Attualmente si sta svolgendo in Giappone un dibattito intenso per l’approvazione di una legge che vieti la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità individuale di genere. Il Partito Democratico (cioè l'opposizione al governo) ha chiesto una legge in cui sia severamente punito ogni tipo di discriminazione. Il Partito Liberal Democratico (LDP) si è detto favorevole in linea concettuale ma l'approvazione è stata rimandata a causa di una frase chiave: "Non sarà tollerata alcuna discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere individuale".
La maggioranza vorrebbe che il testo fosse cambiato e diventasse: "Una società tollerante in cui ci si comprenda a vicenda".
In questo modo la legge è in fase di stallo e si sono svolte diverse manifestazioni per protestare. In questo post di Instagram possiamo vederne una grazie alle riprese di Loris, traduttore italiano che vive in Giappone (qui potete vedere la nostra intervista fatta qualche tempo fa)
 


Ma quale è la situazione della comunità LGBTQ+ (Lesbian, Gay, Bi, Transsexual, Queer and similar) in Giappone? Quale percorso storico ha vissuto?
In un Paese dove l'armonia sociale prevale sulle convinzioni personali, dove si antepone il benessere della comunità a quello del singolo, l'omosessualità resta condizionata dal peso di un modello familiare classico e accettato. A scuola i corsi di educazione sessuale e contraccezione sono rarissimi e quindi la divulgazione di una sessualità accettata e responsabile è affidata unicamente ai genitori, che molto spesso preferiscono non affrontare direttamente questi argomenti con i propri figli ritenendoli troppo privati. I più giovani perciò sono spesso lasciati soli ad affrontare un percorso di crescita e scoperta di se stessi.
 

Non esistono statistiche precise sulla comunità LGBTQ+ ma in base a varie indagini si ritiene che essa rappresenti circa l'8% della popolazione. Occorre anche sottolineare come la differenza tra omosessualità e disforia di genere non sia ben chiara in Giappone, decisamente in ritardo rispetto ad altre nazioni.
In teoria il Giappone non è un paese omofobo: nel 1880 fu promulgata una legge che non riteneva più reato le relazioni omosessuali. E anche andando più indietro nel tempo, prima dell'era Meiji (1868-1912), stare insieme fra persone dello stesso sesso era una pratica non ufficiale piuttosto comune. La società giapponese era molto tollerante nei confronti dell'omosessualità maschile e le relazioni omosessuali tra samurai o fra monaci erano generalmente accettate. In questo differiva ampiamente dall'Europa dove l'omosessualità era considerata un peccato sul piano religioso e un reato penale sul piano civile.
 

Fin dal Medioevo le relazioni sentimentali tra uomini e ragazzi, dette danshoku (男 色, letteralmente "sesso tra uomini"), erano all'ordine del giorno nel mondo dei guerrieri e nei monasteri buddisti. I rapporti tra lo shogun Ashikaga Yoshimitsu (1358-1408) e Zeami, conosciuto anche Kanze Motokiyo (1363-1443), fondatore del teatro Noh, e quelli fra il signore della guerra Oda Nobunaga (1534-1582) e il giovane Mori Ranmaru (1565-1582) sono tra i più famosi. Nel periodo Edo (1603-1868), lo scrittore e poeta Ihara Saikaku (1642-1693) descrisse il danshoku come una pratica comune.
Negli ambienti religiosi e feudali, il rapporto tra un maestro più anziano e il suo giovane discepolo faceva parte dell'insegnamento, proprio come le arti marziali o il codice d'onore. Appartenenti alla tradizione giapponese Shudo, abbreviazione di wakashudo che significa "la via (o il risveglio) dei giovani", queste relazioni seguivano un preciso codice di condotta. Ad esempio, i due partner maschi non dovevano essere mai nudi e la loro relazione doveva rimanere solo su un piano fisico, senza sviluppare sentimenti d'amore.
 

Molte stampe erotiche giapponesi, le cosiddette shunga, raffigurano rapporti omosessuali e furono dipinte in questo periodo dai più grandi artisti; essendo molto popolari, rappresentavano una significativa fonte di reddito per i loro creatori.
Opere letterarie come Vita Sexis di Mori Ôgai mostravano che i dormitori delle università nell'era Meiji erano sede di amori omosessuali tra studenti. Ma con la corsa alla modernizzazione e con l'apertura forzata verso l'Occidente che ebbe luogo dalla seconda metà di questo periodo, emerse l'idea che l'omosessualità fosse un'anormalità, anche a causa del fatto che la medicina occidentale, introdotta in quegli anni, la considerava una "malattia".
 

