In data 11 e 12 Settembre siamo stati ospiti al Gardacon 2021, fiera che ha sancito il nostro ritorno in scena alle fiere dopo un anno e mezzo di pandemia e che ha visto una nostra copertura live della fiera con ospiti, interviste e panel. Tra questi, quello che ha sicuramente destato più interesse da parte del pubblico è stato l'ennesima dedica al "manga e anime dei record" dello scorso che è, però, il primo che facciamo in diretta. Parliamo, ovviamente, di Demon Slayer - Kimetsu no Yaiba di Koyoharu Gotōge.

Demon Slayer è senza ombra di dubbio un fenomeno culturale di massa, che ha catturato grandi e piccini sia in madrepatria che in tutto quanto il globo, e ne sentiremo parlare ancora per tanto tempo. Qui di seguito, trovate la trascrizione del nostro panel svoltosi al Gardacon in compagnia di Gianluca Fini e Paolo Solazzo di AnimeTeaTime e Mosè Singh, doppiatore italiano di Zen'itsu Agatsuma. La troverete anche in formato video a piè di pagina.
Buona lettura e buona visione




Alessandro: Demon Slayer ha cambiato un po’ le carte in tavola della serializzazione di un manga: è durato molto meno di quanto ci si potesse aspettare. Ha infranto record su ogni fronte, tra cui anche con il film sequel che purtroppo non abbiamo potuto vedere al cinema, e il manga ha monopolizzato le classifiche di vendita giapponesi per moltissimo tempo anche grazie al fatto che lo leggessero letteralmente tutti, dai bambini agli anziani. Perché questo successo?

Gianluca: Hai fatto bene a citare i bambini e gli anziani, perché a mio avviso il successo di Demon Slayer, soprattutto in Giappone, è dovuto al suo essere un’opera con un’identità culturale molto forte che è andata a toccare non solo i ragazzi chi guarda i cartoni ma anche i loro genitori. È stato condotto un sondaggio rivolto ai ragazzi da una testata specializzata, chiedendo quali fossero i loro idoli e il perché: il 51% dei ragazzi ha messo Tanjiro sopra il proprio padre. È effettivamente un po’ inquietante, ma fa capire anche quanto il personaggio sia rimasto impresso nelle menti più giovani.

Mosé: Io a questo punto mi chiederei se è Tanjiro a essere un grande personaggio o i padri giapponesi a fare un po’ schifo.

Cristiano: Io propenderei per la seconda vista la “rosea” situazione familiare media in Giappone.

Gianluca: È sicuramente un mix di tutti questi fattori. Fatto sta che comunque Demon Slayer ha conquistato il pubblico giapponese sin da subito con il manga, che ha tanti elementi culturali legati a quello che è e quello che è stato il Giappone, alla sua cultura mitologica e al suo spiritualismo, ma anche con un aspetto un po’ più dark rispetto ai fumetti a cui i lettori di Weekly Shōnen Jump erano abituati.

Cristiano: Questo a mio avviso si rispecchia anche nel fatto che Koyoharu Gotōge non si fa il minimo problema ad uccidere i suoi personaggi, il che è sicuramente un quid rispetto a molti manga della rivista.

Gianluca: Certamente, è certamente figlio della nuova ventata di Battle Manga che abbiamo avuto dopo L’Attacco dei Giganti, che ha cambiato a effetto domino le caratteristiche di una rivista molto “quadrata” come Shōnen Jump.

Cristiano: Io penso che senza l’opera di Isayama non solo non avremmo mai avuto Demon Slayer, ma anche un The Promised Neverland e un Chainsaw Man non sarebbero mai potuti sbarcare sulle pagine di Shōnen Jump. Tra l’altro, parlando di “ventata di dark, novità e cambiamento”, va detto che il tempo in cui è ambientato Demon Slayer, il Periodo Taisho, rappresenta esattamente questo: il periodo di transizione tra il Giappone “feudale”, quindi la Tarda Restaurazione Meiji, e l’inizio dell’apertura del Sol Levante all’era moderna. Questo è stato, come lo definiscono i giapponesi, il momento in cui sovrannaturale e quotidiano si sono divisi, in cui gli spiriti hanno abbandonato i centri abitati e si sono nascosti, lasciando lo spazio alla modernità. Questa cosa è anche rappresentata nell’opera stessa, in quanto la Squadra Ammazzademoni deve letteralmente salvare il Giappone da dei mostri che lo infestano. C’è anche un simbolismo artistico, presente soprattutto nell’anime, a rappresentare questa tematica di Demon Slayer, ovvero l’Ukiyo-e.

