Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Immagino che chi si appresterà a leggere questa recensione abbia già avuto modo di vedere il tanto criticato "Tokyo Ghoul √A", famoso per gli stravolgimenti e i tagli apportati alla storia originale. Per produrre questa terza serie, è stato necessario ignorare completamente i cambiamenti attuati, come già stato fatto in precedenza per altre serie come "Blue Exorcist", altrimenti sarebbe stato impossibile proseguire la storia. In molti, come la sottoscritta, si sono illusi che "Tokyo Ghoul" potesse finalmente concludersi con una serie quantomeno decente, tuttavia così non è stato. Lo Studio Pierrot ci ha fregato di nuovo.

Come nel manga, la storia inizia spostando l'attenzione su un nuovo protagonista. L'uomo misterioso è Haise Sasaki, un brillante investigatore anti-ghoul che non ricorda nulla del suo passato e che è stato addestrato da Kishio Arima in persona, il più forte investigatore di tutta la CCG. Viste le sue abilità, gli è stata affidata una squadra speciale formata da quinx, persone a cui è stato impiantato un Kagune, ma i cui livelli di cellule RC vengono mantenuti molto bassi per evitare che si trasformino in veri e propri ghoul come il tanto temuto Ken Kaneki. Il loro obiettivo è quello di catturare o uccidere i ghoul più pericolosi dell'Albero di Aogiri, ma durante le loro indagini avranno modo di investigare anche sui misteri che ruotano attorno al passato di Ken Kaneki e l'operato della CCG.

Le incongruenze con la precedente serie animata si potranno notare solo con l'avanzare della storia, anche se il ritmo a cui procedono gli episodi è così veloce, che risulta difficile soffermarsi a riflettere su ciò che sta accadendo. Nell'arco di questi ventiquattro episodi viene introdotto un numero spropositato di personaggi di cui è impossibile ricordare il nome, molti dei quali finiranno nel dimenticatoio subito dopo la loro prima comparsa. Questo problema si può riscontrare anche nella controparte cartacea, ma nell'anime è ancora più evidente a causa di alcuni tagli presenti fin dai primissimi episodi. La situazione, però, inizia ad essere veramente drammatica solo nella seconda parte, ovvero quella andata in onda nell'autunno 2018, in cui i pesanti tagli hanno trasformando l'anime in un banalissmo battle shounen composto esclusivamente da un combattimento dietro l'altro privo di una qualsiasi spiegazione. Il dramma inizia in corrispondenza del tredicesimo episodio, in cui in alcuni punti è stato fatto un miscuglio tale, da rendere la storia incomprensibile perfino a chi ha già letto il manga.

In merito ai personaggi, tutti i quinx inizialmente avevano dei problemi che rendeva ostico il lavoro di squadra, ma con il passare del tempo il restare sempre uniti ha permesso loro di superare questi ostacoli e di crescere caratterialmente. Uno dei lati positivi di questa serie, infatti, è quello di essere riuscita a sviluppare bene alcuni protagonisti senza ricadere in forzature o più in generale in cambiamenti radicali improvvisi privi di qualsiasi spiegazione. Alcuni personaggi sono riusciti a mettere da parte i vecchi rancori, per pensare al proprio futuro e a quello dei propri compagni, altri invece sono diventati più responsabili grazie ai consigli più o meno sinceri dei loro colleghi. In particolare, ho molto apprezzato Saiko, una ragazza che, grazie ai legami instaurati con il resto della squadra, è riuscita a mettere da parte il suo lato hikikomori per ricambiare l'aiuto ricevuto da quella che poi è diventata una vera e propria famiglia.
Tra i personaggi secondari, invece, una nota di merito va fatta a Suzuya, che in questa serie ha abbandonato il suo comportamento psicopatico. L'investigatore Shinohara ha avuto un'influenza molto positiva su di lui, e questo l'ha portato a riflettere e preoccuparsi delle persone attorno a lui, rendendolo un ragazzo più responsabile e affidabile.
Sfortunatamente, vi sono anche alcune figure molto importanti per la storia che sono state totalmente trascurate, e con questa affermazione mi riferisco soprattutto a Mutsuki, in cui è stato cancellato ogni riferimento al suo passato, rendendolo un personaggio inizialmente piatto e successivamente anche incomprensibile.

Infine, possiamo solo stendere un velo pietoso sulle animazioni. Vista la popolarità della serie, non mi sarei mai aspettata che potessero toccare un livello così basso, specialmente dopo aver visto le prime due serie, che, seppur con molti problemi dal lato della trama, presentavano comunque delle animazioni al di sopra della media. In "Tokyo Ghoul:Re", invece, la maggior parte dei cut sono al di sotto della media, e alcuni di essi rasentano il ridicolo, come la fantomatica corsa di Kanae, che sembra essere composta solamente da tre disegni mandati a ripetizione, per di più abbozzati. Il calo purtroppo è evidente, ma nella seconda parte è possibile notare una piccola ripresa.
Lato musiche, invece, non è stato realizzato nulla di eclatante, il che le rende abbastanza dimenticabili, ma bisogna riconoscere che almeno nelle scene d'azione svolgono molto bene il loro compito. Anche le sigle di apertura e chiusura sono abbastanza buone, ma non ai livelli della famosa "Unravel".

