Il primo contatto che il Giappone ebbe con l'animazione fu grazie alle prime opere importate dall'occidente sul finire del primo decennio del XX secolo. Incuriositi da questa nuova forma di narrazione, anche disegnatori e produttori giapponese s'interessarono all'animazione, iniziando a studiare come poter realizzare in Giappone qualcosa di simile. Dopo anni di tentativi, errori e difficoltà, il 1917 fu l'anno 0 per l'animazione giapponese, con l'arrivo di ben tre animatori oggi considerati i tre grandi pionieri dell'animazione giapponese: Ōten Shimōkawa, Seitarō Kitayama e Jun’ichi Kōuchi. Ad ognuno di questi andò un significativo primato: se la palma del primo senga eiga mai trasmesso la vinse Shimōkawa, Kitayama potè vantare la prima trasmissione all'estero di un proprio prodotto, mentre Kōuchi ricevette invece la prima recensione giornalistica su un giornale giapponese.
 
Nell'ordine: Jun’ichi Kōuchi, Ōten Shimōkawa e Seitarō Kitayama

Non potendo avere accesso facilmente ai fogli di celluloidi già utilizzati dagli americani, questi primi animatori dovettero trovare vie alternative per far muovere i loro disegni. Tra queste, quella utilizzata da Kōuchi veniva considerata la migliore e più efficace, tanto da venire successivamente utilizzata anche da Kitayama e altri animatori. Tale tecnica prevedeva di ritagliare i disegni di personaggi e oggetti per poi ricomporli e farli muovere sopra gli sfondi mentre il tutto veniva fotografato in sequenza.  
Soltanto negli anni '20 la diffusione dei cel avrebbe permesso il primo salto di qualità artistico per l'animazione giapponese. 

Primo ad aver debuttato, Shimōkawa fu anche il primo ad abbandonare l'animazione, mentre gli altri due pionieri resistettero fino ai primi anni '30. Kōuchi, in particolare, s'accomiatò da questo mondo con Chongire hebi, nel 1930.

La maggior parte dell'animazione realizzata all'epoca è andata perduta, lasciandoci solo uno sparuto gruppo di corti da poter visionare. Tra questi, tuttavia, vi è anche l'opera di debutto di Kōuchi, Nakamura gatana (1917), ritrovata qualche anno fa nel negozio di un antiquario di Osaka. Di seguito, eccovene una versione restaurata.