Paolo: Sì, indubbiamente l’influenza e richiami dell’Ukiyo-e, insieme alla numerose citazioni della Grande Onda di Kanagawa e di Hokusai, hanno contribuito a rendere famoso Demon Slayer soprattutto in Giappone. In occidente invece penso che sia anche perché ce l’hanno intortato a dovere. C’è questa credenza, diffusa anche tra quelli del settore, che Demon Slayer sia animato bene quando, di fatto, non lo è. Nessuno però mette in dubbio che la resa grafica di Demon Slayer sia ottima, è artisticamente eccezionale, ma la maggior parte di questa resa visiva non è animata e disegnata, bensì è frutto di computer grafica e compositing: il disegno animato viene lavorato su PC attraverso degli effetti speciali, come quelli delle varie tecniche e le onde, aggiunti in post produzione. Per cui, ciò che a noi piace non è animazione ma CGI, che a scanso di equivoci resta incredibile e non sminuisce la godibili dell’anime.

Alessandro: Questo si spera smenta chi dice che la computer grafica è il male: esistono un sacco di anime fatti in computer grafica e sono fatti benissimo, anche in tecnica mista come stanno sperimentando molto gli americani.

Paolo: Considera che il compositing è proprio la specializzazione di Ufotable, lo avevamo visto in altre opere come i vari “Fate“, è questo che a noi occidentali ha stupito cosi tanto. Una concausa che, però, non deve essere a mio avviso dimenticata, è il periodo in cui è uscito Demon Slayer, ovvero la pandemia. Siamo a casa, non abbiamo niente da fare, molti di noi passavano il tempo a guardare cartoni e Demon Slayer si è preso un pubblico già affezionato alla servilità grazie all’anime de L’Attacco dei Giganti, che aveva saputo comunicare ottimamente che gli anime fossero a tutti gli effetti “serie TV”, non c’è tanta differenza contenutistica dalla tecnica live action. Demon Slayer, in questo modo, si è inserito nel momento migliore ed è stato infatti considerato da tutti, e questo lo dobbiamo anche ai personaggi che hanno indubbiamente influito parecchio.
 

Paolo: Avrei una domanda per Mosé: come ti sei approcciato a Zen’itsu (che per me è un personaggio incredibile per colpire il pubblico) e al suo carattere?

Mosè: Io ho fatto un percorso un po’ inverso rispetto alla tua analisi: un giorno sono entrato in fumisteria, non compravo manga da un bel po’ e noto questo “Demon Slayer”. Sono un lettore molto legato a un design anni ’90 alla Dragon Ball, e questo era molto vecchio stampo, per cui mi fa un’ottima impressione. Prendo il primo volume e tempo 10 minuti l’ho finito, avrei voluto continuarlo ma purtroppo nel momento in cui la serie stava arrivando in simulcast erano usciti solo i primi due volumi.

Alessandro: Va’ detto che a te, al momento del doppiaggio, è toccato forse il ruolo più difficile in termini di paragone con l’originale giapponese.

Gianluca: Concordo, Hiro Shimono è un caratterista incredibile in ogni ruolo che fa, e va detto che ne copre di ogni, dal più pazzoide al più normale.

Cristiano: Ricordiamoci che è Dabi in My Hero Academia, che direi che è l’esatto opposto di Zen’itsu. Una dimostrazione in più del suo talento.

