Oggi 8 marzo è la festa delle donne. Se grandi passi sono stati fatti, altri se ne devono ancora fare anche nei paesi più sviluppati, come ad esempio il Giappone, paese la cui società è ancora profondamente patriarcale. Sebbene la consapevolezza comune stia progressivamente tendendo a cambiare i costumi, resta ancora forte la demarcazione tra le posizioni di dominio degli uomini e il ruolo delle donne, a volte confinato nello spazio domestico, a volte relegato sullo sfondo della vita civica.

Sebbene in minoranza, lungo la Storia del Sol Levante sono esistite alcune figure femminili estremamente influenti e le loro epopee, lungi dall'essere state minimizzate dai loro contemporanei, sono state in gran parte tramandate attraverso racconti, poesie o disegni, che però molti storici nelle epoche successive hanno "dimenticato" di riportare.

In Giappone infatti sono esistite le onna bugeisha ossia donne samurai, che sono riuscite a farsi valere e ad entrare nella leggenda anche nell'ambiente più pragmatico della guerra.

 


Le onna-bugeisha praticavano l'arte del combattimento, con un addestramento intensivo delle armi in netto contrasto con i valori di raffinatezza e delicatezza tipicamente associati alla figura femminile.

In un contesto fortemente fallocratico, la forza mentale e fisica di queste donne era particolarmente messa alla prova. Gli uomini erano naturalmente superiori e impedivano alle donne di rivendicare capacità spirituali e fisiche condivise con loro.

Oltre ad apprendere e perfezionare tutte le tecniche di combattimento dell'era feudale, la onna-bugeisha praticava anche il tiro con l'arco equestre e combatteva con la Naginata, una spada con una lama curva all'estremità e che poteva arrivare a misurare fino a due metri di lunghezza. In questo modo si teneva a distanza l'avversario e lo si poteva colpire tanto in un corpo a corpo quanto a cavallo. Per raggiungere tali risultati l'allenamento era lungo e spossante.

 


Altre armi usate dalle onna-bugeisha erano le spade, sia lunghe come la katana che corte come la wakizashi, ed i pugnali, quali il tanto, l'aikuchi e il kaiken. Molte si allenavano anche all'uso del kusarigama: un'arma composta dall'unione del "kusari" una catena che consente di aumentare la gittata dell'arma e di poterla recuperare una volta lanciata, ed il "kama" una piccola falce. All'altra estremità della catena è invece collegato un manico in piombo o acciaio che serve a bilanciare il peso durante il lancio. Tale peso è l'arma vera e propria, usata per colpire l'avversario prima che riesca ad avvicinarsi o per bloccargli la spada; il falcetto viene usato solo per finire l'avversario una volta reso inerme. Altra arma era il tessen, un vero e proprio ventaglio da combattimento, lungo circa 35 cm, fatto di seta, washi oppure di ferro, usato sia aperto che chiuso.

 


Queste donne, degne e coraggiose, ci misero molto tempo per farsi accettare dai signori della guerra sui campi di battaglia. Per molti decenni, le donne samurai rimasero confinate ai servizi militari periferici: sostenere gli uomini nelle loro file, proteggere la famiglia e la casa, ma sempre lontano dal cuore della battaglia. Nonostante ciò, alcune di loro conquistarono un posto di primo piano e le loro gesta entrarono a far parte dell'iconografia dei samurai guerrieri.



La più famosa è senza dubbio Tomoe Gozen il cui nome è diventato sinonimo di donna guerriera nella storia culturale del Giappone ma di cui purtroppo sappiamo molto poco poiché le fonti principali sono solo letterarie, in particolare lo Heike monogatari, il poema epico che narra le vicende della guerra Genpei (1180-1185) fra i Minamoto e i Taira e che fu composto nel XIV secolo. A quale famiglia appartenesse Tomoe non lo sappiamo: quel “gozen” che segue il suo nome è solo un titolo onorifico, attribuito alle donne di alto rango, specialmente nel periodo Kamakura.

 


Cognata e concubina (o sposa) del signore di Kiso, il generale Minamoto no Yoshinaka (1154-1184), visse al suo fianco finché la morte non li separò, più precisamente durante la guerra civile di Genpei. Il suo coraggio e le sue abilità multiple spinsero il marito Yoshinaka a nominarla capitano delle sue truppe, diventando così la prima donna a ricoprire questo incarico.

Descritta come una donna molto bella, con la pelle bianca, lunghi capelli neri e tratti affascinanti, era però soprattutto elogiata per la sua abilità marziale: era un arciere formidabile ed un'abile spadaccina, guerriera di valore, pronta a confrontarsi con chiunque, fossero anche demoni e dei, a cavallo o a piedi, in grado di cavalcare destrieri indomabili dalle splendide criniere lungo ripidi pendii. Per questo si diceva di lei che avesse il potere di combattimento di 1000 uomini. I suoi atti di coraggio erano numerosissimi, era popolarissima presso le truppe e si diceva che fosse in grado di fronteggiare da sola migliaia di nemici.

 


Ovunque ci fosse battaglia, il generale Minamoto Yoshinaka la mandava in avanscoperta come suo primo capitano, con indosso una pesante Yoroi (l'armatura giapponese), una gigantesca spada ed un grande arco.

Ma le sue imprese arrivarono ad una drammatica fine nel 1184 nella battaglia di Awazu (o Awazugahara) presso il lago Biwa. Qui Tomoe si scagliò contro l'armata di Yoshitsune Minamoto riuscendo ad infliggere al nemico numerose ed importanti perdite, decisa a sostenere il suo amato a tutti i costi in quella battaglia ormai persa, per dargli il tempo necessario a commettere il suicidio rituale, ovvero il seppuku.

