio: se siete spettatori un po’ emotivi, armatevi di fazzoletti, perché potreste averne bisogno...

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Questa mia opinione è sicuramente un processo alle intenzioni, lo anticipo subito, ma ho la sensazione che, una volta tanto, un adattamento incompleto di un’altra opera abbia creato una fiaba quasi perfetta, tanto che preferirei non continuare a seguirla visto l’esito infausto a cui sembra destinata. Per spiegare perché dico questo però è necessario addentrarsi un po’ nella trama di questa recente favola che ha accompagnato e addolcito per quanto poteva l’inizio di uno degli anni più complicati della storia recente.

“Somali and the Forest Spirit” è una storia ambientata in un universo fantastico abitato da tante creature immaginarie, dove la razza umana è presente ma cacciata e perseguitata e, per questo, sull’orlo dell’estinzione. In questo scenario si muovono i due protagonisti, una bambina umana di nome Somali e un Golem, che in quel mondo ha il ruolo di spirito guardiano della foresta e che quella bambina l’ha salvata e praticamente adottata, impegnati in un viaggio alla ricerca di villaggi umani ancora esistenti dove poter affidare Somali e farla crescere tranquillamente. Ad aggravare la situazione già non semplice poi c’è anche il fatto che il tempo rimasto a disposizione al Golem è molto poco, visto che è quasi alla fine della sua lunga vita, ma non può permettersi di lasciare da sola Somali, dato che non sarebbe in grado di sopravvivere in quell’ambiente a lei così ostile.

Tra i due si crea così un rapporto sempre più forte che è tranquillamente assimilabile a quello di padre e figlia. Non che per Somali ci fossero mai stati dubbi: nella sua innocenza fanciullesca la piccola non ha mai avuto remore nell’individuare nel Golem una figura paterna a cui affidarsi ciecamente; discorso diverso per il guardiano della foresta che, in quanto essere metafisico al di sopra di tutte le parti, non concepisce le emozioni umane e tenta di mantenere con Somali un rapporto quasi distaccato, salvo farsi coinvolgere poi sempre di più dalla dolcezza e dall’affetto che la bambina gli dimostra. La costruzione e il rafforzamento del legame tra genitore e figlio a discapito di vincoli di sangue, o addirittura di appartenenza alla stessa specie in questo caso, è sicuramente uno dei temi portanti dell’anime, ed è espresso pienamente nell’avvicinamento costante che Somali e il Golem vivono lungo il corso della serie, ove avranno modo anche di incontrare diversi personaggi che condividono forti legami, che siano di amicizia, parentela o semplice collaborazione, che contribuiranno alla consapevolezza e alla maturazione di quell’affetto reciproco. Personaggi secondari che sono, inoltre, un ulteriore pregio della serie, visto che sono tutti estremamente interessanti: che compaiano solo per un episodio o condividano giorni di viaggio insieme ai due protagonisti infatti, ogni personaggio è scritto in modo da risultare non solo importante in quel singolo momento, ma anche nel percorso formativo a lungo termine di questa apparentemente strana famiglia. Persino quelli fortemente negativi, che si pongono come ostacolo al viaggio che potrebbe garantire la salvezza di Somali, risultano utili ai fini del messaggio che la serie vuole lanciare, visto che mettono in evidenza un altro tema ricorrente e molto importante, quello della discriminazione. Discriminazione che all’inizio sembra solo una piaga vissuta dalla razza umana, generalmente più debole delle altre mostrate nel corso dell’anime, ma che a lungo andare si evidenzia per quello che è, un flagello che può colpire chiunque e dalla quale nessuna specie si salva davvero, a meno che non vengano messi in atto sforzi che contribuiscano a ridurre l’atavica paura per il diverso, per quello che non si conosce e si teme possa arrecarci danno anche quando non ne ha la minima intenzione. A fare da trait d’union a tutti questi frammenti che compongono il mosaico della serie, infine, è una fortissima componente emotiva che accompagna la visione dello spettatore sin dal primo episodio; che siano la dolcezza del sorriso innocente di Somali, la divertente ingenuità del Golem ritrovatosi improvvisato genitore o le gioie e i dolori del loro rapporto in continua formazione, ogni cosa contribuisce all’immersione di chi guarda nelle atmosfere incantate della serie, coinvolgendolo pienamente nelle vicissitudini dei suoi protagonisti.