Mosè: Sì, il confronto era ciò che io temevo già di ogni altra cosa, anche perché all’epoca non avevo un gran curriculum in termini di animazione giapponese, avevo fatto piccoli ruoli e non c’era la possibilità di dare al pubblico un termine di paragone. Vengo a sapere che la serie era stata acquisita in Italia per il doppiaggio e d’istinto mi viene spontaneo scrivere un post, condividendo proprio la vostra notizia se non erro, in cui dico che “Venderei qualunque cosa per fare anche un brusio”. Di lì a poco mi contatta un collega che era stato chiamato per fare un provino sulla serie, ma a me la chiamata non era arrivata. Da quel momento fino alle 15 del giorno successivo, momento in cui ricevo la convocazione per il provino il mio umore era nero pece: luci spente, persiane chiuse, io a letto con l’animo pieno di dolore e sofferenza.

Cristiano: Che drama queen che sei.

Mosé: Sì, lo ammetto *ride*. Dopo questa fase, però, squilla finalmente il telefono: era la società che sapevo si sarebbe occupata del doppiaggio di Demon Slayer. Io rispondo facendo un po’ il figo e loro mi chiedono se avevo disponibilità per “un provino su una serie animata giapponese”. Ovviamente, anche se sempre facendo il figo, do disponibilità. Vado al provino, a cui vengo fortunatamente accompagnato da Cristiano, lì come accompagnatore morale mio e di Ezio Vivolo, che sarebbe poi stato distribuito su Giyū Tomioka, e dico fortunatamente perché stavo morendo d’ansia. Avevo tanta paura di sbagliare qualcosa perché ci tenevo veramente tanto, inoltre sapevo solo che avrei fatto un provino, non su quale dei personaggi mi avrebbero provinato. A mente lucida poi capimmo tutti e tre che probabilmente ero stato chiamato su Zen’itsu (cosa che poi si rivelò vera). Faccio il provino tutto in buona la prima, cosa che mi lascia soddisfatto, torno a casa e dico a me stesso che va bene così: anche se non lo avessi vinto avevo avuto una chance. Con mio stupore, mi viene comunicato che ho vinto il provino, tra l’altro direttamente da Alex Corazza di Dynit in persona. Fortunatamente, però, quando iniziò la lavorazione Demon Slayer era sì famoso, ma non era il fenomeno di massa che è in questo momento, per cui sicuramente avvertii molta meno pressione di quanto si possa pensare. Avevo fatto i conti con ipotetiche critiche, ma devo dire che poi con mio stupore ho visto molto apprezzamento verso il mio lavoro.

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Paolo: Va detto che le critiche (soprattutto quelle stupide) te le avrebbero fatto a prescindere.

Mosé: Assolutamente sì, ma per evitarle il più possibile io decisi comunque di guardarmi tutto quanto l’anime in giapponese, perché non è una cosa che di solito abbiamo la possibilità di fare, per cui era meglio approfittarne, sia perché mi piaceva ma soprattutto perché ci tenevo davvero a fare un bel lavoro, e se potevo avere una visione a 360° del prodotto dovevo averla. Ascoltando il lavoro di Hiro Shimono mi accorsi che, fortunatamente, mi sarei divertito molto, e anzi mi sono divertito anche troppo visto che alcune battute le ho dovute rifare perché urlavo più del necessario. Quelle parti, inclusa quella del provino (la scena in cui cerca di obbligare una ragazza a sposarlo) hanno messo a dura prova le mie corde vocali, è stato un delirio costante quella fascia di episodi. Anche gli episodi post addestramento riabilitativo sono stati sfiancanti, lì da molto di sé, infatti ricordo che quando feci quelle scene urlai per tipo un paio di minuti ininterrottamente, allorché Luca Semeraro, il direttore del doppiaggio, mi disse goliardicamente che avevo per forza una qualche malattia che mi aiuta, perché altrimenti non si spiega come io ci riesca. Per il resto è stata una lavorazione abbastanza tranquilla, paradossalmente mi ha messo più alla prova Ren Tao di Shaman King.


Alessandro: Ma secondo te perché ha avuto tutto questo successo? Molti lo preferiscono anche a Tanjiro che è un personaggio iper positivo e dovrebbe essere l’archetipo del “personaggio che piace”.