 


Il generale Minamoto Yoshinaka, tuttavia, non riuscì nel suo intento e venne ucciso da una freccia, durante il combattimento. Tomoe Gozen con una nuova esplosione di coraggio uccise da sola trenta uomini e decapitò il capitano nemico. Fuggirà prendendo come trofeo la testa del suo avversario, senza poter dire addio al suo amato prima che questo morisse.

Che fine fece poi Tomoe? Nulla si sa di certo, ma la sua figura eroica e tragica ha dato vita a numerose leggende sulla sua sorte.

In alcune si dice che si sia fatta monaca e che abbia recitato sutra in onore del defunto signore di Kiso, fino alla veneranda età di 91anni; in altre che si sia suicidata; in altre ancora che sia stata catturata da Wada Yoshimori, un tirapiedi di Minamoto no Yoritomo, costretta a diventare la sua concubina dando alla luce il leggendario Asahina Saburo Yoshihide; oppure che, ormai impazzita, vaghi per le contrade del Giappone.

 


Questa guerriera ha lasciato una forte eredità storica nell'arcipelago, trascritta in particolare da diversi drammi Noh e rappresentazioni Kabuki. Inoltre è diventata anche una delle protagoniste di uno dei festival più famosi di Kyoto, il Jidai Matsuri che si tiene ogni anno il 22 ottobre.

Ma ci sono altri esempi di donne guerriere: nel santuario di Oyamazumi, sull'isola di Ōmishima, è conservata un'armatura di forma inusuale, con la vita stretta, pensata per una donna. La leggenda vuole che sia appartenuta a Ōhōri Tsuruhime. Nata nel 1526, era la terza figlia di Ōhōri Yasumochi, sacerdote capo del santuario di Ōyamazumi.

 


A quel tempo l'isola era minacciata da Ōuchi Yoshitaka di Yamaguchi e diverse battaglie avvennero tra i clan; fu durante uno di questi scontri che i due fratelli maggiori di Tsuruhime morirono. Quando Tsuruhime era quindicenne suo padre morì di malattia, così lei ereditò la carica di sacerdote capo. Aveva studiato fin da bambina le arti marziali e, quando gli Ōuchi nel 1541 si mossero nuovamente contro Ōmishima, Tsuruhime assunse la responsabilità della difesa dell'isola, dichiarando di essere un'incarnazione divina di Mishima Myojin, uno degli spiriti che abitavano il santuario.

Guidò l'esercito in battaglia e respinse gli Ōuchi in mare. Quattro mesi dopo gli invasori ritornarono e anche questa volta Tsuruhime ebbe la meglio.

Due anni più tardi, nel 1543, quando Tsuruhime era diciassettenne dopo aver sentito che il suo fidanzato, Yasunari Ochi era stato ucciso in battaglia, sopraffatta dal dolore, si suicidiò annegandosi. Le sue ultime parole furono: "Con l'oceano di Mishima come testimone, il mio amore sarà inciso con il mio nome".

 


Un altro esempio molto più recente è quello di Nakano Takeko. Durante la Guerra Civile Boshin nel XIX secolo, comandò una truppa di 30 persone, composta esclusivamente da donne, e creò così l'esercito femminile chiamato Jōshitai. Bandite dal combattimento dall'esercito ufficiale giapponese presero comunque parte all'offensiva durante la battaglia di Aizu, sfoderando le loro naginata.

Sfortunatamente erano ormai arrivate le armi da fuoco: Nakano Takeko fu colpita al petto e chiese a sua sorella di finirla  tagliandole la testa in modo che non potesse cadere nelle mani del nemico: aveva solo 21 anni. Sua sorella adempì all'ingrato compito e la seppellì sotto un pino vicino al tempio di Hokai-ji, dove fu eretta una tomba in suo onore.

 


Non tutte le onna-bugeisha appartenevano alla nobiltà: è questo il caso delle sorelle Miyagino e Shinobu. Figlie di un contadino, le giovani sorelle rispettivamente di 11 e 8 anni videro il loro padre assassinato davanti ai loro occhi da un samurai. Persa anche la madre, morta di crepacuore, per vendicarsi decisero di andare a Edo per imparare le arti marziali e ad usare la Naginata e nel 1649 riuscirono a compiere la loro vendetta. In seguito si ritirarono a Kamakura dove diventarono monache.

 


In realtà in Giappone fino al XVI secolo, grazie allo Shintoismo, le donne erano tenute in maggior considerazione in molti ruoli importanti. Guardiane, sacerdotesse, dee (kami), spiriti (yokai), messaggeri: le donne erano generalmente considerate co-creatrici dell'universo, al centro nevralgico del loro funzionamento. Tuttavia, il loro posto fu messo in discussione dalle influenze confuciane cinesi in cui c'è poco spazio per ciò che non è né uomo né virile. La gerarchia che struttura questa dottrina implica una netta separazione dei generi.

 


A questo va aggiunto il pensiero buddista dell'epoca, in cui l'insegnamento delle “quattro nobili verità” invitava a diffidare del desiderio e dell'invidia. La donna, ridotta a oggetto di conquista, era quindi considerata una minaccia per il raggiungimento della pace e dell'equilibrio. In un mondo in cui si spera di trovare una qualche forma di saggezza nel dominare il proprio temperamento, la donna da cui è attratto l'uomo eterosessuale diventa il colpevole ideale. Se il saggio non riesce a frenare le proprie emozioni, è perché lei lo avrà sedotto; se invece si trattiene e vince le sue pulsioni, è perché sarà stato bravo a proteggersi da esse. A lei la colpa del male, a lui gli onori del bene.





Fonte consultata:

Japanization