Così, fino al 1991, sul Kôjien, il dizionario più autorevole della lingua giapponese, l'omosessualità era definita come una "pulsione sessuale anormale". E solo nel 1995 la prestigiosissima Accademia Giapponese di Psichiatria e Neurologia ha dichiarato che l'omosessualità non è una malattia mentale, allineandosi ai criteri diagnostici vigenti in tutto il mondo. Ma il pregiudizio dell'era Taishô (1912-1926) che classifica i rapporti tra persone dello stesso sesso come una forma di perversione è ancora tenace in una parte della popolazione dell'Arcipelago.
Non appena un individuo o un fenomeno è in qualche modo associato a una minoranza sessuale, si innesca quasi automaticamente una reazione che si traduce in un sogghigno o in una risata imbarazzata. Rifugiandosi nella derisione, le persone probabilmente cercano di rassicurarsi e persuadere gli altri che non sono "così".
 

Tuttavia, quando le persone scoprono che l'oggetto della loro derisione non è più una star del piccolo schermo, ma un membro molto reale del loro immediato entourage, generalmente l'atteggiamento cambia e si arriva anche a trattarle apertamente con disprezzo. Quando qualcuno si presenta apertamente come omosessuale o transessuale, il più delle volte viene considerato anormale e ridicolo, messo da parte, completamente ignorato e talvolta diventa anche vittima di violenza.
 

In occasione di un'indagine svolta nel novembre 2015 dall'Istituto nazionale giapponese per la ricerca sulla popolazione e la sicurezza sociale (NIPSSR) è stato chiesto agli intervistati quale sarebbe stata la loro reazione se avessero scoperto che qualcuno che conoscono è omosessuale. In molti hanno affermato che lo avrebbero trovato “spiacevole” con percentuali variabili a seconda della vicinanza alla persona in questione.
Il 39% se si fosse trattato di un vicino di casa, il 42% se fosse stato un collega di lavoro e si arrivava fino al 72% nel caso di un figlio. Inoltre, oltre il 70% dei dirigenti aziendali di età compresa tra 40 e 49 anni ha affermato che "non gli sarebbe piaciuto affatto" avere un collega omosessuale.
Il rifiuto di accettare gli omosessuali a volte si traduce in maltrattamenti e atti di violenza. Nel 2000, tre giovani hanno aggredito persone omosessuali nel Parco Shinkiba, a Tokyo, arrivando a provocare la morte di uno di loro. Durante il processo, gli imputati hanno spiegato il loro comportamento affermando che "quando gli omosessuali sono vittime di aggressioni, non presentano denuncia".
 

L'idea di fondo molto comune fra le persone è che l'appartenenza a una minoranza sessuale sia solo una questione privata e che non debba essere dichiarata al mondo intero. Gli abitanti dell'Arcipelago sono molto discreti sulla questione e la comunità LGBTQ+ è spesso ignorata dalla legge e dalla società.
La prima vera svolta per quello che riguarda i diritti degli omosessuali fu la vicenda legata all'ostello della gioventù Fuchû nel 1990: ciò che successe ha segnato l'inizio del movimento. Non è molto conosciuto, ma è un punto di partenza essenziale per riflettere sulla questione delle minoranze sessuali in Giappone.
Tutto cominciò quando un'associazione omosessuale, il Lesbian and Gay Group on the Move (OCCUR) prese alloggio in questo ostello della gioventù gestito dal governo metropolitano di Tokyo.
 

Non era la prima volta che l'OCCUR usava questa struttura per riunirsi ma fino ad allora non aveva mai dichiarato apertamente che si trattasse di un'associazione omosessuale; alcuni suoi membri però pensavano che non fosse più necessario continuare a nasconderlo. Quindi si presentarono come “associazione che riflette sui diritti umani degli omosessuali” durante l'incontro organizzato alla fine della giornata per conoscersi meglio fra gli ospiti dell'ostello.
A seguito però di questa dichiarazione, i suoi membri furono molestati da altri residenti della struttura e il Tokyo Public Education Committee, manager degli ostelli della gioventù della prefettura di Tokyo, non accettò altre prenotazioni da parte dell'OCCUR. La giustificazione ufficiale fu che le stanze della struttura non erano miste, in conformità con i regolamenti di questi stabilimenti, e che quindi gli omosessuali avrebbero potuto fare sesso nelle camere arrecando un danno alla sana educazione dei giovani.
 

L'OCCUR, a seguito di ciò, portò il caso dinanzi al tribunale distrettuale di Tokyo che nel 1994 emise una prima storica sentenza a favore dell'associazione, affermando che "se non c'è la possibilità concreta di avere rapporti sessuali, non possiamo rifiutare l'uso dell'ostello della gioventù". La definizione neutra di omosessualità formulata nella sentenza, e cioè "uno degli orientamenti sessuali degli esseri umani, in cui la coscienza sessuale è orientata verso lo stesso sesso", attirò l'attenzione, anche perché in base ad essa si evinceva che vi era stata discriminazione e repressione da parte del Tokyo Public Education Committee.
Ovviamente la cosa andò avanti: la prefettura di Tokyo fece appello, affermando che la decisione di rifiutare era "inevitabile poiché nel 1990 non si aveva una conoscenza precisa di quello che potesse significare essere omosessuale". La Corte d'Appello di Tokyo, tuttavia, nel 1997 confermò la decisione della Corte distrettuale, dichiarando che: "Gli organi governativi devono essere particolarmente attenti a una minoranza, in questo caso agli omosessuali, e devono garantire che i loro diritti e interessi siano rispettati. È inammissibile che gli agenti della pubblica autorità mostrino nei loro confronti indifferenza o ignoranza”.
 