Mosè: Premessa: se dovessimo fare un’indagine statistica sulla visione della vita, sono convinto che moltissime persone direbbero di non averne una visione totalmente positiva o di affrontarla con determinazione come fa Tanjiro. Avranno probabilmente ansie e paure, chi più chi meno, e Zen’itsu rispecchia proprio lo spettatore da questo punto di vista secondo me. Tanjiro è un eroe a tutto tondo, che riesce anche a provare empatia nei confronti del nemico, una caratteristica che per quanto risulti a volte stucchevole è veramente bella, e ti fa idealizzare il protagonista come una persona completamente positiva. Mentre tu, essere umano, sei più o meno in equilibrio tra pregi e difetti lui, apparentemente, è la quintessenza della bontà. Zen’itsu non è così: prova ansia, paura, apparentemente non è coraggioso tolto il discorso narcolessia ed è anche un po’ malizioso. La sua parte comedy spezza il ritmo narrativo e questo al pubblico piace, ha quella vena di sclero che rispecchia ciò che vorremmo ma non possiamo fare alla fine di una brutta giornata e queste caratteristiche che sono profondamente umane.

Gianluca: Hai detto una cosa che condivido al 100% e fornisci anche un assist per spiegare un altro motivo per cui Demon Slayer ha avuto successo non tanto in occidente quanto in Giappone, che è Tanjiro. Per quanto a un pubblico italiano Tanjiro possa alle volte risultare stucchevole, pesante e troppo idealizzato, mentre uno Zen’itsu è una persona normalissima che potresti incontrare qui in fiera ed è molto più apprezzabile da un pubblico espansivo come quello italiano, in Giappone non è così. Tanjiro è l’idealizzazione del Giappone e dei valori di vita dei giapponesi: onore, dovere, giustizia, fedeltà alla famiglia, abnegazione, impegno, dedizione all’aiuto alla comunità e tanto altro. Queso è ciò che caratterizza i giapponesi ai loro occhi e agli occhi del mondo, ed è per questo che Tanjiro è diventato per il 51% dei ragazzi giapponesi un ideale a cui aspirare ancor più dei loro padri: è fondamentalmente ciò a cui ogni ragazzino giapponese aspira e che vuole diventare. Oltre a questo, fa capire anche come mai Demon Slayer sia piaciuto così tanto anche a un pubblico adulto, ai genitori dei ragazzini che lo hanno scoperto. Prima parlavamo del successo del film, che ne ha fatte di ogni battendo Shinkai e La Città Incantata, ma perché ci è riuscito? Perché al cinema con i ragazzini ci sono andati i genitori, ed è una cosa incredibile che un pubblico adulto vada a guardare il film sequel di un cartone. Sono motivi molto diversi da quelli del successo in Italia.

Paolo: C’è un momento emblematico di questo: Tanjiro che dice “perché ogni volta che penso di aver fatto dei progressi trovo un ostacolo più grande di prima?” e scoppia a piangere. Questo è proprio l’emblema del giapponese stacanovista che però a una certa non riesce più a reggersi e crolla.

Alessandro: Rimanendo sul film, questo invece è uscito dopo il boom. Quanta ansia hai provato e quante persone ti hanno chiesto quando usciva?

Mosè: Tante quante ora mi chiedono quando esce la seconda stagione, che dovrebbe essere imminente nella sua release giapponese.

Cristiano: Tanto ora inizieranno a chiederti quando arriva doppiata in italiano, anche se tutti penso ci auguriamo un simuldub.

Mosè: Certo, penso a tutti piacerebbe molto. Per quanto riguarda l’ansia per il film, va detto che la richiesta era alle stelle, però è arrivato facendo passare sufficiente tempo tra la mia presa di coscienza del fenomeno e il momento in cui mi sono rasserenato e ho capito che dovevo concentrarmi e andare in sala di doppiaggio senza tutta quella pressione, che è una cosa che mi porto sempre durante il lavoro. In quel periodo tra l’altro stavo facendo un altro cartone animato che dopo due turni mi aveva prosciugato le corde vocali e alla fine della seconda giornata avevo il film. Alla fine però non mi ha impegnato più di tanto perché Zen’itsu non c’è molto nel film, il turno sarà durato una mezz’ora. Il pubblico però mi aiuta tanto a distendere la tensione con il loro affetto, mi chiedono spesso vocali di ogni sorta. Non me la prendo però, a me fa piacere dedicando il tempo che posso. In fase di piena pandemia si toccavano le 100/150 richieste al giorno che erano impegnative ma essendo la mole di lavoro minore riuscivo a tenere botta. Ora sono fortunatamente diminuite un po’, soprattutto perché ho meno tempo io per elaborarle. Ci tengo tra l’altro a dire una cosa: su centinaia di persone solo 2/3 sono stati insistenti, e nemmeno maleducatamente, di maleducati non ne ho veramente mai beccati.

