Cosa sono esattamente gli yokai? In italiano non esiste un termine univoco per definirli. Nel libro Viaggio nel Giappone sconosciuto, l'autore Massimo Soumarè scrive che Yokai "è il termine più generale che designa le creature sovrannaturali, basilarmente nel loro attributo d'immaterialità, cioè di non manifestazione fisica, sebbene attualmente sia utilizzato anche per indicarne la forma visibile. [...] La diversità fra kami e yokai non sta tanto nella forza mistica che possiedono bensì nel fatto che, mentre i primi ricevono il culto della gente che ne invoca l'aiuto con le preghiere, i secondi sono invece spiriti i queli, pur avendo tutti i requisiti per divenire kami, non sono stati divinizzati e adorati dagli esseri umani. [...] Gli yokai possono assumere un comportamento indifferente o di lieve disturbo nei confronti degli uomini, ma sono anche in grado di divenire estremamente pericolosi."
 

Per questo motivo spesso li si vede come spiriti mostruosi, creature soprannaturali che popolano i racconti del folklore giapponese e che erano spesso usati per procurare brividi di terrore soprattutto nelle afose serate estive nipponiche.
Sembra che la tradizione di raccontare queste leggende risalga al periodo Edo (1603-1868). In quei secoli erano molto in voga gli Hyaku Monogatari, ossia i Cento Racconti che godevano di immensa popolarità a tutti i livelli della società, sia sotto forma di libri che in occasione di incontri in cui si scambiavano storie fantastiche. Durante questi incontri vi era la pratica di accendere delle candele e di spegnerle una ad una alla fine di ogni storia spaventosa. Quando si spegneva l'ultima candela, gli ascoltatori si ritrovavano nell'oscurità e a quel punto sarebbe potuto accadere qualcosa di strano e orribile.
 

Non ci sono certezze sulle origini di questa usanza, ma si ritiene che nasca nel periodo Muromachi (1333-1568) come prova destinata a saggiare il coraggio dei samurai e poi diventata semplice passatempo dalla gente comune nel periodo Edo.
I libri che contenevano queste leggende si chiamavano Cento Racconti ma questo non significa necessariamente che ne contenessero esattamente cento: era un modo per indicare un gran numero di racconti. Tra le raccolte che, come la Shokoku hyaku monogatari ("Cento racconti da molte terre", 1677) e l'Otogi hyaku monogatari ("Cento racconti fantastici", 1706), includono il numero 100 nel titolo, solo la prima conteneva effettivamente cento storie.
 

Le storie contenute in queste antologie sono presentate non come narrazioni costruite a tavolino da uno scrittore ma come fatti accaduti veramente alle persone e riportate dai testimoni oculari. Vengono perciò fatti nomi e cognomi oppure sono indicati luoghi precisi in cui quello spirito è apparso o è avvenuto un fatto sovrannaturale. Per attirare un maggior numero di lettori, nella prefazione a "Cento racconti da molte terre" si rivendicava l'autenticità delle storie contenute sulla base dei molti dettagli riportati riguardanti i protagonisti e le località in cui quei fatti erano capitati.
 

Presentato come la versione originale delle collezioni hyaku monogatari, "Cento racconti da molte terre" è un'opera in cinque volumi che riunisce storie provenienti da un vasto territorio: si va dal Tôhoku nel nord-est al Kyûshû nel sud-ovest. Circa un terzo di queste storie riguarda i fantasmi, molti dei quali gelosi e vendicativi, come ad esempio il fantasma di una prima moglie morta di parto che torna ad affrontare la sua sostituta. Altre storie invece presentano mostri bizzarri o animali avvolti nel mistero come serpenti, volpi, tanuki e gatti.
 

Anche le leggende metropolitane di oggi sono raccontate come se fossero realmente accadute, ma nell'era di internet è più facile controllare online o recarsi addirittura sul posto per verificare le informazioni acquisite. Nel periodo Edo, invece, la maggior parte delle persone viveva tutta la sua esistenza nel luogo in cui era nata. Quindi se durante una serata in compagnia qualcuno diceva "Ciò che sto per raccontarvi è successo a Tôhoku...", non c'era modo di verificarlo, perciò l'impressione che la storia fosse reale veniva rafforzata e in fondo agli ascoltatori stava bene così perché questo era parte del divertimento.
 