Coinvolgimento che è garantito anche, se non soprattutto in alcuni momenti, dallo splendido comparto grafico di cui può fregiarsi la serie. Animato dagli studi Satelight ed Hornets, con la regia di Kenji Yasuda, “Somali and the Forest Spirits” è un anime in dodici episodi disponibile ufficialmente anche in Italia sul portale Crunchyroll, trasposizione del manga originale di Yako Gureishi, che fa del suo punto di forza le splendide ambientazioni fiabesche che si susseguono nel corso della storia. Senza nulla togliere al buon carachter design di Ikuko Ito, che si ispira chiaramente ai disegni del manga senza raggiungerne però la bellezza e la precisione nei particolari, sono sicuramente i meravigliosi fondali che accompagnano il Golem e la piccola Somali quelli che riescono non solo a tenere testa alle illustrazioni del manga, ma a rendere proprio questa serie un modello a cui guardare con grande trasporto; che siano foreste incantate, villaggi nascosti, caverne misteriose o lande inesplorate, ogni ambiente in cui finiscono per muoversi i nostri personaggi è un piccolo tesoro nascosto che un uso abile dei colori e della giusta illuminazione contribuisce a rendere ancora più prezioso da ammirare. E dove non arrivano le immagini, ci pensano le affabili musiche di Ryo Yoshimata (già autore della colonna sonora di “Koi wa Ameagari no You ni”) ad arricchire ulteriormente l’esperienza di chi guarda, che normalmente parte già predisposto a questa immersione audio-favolistica grazie alla presenza di due sigle quanto mai riuscite e azzeccate. L’opening, “Arigatō wa Kocchi no Kotoba” di Naotaro Moriyama, è un delicatissimo brano che in alcuni momenti pare recitato più che cantato e che ricorda, coi suoi cambi di ritmo, una canzone da film disneyano volta più a raccontare le piacevoli immagini che mostra piuttosto che una semplice canzone di presentazione della serie. L’ending invece, cantata dalla doppiatrice di Somali, Inori Minase, si intitola “Kokoro Somali”, ed è una canzone dal retrogusto abbastanza triste che si pone pure l’obiettivo di strappare qualche lacrima al momento giusto, e in alcuni casi ci riesce tranquillamente, complice anche un video con inserti in CG e di altre bellissime illustrazioni che inevitabilmente riescono a scioglierti il cuore. Di ottimo livello infine è anche il doppiaggio giapponese, un risultato riassumibile nelle splendide interpretazioni dei due protagonisti con Inori Minase (Rem da “Re:zero” o Hestia da “Danmachi”) a dare voce e glucosio alla tenerissima Somali e Daisuke Ono (Erwin Smith da “L’attacco dei Giganti” o Jotaro Kujo dell’universo di “Jojo”) a impersonare il Golem con la sua voce cavernosa ma in fondo benevola.

Alla luce di quanto ho raccontato sarà forse adesso più chiaro il mio messaggio iniziale, che rimandava allo sviluppo di questa storia. “Somali and the Forest Spirit” è una magnifica favola adatta a tutti, che si inserisce pienamente nel filone, molto in voga in questi tempi, di quelle storie che pongono una bambina indifesa e spesso orfana sotto l’ala protettrice di un tutore magico dall’aspetto spaventoso ma dall’animo in fondo gentile. E, per quanto sia convinto che il manga fornirà col tempo un’evoluzione della storia sicuramente interessante e meritevole di essere seguita, io preferisco, ora come ora, rifugiarmi nelle tenere sensazioni che l’anime mi ha fatto vivere e che, sono sicuro, sarà in grado di trasmettere a chiunque deciderà di dargli un’opportunità.

7.5/10
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Taiyō Matsumoto è un autore eccezionale, Tekkonkinkreet è tutt'ora uno dei manga più belli che abbia letto.
Sunny è un'altra sua opera assai affascinante, tuttavia, per me non raggiunge la bellezza di Tekkonkinkreet.
L'autore porta spesso nelle sue opere bambini segnati dall'abbandono, scegliendo così uno stile autobiografico.
A differenza delle precedenti opere, il tratto qui è più delicato, con amplio uso di acquerelli, la narrazione è soavemente nostalgica e contemplativa.
La trama si svolge negli anni ‘70 presso l’Hoshinoko, un istituto che accoglie bambini e adolescenti orfani o abbandonati dalle famiglie per vari motivi.
I protagonisti sono molti, ma l'autenticità con cui vengono descritti conferisce a quest'opera un valore altissimo.
Il titolo Sunny si riferisce a un'auto ormai in disuso all'istituto, dove però i bambini si rifugiano per evadere con la fantasia e condividere momenti giocosi.
Haruo è senz'altro uno dei protagonisti più dettagliati, il ragazzino ribelle e dinamico dai capelli bianchi; Sei, il nuovo arrivato, molto più diligente, nostalgico ; Junsuke con il suo immancabile ombrello rosso che considera come una casa, le sue unghie lunghe pronto a portare innumerevoli quadrifogli alla madre malata nella speranza che lo riaccolga; e i fratelli Kenji e Asako, adolescenti rassegnati di fronte al divorzio dei genitori e all'alcolismo e all'inaffidabilità del padre.
Taiyō Matsumoto descrive con grande abilità la quotidianità di questi ragazzini creando un quadro intenso ed emozionante: traspare dalle tavole la gioia e l'ironia tipica dei bimbi, ma anche il loro essere ormai disincantati di fronte alla realtà dell'abbandono, alla vergogna a volte di sentirsi "parte dell'istituto" rispetto a chi una famiglia ce l'ha.
L'autore ne narra gli stati d'animo, i ricordi, le amicizie, le ansie descrivendoli in modo limpido, sincero e nostalgico.
La J-Pop ha creato un'edizione di pregio con volumi grandi, pagine a colori, ottima qualità della carta.
Taiyō Matsumoto è stato inoltre premiato nel 2016 con il Gran Guinigi come miglior serie al Lucca Comics & Games, e nel 2017 è stato portato in Italia per la prima volta a Lucca grazie a questa splendida casa editrice.
Il mio voto è 7,5 perchè a tratti si è sceso troppo in momenti morti, di routine quotidiana non troppo interessante, quando avrei preferito più scene emozionanti. Tuttavia è un'opera di alto livello narrativo, capace di dare forti emozioni e commuovere.
Ne consiglio vivamente la lettura.