Un'altra data storica per la comunità LGBTQ+ nipponica fu il luglio 1996, quando un rapporto del comitato etico della Saitama Medical University riconobbe l'esistenza di una sindrome definita allora "sindrome transessuale", e come un'operazione fosse il trattamento più appropriato per questa sindrome.
L'anno successivo la Società Giapponese di Psicologia e Neurologia formulò delle linee guida per la sua diagnosi. Nel 2001, un film per la TV in cui un'attrice molto popolare interpretava il ruolo di una studentessa che soffriva di disforia sessuale contribuì a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione. Infine nel 2003 è stata promulgata la legge sulla disforia sessuale che consente alle persone che soddisfano certi requisiti (essere maggiorenni, non essere sposati, essere stati riconosciuti da uno psichiatra come affetti da disforia sessuale) di cambiare sesso all'anagrafe.
 

Non tutti però hanno il coraggio di dichiarare apertamente il loro orientamento sessuale, sempre nell'ambito di mantenere l'armonia nella società. Per non offendere nessuno e preservare il proprio status di cittadini "normali", molte persone scelgono di vivere una doppia vita. Si sposano e fanno un figlio per soddisfare le aspettative della loro famiglia ma parallelamente e di nascosto vivono un'altra esistenza. Altri mantengono il celibato il più a lungo possibile, anche perché il coming out in Giappone ha pochi vantaggi. La tanto attesa uscita allo scoperto può rapidamente assumere la forma dell'isolamento sociale.
Nel 2015, uno studente laureato presso la Hitotsubashi University Law School si è suicidato pochi mesi dopo che la sua omosessualità era stata rivelata pubblicamente sull'app di messaggistica Line. Pare infatti che la vittima avesse dichiarato il suo amore ad uno dei suoi compagni di università e che quest'ultimo avesse reagito raccontando la cosa ad altri sei studenti su Line. Nell'agosto 2016, la sua famiglia ha portato il caso in tribunale, chiedendo un risarcimento per il danno subito sia all'università che non avrebbe assistito il ragazzo quando questi è andato a chiedere aiuto, sia alla persona che aveva svelato in chat la sua dichiarazione.
 

Al momento la comunità LGBTQ+ sta lottando principalmente sul riconoscimento delle unioni civili, in modo da poter condividere ufficialmente lo stesso tetto e anche per potersi proteggere. Un escamotage a cui si ricorre spesso è quello di adottarsi a vicenda in modo da essere iscritti nello stesso stato di famiglia (koseki) per garantirsi così ad esempio il diritto di visita in ospedale in caso di malattia grave.
Dal 2018 i distretti di Shibuya, Setagaya e Nakano a Tokyo, i capoluoghi delle prefetture di Naha (Okinawa), Sapporo, Fukuoka e Osaka e le piccole città di Iga (Mie) e Takarazuka (Hyogo) hanno aperto alle unioni civili. Ed altri si sono aggiunti nel corso degli anni. I partner uniti da questa ordinanza la utilizzano principalmente per dare il loro consenso a un'operazione, per firmare un contratto di locazione insieme, per ereditare dal loro partner o per essere il beneficiario della loro assicurazione.
 

NTT Docomo, Softbank e KDDI hanno ampliato i loro piani di sconto anche alle coppie dello stesso sesso ufficialmente riconosciute come tali. Dai-ichi Life Insurance e Nippon Life Insurance hanno consentito ai partner dello stesso sesso di essere nominati beneficiari dell'assicurazione sulla vita a condizione che questi certificati siano forniti come parte della loro domanda.
Nell'aprile 2018 la NTT ha concesso anche alle coppie omosessuali assegni familiari, alloggi aziendali, nonché congedo parentale per le coppie dello stesso sesso che allevano figli adottivi.
 

Non sempre però è così facile: in questo articolo possiamo leggere la travagliata storia a lieto fine di Ryōsuke Nanasaki, giovane attivista per i diritti LGBTQ+, divenuta prima un romanzo e poi un manga. La coppia è divenuta la prima unione tra persone dello stesso sesso in Giappone nel 2016. Il giovane Nanasaki è un attivista per i diritti degli omosessuali piuttosto conosciuto in Giappone, ma molte sono state le peripezie affrontate dalla coppia: in diversi uffici comunali a Nanasaki e al suo partner è stato rifiutato un colloquio a causa di funzionari pubblici che li vedevano come un cattivo esempio, che andava contro l'ordine pubblico e la morale.

Fonti consultate:
Kanpai
Nippon1
Nippon2
Nippon3
Nippon4