In sostanza, ci troviamo di nuovo di fronte a una serie riuscita molto male, caratterizzata da una prima parte abbastanza fedele ma animata male, e una seconda parte animata meglio ma ricca di tagli. In genere, ventiquattro episodi richiedono sei ore per poter essere visionati, e dedicare tutto questo tempo all'ennesimo fallimento è solo uno spreco. Nel caso qualcuno fosse interessato alla storia, può procedere con il recupero del manga, che, oltre ad essere più interessante, ha anche più senso.

8.5/10
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Hiroya Oku è diventato celebre grazie al fumetto “Gantz”, accolto molto bene dal pubblico nonostante, almeno per quanto mi riguarda, non avesse premesse così allettanti. Ammetto di aver visto l’anime anni e anni fa e, pur sapendo che fosse incompleto, è stato dopo tanto tempo che mi è salita la voglia di conoscerne la conclusione.
Oku ha iniziato come assistente di un mangaka specializzato in manga erotici, il che spiega l’enorme mole di scene di sesso e nudità nelle sue tavole. Oltre a questo, ad Oku vanno riconosciuti, in particolare, due meriti: il coraggio di osare, e l’incredibile abilità coi disegni.
Perché il coraggio? Gantz ha una trama che può mettere fin da subito sull’attenti il lettore: è probabile, viste le premesse e i primi capitoli, che tutto possa concludersi in tragedia, o che comunque la morte non venga risparmiata. Ma le scelte più incredibili di questo autore sono state introdurre, fin da subito, queste due tematiche, senza risparmiare neanche i personaggi principali.
La cosa che quindi colpisce maggiormente di questo titolo è la spietatezza, la realisticità del sentimento umano… i personaggi sono messi di fronte a situazioni assurde, inverosimili, e danno sfogo alle emozioni più vere, più intense. Non vengono risparmiate la crudeltà, la violenza (le scene splatter sono moltissime), la cattiveria dell’uomo e non, e l’impetuosità delle battaglie.

Proprio perché la morte viene introdotta fin dalle prime pagine, molti personaggi rimangano per pochi capitoli, ma nonostante ciò i protagonisti hanno una caratterizzazione e un’evoluzione pazzesca. In particolare Kei, che parte come un ragazzino egoista, freddo, che odia il mondo, che resta indifferente alle richieste d’aiuto, e che pensa solo a sé… pian piano matura. Anzi: il bello del suo personaggio è che la sua evoluzione non è sempre positiva. Se all’inizio, infatti, impara a fidarsi del suo compagno d’armi, e a innamorarsi della bella Kei, nel momento in cui si trova da solo, retrocede, e torna al suo stato iniziale. Non si fida di nessuno, tratta tutti con superiorità, mette la propria vita davanti a quella degli altri… e poi di nuovo impara a interagire con nuovi personaggi. La sua caratterizzazione è in continuo mutamento, e si mantiene sempre su livelli realistici.

Il manga, sostanzialmente, basa la propria sinossi su continui antipodi: bene e male, giusto e sbagliato, vita e morte. Oku riesce a creare una trama apparentemente lineare e ripetitiva, che in effetti è tutt’altro. Ogni volume aggiunge elementi o personaggi che cambiano le carte in gioco, rielaborando quanto visto nei volumi precedenti. E pur essendo elementi che, almeno all’apparenza, potrebbero stonare, questo mangaka riesce con maestria a ricollegarli, senza cadere nel banale o nel forzato.

L’unica parte che ho trovato un po’ deludente è stato il finale, forse perché me l’aspettavo ben diverso. Tuttavia, risulta un manga davvero maturo, e piacevole. Pur contando 37 volumi, cattura parecchio l’attenzione del lettore.

7.0/10
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"Mao Dante", considerato (a buon ragione) il prototipo di "Devilman", ricevette una trasposizione animata a oltre trent'anni di distanza dalla sua pubblicazione in Giappone, grazie a un ritrovato interesse nelle opere del maestro Go Nagai in quel periodo (come sta avvenendo anche adesso, del resto).
Curiosamente il manga non riscosse moltissimo successo all'epoca: fu infatti interrotto al secondo volume, a causa della chiusura della rivista della Kodansha su cui veniva pubblicato. Il manga dunque si interrompeva "sul più bello", lasciando irrisolte diverse questioni.
Questo adattamento anime invece presenta un finale che oserei definire "definitivo", quindi chi vuole cimentarsi nella visione non abbia timore: nessuna opera monca, nessuna questione irrisolta, esattamente come in "Devilman".