La tradizione dello hyaku monogatari ha ispirato autori moderni e contemporanei come Lafcadio Hearn, Mori Ôgai e Kyôgoku Natsuhiko e si ritrova anche nella "Collezione dello Spirito di Inô" (Inô mononoke-roku), racconto di un incantesimo leggendario, avvenuto nella città di Miyoshi, prefettura di Hiroshima, durante il quale un giovane samurai riceve la visita di una schiera di yokai.
La leggenda narra che durante il settimo mese dell'anno 1749, Inô Heitarô, un giovane di 16 anni che viveva a Miyoshi, fu molestato giorno e notte da una pletora di creature e strani fenomeni, ma riuscì ad uscirne indenne. Stando a quanto scritto nella raccolta, fu spegnendo le candele una dopo l'altra, secondo il rituale dell'hyaku monogatari, che Heitarô scatenò questo formidabile carnevale di spiriti. Si narra che in seguito quando si recò a Edo per lavorare nella residenza di proprietà del signore del suo dominio, decise di mettere nero su bianco le sue avventure.
 

Questa storia si diffuse oltre il suo territorio originale sotto forma di rotoli di dipinti, manoscritti e libri illustrati. Dato che erano fatti a mano, non era possibile produrli in centinaia di copie, ma i lettori potevano prenderli in prestito, quindi è probabile che li abbiano letti un gran numero di persone. Alcuni degli yokai raffigurati erano molto impressionanti e spaventosi mentre altri erano infantili e carini.
Ad esempio c'era la testa mozzata di una donna che camminava usando i capelli come gambe e ridendo a crepapelle, oppure la testa gigante di una donna anziana che pendeva dal soffitto e leccava il viso di Heitarô.
 

Gli yokai sono nati dalla paura che la natura e l'oscurità producono nelle persone. I giapponesi del periodo Edo erano molto sensibili a tutto ciò che poteva nascondersi nel buio. Occorre tener presente che all'epoca nelle strade della città dopo il tramonto non c'era quasi nessuna luce, quindi l'oscurità era una presenza familiare.
Alcune voci di strane apparizioni nascevano in un particolare quartiere e lì restavano. Nel libro "Sette storie misteriose" ogni racconto è associata ad un diverso luogo della città, come Honjo, Kôjimachi e Azabu. Nel periodo Edo la paura del soprannaturale iniziò a coesistere anche con una visione degli yokai percepiti come carini e amichevoli: questo fu possibile grazie agli accattivanti ritratti fatti sulle stampe ukiyo-e.
 

Con il progresso della stampa che consentì a chiunque di acquistare ritratti e rotoli a basso costo, le immagini degli yokai divennero familiari, la paura che incutevano iniziò a svanire e la loro rappresentazione assunse un carattere sempre più bonario. In seguito all'ondata di popolarità dell'hyaku monogatari, gli yokai apparvero come decorazioni sulle stoffe dei kimono, come sculture in miniatura dei netsuke e su carte e giochi per bambini.
La cultura degli yokai ha una moltitudine di fonti da cui trarre ispirazione: dalla Cina e dal buddismo, ma anche prendendo alcuni concetti base dell'animismo, come lo tsukumogami che prevede che gli oggetti possano acquisire un'anima dopo un certo numero di anni.
 

Perciò qualsiasi oggetto può trasformarsi in uno yokai e così durante l'era Meiji (1868-1912), anche risciò, lampade e ombrelli in stile occidentale si unirono alla folta schiera di spiriti. Con l'arrivo della ferrovia e delle locomotive a vapore, iniziarono a circolare storie di tanuki che si trasformavano appunto in locomotive, mentre l'avvento delle macchine fotografiche ispirò storie di fantasmi che apparivano nelle foto.
Gli yokai probabilmente devono la loro attuale popolarità ai manga di Mizuki Shigeru ma le loro antiche radici culturali hanno giocato un ruolo indispensabile.

Fonte consultata:
Nippon