 

Alessandro: In tema adattamento, vorrei chiederti come ti sei trovato con le scelte di adattamento come “Nezuko cara”

Mosè: In sala bene, anche se questa è stata una scelta alla quale, se avessi potuto, mi sarei opposto perché avrei preferito “Nezuko-chan”. Mi rendo conto che il “chan” in italiano non significhi assolutamente niente ma diventa anche un modo carino per dare al pubblico qualcosa che in quel contesto è divenuto iconico.

Gianluca: Sono però scelte di adattamento che si fanno senza cognizione di causa di cosa sia quel meme.

Mosè: Sì, certo, ma anche perché in italiano non esiste un corrispettivo.

Gianluca: Però è la scelta migliore per il pubblico italiano: è chiaro che se scegli di mantenere il contesto lo devi fare per tutto. Ci sono state delle volte in cui è stato fatto ma questo a mio avviso snatura proprio il senso dell’adattamento. Un adattamento dev’essere pensato per tutti, non solo per i fan più fedeli che vedono in quella frase una citazione, deve farsi capire da tutto il suo potenziale pubblico.

Mosè: Indubbiamente vero, l’adattamento è un filtro tra la traduzione e il pubblico di riferimento, per cui ci deve essere comunicabilità tra i due estremi. C’è una parole chiave che rappresenta il successo di Demon Slayer, che è globalizzazione, un fenomeno che ha preso forma e si è evoluto e sviluppato da una trentina d’anni, e ha portato a vedere alcuni aspetti sociali lontani da noi, come paesi e culture differenti come delle “isole felici”. Il Giappone per molti è questo, anche se poi ci si scontra con una realtà che non rispecchia questo ideale. Questo ideale, però, che è inteso sia “della vita giapponese”, unito a dei personaggi che incarnano, come dicevamo prima, lo spirito del Giappone, ha permesso a Demon Slayer di spopolare tra chi idealizza questo immaginario collettivo. L’occidente ha una grande voglia di vivere anche solo per “osmosi” quel tipo di cultura, il fan dell’animazione giapponese tendenzialmente è anche fan della cultura nipponica, e se gliela fai vivere attraverso un’opera che è anche intrisa di simbologia anche solo grafica, per forza di cose lo reinvesti di una febbre simile a quella che arrivò con Dragon Ball, è una cosa che neanche One Piece era riuscito a replicare ai tempi, in quanto spopolò prettamente in madrepatria. Io penso che la matrice del loro successo occidentale sia simile, in quanto arrivati entrambi in un periodo dove la globalizzazione non era chissà quanto dilagata, ed erano molto più vicini all’occidente come stile di vita.

Paolo: C’è da dire che One Piece sta parlando di giapponesità solo ora con la saga di Wa no Kuni. Rimanendo però in tema Demon, non vorrei che ci dimenticassimo un altro personaggio che secondo me è stato fondamentale per il successo di Demon Slayer, ovvero Inosuke. Lui è totalmente folle e fuori di testa, passa i primi dieci minuti del film a urlare a squarciagola fuori dal treno e pensa addirittura di “sfidarlo” in una gara di velocità.

Mosè: Per questo direi di fare i complimenti a Matteo de Mojana, un attore bravissimo che fa anche teatro e che ha restituito un ottimo Inosuke non solo nel film ma anche nella serie.

Paolo: Tutto il cast in generale ha saputo rendere bene il proprio personaggio secondo me, ma di base i personaggi qui sono facilmente assimilabili. Ecco, se dovessimo trovare l’ago nel pagliaio, va detto che Demon Slayer è scritto molto a tavolino, molto pensato per il pubblico e giapponese ed è molto furbo. È un prodotto perfetto come dice Tomino.