In "Mao Dante" seguiamo le vicende di Ryo Utsugi, un ragazzo in apparenza come tanti, ma tormentato da incubi spaventosi in cui si vede nei panni di un demone gigantesco e mostruoso, mentre distrugge le città e uccide molti esseri umani. Questi incubi ricorrenti lo sconvolgono a tal punto, da non riuscire nemmeno più a frequentare l'università. Nel frattempo avvengono in città misteriosi omicidi: una giovane ragazza viene trovata uccisa, e il suo cuore sembra essere stato strappato da qualche creatura disumana. Ryo inizia a venir perseguitato da visioni di ragazze in fuga, probabilmente le stesse che vengono ritrovate morte i giorni successivi, e comincia a dubitare perfino di sé stesso e della sua sanità mentale. A un certo punto un gruppo di satanisti, per poter evocare il campione dei demoni Dante, rapisce la sorella di Ryo, Saori, per offrirla in sacrificio durante il rito di evocazione. Fortunatamente l'intervento degli uomini della Confraternita di Dio (guidata dal padre di Ryo e Saori), e l'intervento di Ryo stesso, riesce a guastare i piani dei satanisti e salvare la ragazza. Il gruppo di satanisti superstiti al blitz si rende conto che Ryo Utsugi ha dei poteri particolari, e potrebbe essere in grado di risvegliare il demone Dante che giace intrappolato nei ghiacci dell'Himalaya. Lo attirano dunque in una trappola e lo teletrasportano nel luogo dove si trova il demone. Ryo viene convinto dalla creatura a liberarlo, ma, dopo aver fatto ciò, viene divorato senza pietà! Sembra la fine del nostro eroe, ma incredibilmente la sua coscienza si risveglia all'interno di quella del demone, anche se inizialmente non sembra in grado di controllare il gigantesco corpo, che vola per il Giappone seminando terrore e distruzione. Nulla sembra in grado di fermarlo, finché non appare un altro demone, Zenon, che in realtà è un sottoposto di Dio, e pare abbia dei conti in sospeso con il demone Dante. La battaglia è furiosa, ma il supremo demone Dante finisce per sopraffare il potente avversario. In punto di morte Zenon gli rivela il suo rammarico per aver dovuto combattere contro quello che un tempo era un suo compagno. Dante, spossato dalla battaglia, regredisce alla forma umana di Ryo Utsugi. Ryo, ancora confuso se quello che gli è accaduto sia vero o un'allucinazione, fa ritorno a casa. In seguito il ragazzo scoprirà sconvolgenti verità riguardo alla vera natura di Dio, degli esseri umani e perfino della sua vera natura, tanto da portarlo al combattimento finale contro il "campione di Dio".

Go Nagai nel 2007 in un'intervista disse di essersi ispirato alle illustrazioni di Gustave Dorè (un grandissimo artista, che illustrò non solo l'opera del poeta Dante ma anche "Il paradiso perduto" di John Milton e vari altri classici della letteratura internazionale) della "Divina Commedia" di Dante per la realizzazione di "Mao Dante", e chiaramente alla "Divina Commedia" stessa (si veda il nome del supremo demone, Dante), e alla "mitologia" cristiana in generale (vengono citate le città bibliche di Sodoma e Gomorra, nonché altri demoni come Satana), ma il tutto viene riletto sotto una luce differente, in maniera da far dubitare al lettore o a chi vede la serie animata su chi sia nel giusto e chi invece nel torto. D'altro canto la figura di Dio nell'Antico Testamento è più simile a quella di una divinità vendicativa e crudele (si veda il Diluvio Universale, la punizione a Sodoma e Gomorra, le Piaghe d'Egitto...) piuttosto che a quella benigna e salvifica del Nuovo Testamento.

Dal punto di vista tecnico l'anime è più che discreto, il character design è valido, le animazioni non sono sempre strepitose, ma in genere sono accettabili. La differenza rispetto al manga che si nota di più è probabilmente il fatto che c'è meno violenza, e le scene di nudo sono state quasi tutte censurate: prevedibile succedesse, in quanto si parla pur sempre di una serie TV, ma ugualmente la cosa delude un po'. Probabilmente sarebbe stato meglio se fosse uscita come serie OAV, in modo da mantenere lo spirito del manga.
Nonostante comunque una trasposizione un po' "allegerita", non ci si può lamentare troppo; a parte forse i primi episodi in cui la trama risulta un po' confusa, la storia poi procede spedita senza molti intoppi fino al finale (semi)apocalittico, dimostrando tutta la potenza tipica di altre storie di Go Nagai (come si può vedere anche in "Devilman", ad esempio).

Buono anche il doppiaggio italiano: non tutti doppiatori sono forse idonei al ruolo, ma almeno i personaggi principali sono doppiati in maniera egregia.

Se devo lamentarmi di una cosa, oltre ai difetti elencati in precedenza, la sigla iniziale mi è parsa poco adatta a un'opera del genere (presa come sigla a sé non è male, chiaramente, ma probabilmente non funziona tanto bene in un'opera come "Mao Dante").

In definitiva, una serie da vedere se si è fan più o meno sfegatati del maestro Go Nagai (o almeno delle sue opere più "orrorifiche"), mentre gli spettatori più esigenti potrebbero non trovare quest'opera sufficientemente interessante o originale per i loro gusti, per quanto bisogna tenere presente che l'opera originale è ormai vecchia di oltre quarantacinque anni (tra tre anni ci sarà il cinquantesimo anniversario).