Gianluca: Sì, la Koyoharu ha sicuramente toccato ogni corda giusta e necessaria per far breccia nel cuore delle persone

Paolo: Attenzione però: non è un reale difetto, ma d’altro canto ci troviamo in un periodo dove l’originalità e la ricerca del nuovo va forte. Anche io mi sono stupito del successo inizialmente, poi ho notato ci fossero degli elementi un po’ “furbi” e le cose hanno iniziato a tornare. Una volta preso il ritmo, fa quello che deve fare e l’anime fa un’ottima pubblicità al manga.

 

Alessandro: Il successo però non ha decretato un suo allungamento. Anzi, il manga si è concluso proprio nel momento di sua maggiore popolarità tanto che abbiamo visto code interminabili per comprare l’ultimo volume in Giappone, come mai questa scelta da parte di Shueisha?

Paolo: Questa è la linea editoriale della nuova Shueisha, e anch’essa è dovuta all’esistenza de L’Attacco dei Giganti e alla volontà di contrastare Kodansha. Hanno visto il successo che hanno avuto loro e hanno compreso che non potevano più giocarsi male le carte come hanno fatto con Bleach e Naruto, era arrivato il momento di smetterla di stretchare all’infinito un’opera fino a farla odiare a morte dai suoi stessi fan. Bleach è stato per anni nella Top 10 dei manga di Weekly Shōnen Magazine, e verso la fine non compariva nemmeno nella Top 20. È questa presa di consapevolezza della saturazione del pubblico che ha portato a Demon Slayer, oltre che la scelta coraggiosa di uccidere i personaggi. Un One Piece, per dire, ne avrà uccisi due in 1000 capitoli.

Cristiano: Una cosa molto importante secondo me è proprio questa che hai citato: manga come Demon Slayer e L’Attacco dei Giganti hanno dimostrato che se una storyline arriva a compimento, se un personaggio non ha più nulla da raccontarci o esce di scena oppure muore, ma anche la morte ha un significato se strutturata bene e se non arriva a caso. Faccio un discorso ipotetico: se un personaggio nasce come persona profondamente paurosa e rancorosa nei confronti del prossimo, si evolve comprendendo che il mondo non è così crudele come pensava e arriva a mettere in gioco la sua vita e combattere volontariamente per il benessere altrui, quel personaggio ha completato il suo cerchio di evoluzione, e non ha più nulla da raccontare. In manga come Naruto, One Piece e Bleach le storyline vengono prolungate all’infinito anche dopo che si sono chiaramente concluse, e questo porta, oltre a creare cast giganteschi di personaggi spesso inutili e per questo difficilissimi da gestire per un mangaka, alla già citata saturazione dei lettori, che spesso hanno anche droppato questi manga infiniti perché non gliene fregava niente di vedere nuovi personaggi e la storia che proseguiva, volevano vedere quelli che già amavano giungere a un punto di arrivo e la storia principale concludersi.

Mosè: Sì, questo è un discorso molto importante. D’altro canto, penso che la conclusione di Demon Slayer sia dovuta anche a uno sguardo per il futuro. Qui Toriyama insegna: se tu concludi un’opera facendo un timeskip e dopo un po’ di anni hai voglia di fare altri soldi, hai un buco temporale da riempire come vuoi.

Paolo: Non diciamo nulla, ma in questo caso anche Evangelion direi che insegna: tra 2.0 e 3.0 ci sono 14 anni di buco che altri registi potrebbero tranquillamente riempire dicendoci quello che non sappiamo. Volevo collegarmi a quello che diceva Cristiano e andare nello specifico su Naruto: non ci è dato sapere cosa volesse fare Kishimoto, ma non portando a termine le storie dei personaggi ne aveva veramente troppi tra le mani, ha iniziato a smaltirli uccidendoli a profusione e i fan sono rimasti delusi perché lo ha fatto male. Qui invece abbiamo un’opera che soprattutto a partire dal prossimo arco narrativo inizia a prendere delle decisioni forti, che è una cosa che non si vedeva da tanto non in Shueisha ma nello specifico su Weekly Shōnen Jump.

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Qui di seguito trovate l'intero panel ricaricato sul nostro canale Youtube, disponibile per la visione in qualunque momento: