Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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8.0/10
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È dai primi teaser che mi punge vaghezza di vedere come il bravo Hiroshi Hamasaki sia riuscito a gestire e a comprimere trenta densi volumetti in "soli" ventiquattro episodi. Un manga con uno stile di disegno già di per sé complicatuccio da portare in cartone animato. Uno dei successi più imperituri della sterminata scuderia Kodansha. Non avendolo mai letto, sarò un arbitro imparziale, un osservatore scettico e incredulo, anche perché mi sa tanto che gli sceneggiatori avranno dovuto, giocoforza, bypassare qualcosa. Una serie monca e trasformata in shounen già esiste, a questo punto spererei che i produttori abbiano fatto tesoro di quel clamoroso tonfo (anche se non è poi così malvagia come la si dipinge). Chissà se riusciranno a far riaccendere le luci della ribalta su "Mugen no Junin", meglio conosciuto come "Blade Of The Immortal", e a tener le redini per tutta la durata. Sembrerebbe di sì. L'hype era alto. Almeno questo dobbiamo riconoscerglielo.

I colori tenebrosi e il sangue tinta carminio ci riportano indietro nel tempo, quando la scena era dominata dal caposcuola del genere cupo e realistico, Yoshiaki Kawajiri, che ci delizia con lo storyboard del quinto episodio (a mio modesto parere uno dei migliori). A Makoto Fukami invece il compito di sobbarcarsi tutto il lavoro di supervisione generale degli script e di tenere sulla graticola lo spettatore fino all'ultimo fotogramma. I dialoghi sono veloci e comprensibili, non conditi con vocaboli caduti in disuso, nipponismi vari o valangate di termini aulici dell'era Tenmei. L'unica parte in cui si percepisce un piccolo momento d'impasse è quando entra in scena Burando Ayame.

I key animator hanno potuto pazziare con truculente sfide a colpi di katane e kusarigama (lett. "catena-falce"). Ci si impiega un po' a metabolizzare queste sequenze gore, magari non il massimo della spettacolarità ma registicamente impeccabili. Mica bruscolini, come racconta qualche radical chic che se non vede i nomi di Iso, Ohira e Inoue declassa l'opera a priori. Ciò che mi ha più affascinato è la gamma di tonalità, incredibilmente vicina alla realtà: il faggio ha il suo classico colore grigiastro chiaro, le felci arboree hanno le caratteristiche foglie giallo-verdi, senza dimenticare dipoi i tenui colori delle camelie e delle azalee.

Il direttore artistico Takashi Kudou ha a disposizione il mare, il cielo, le stelle, le montagne, e può giocarvici a suo piacimento. Paesaggi idilliaci vengono mostrati con frequenza durante i cosiddetti fegatelli, e con l'aiutino di effetti speciali digitali generati al computer si susseguono riflessi di luna, nubi frastagliate, la trasparenza delle acque, o ancora i riverberi dei raggi solari. Consiglio di sfruttare appieno la vostra visione periferica per assaporare meglio i dettagli che sono presenti; come i fasci di luce che spuntano tra le canne di bambù e i profumatissimi Lillà delle indie (peccato non si possa usufruire della tecnologia 4DX nel salotto di casa, in modo da farsi coccolare dagli odori della flora nipponica).

Devo ammettere che l'utilizzo del filtro lomografico si è rivelato una scelta di buon gusto, specialmente nelle scene in notturna con l'alone argentato della luna a illuminare la scena. Tuttavia, qualche tratteggio in più nelle ombreggiature non avrebbe guastato. Trovo riuscitissima anche la scelta di realizzare la sigla d'apertura con il tratto G-Pen associato alla modalità rumore termico (effetto sabbia). Il risultato è finale è sorprendente. Non è un imparaticcio, bensì rispetta tutti i mantra del perfetto anime a sfondo storico. Benedico i giovani artisti di Liden Film che ci fanno capire cos'è la beltà, e si reggono, tra motion capture e grafica vettoriale, come uno degli avamposti dell'animazione tradizionale.

Ogni episodio è un caleidoscopio di sangue viscoso che zampilla e un turbinio di arti mozzati, di bellezza indescrivibile ma anche di orrore ineffabile. Lo stridio continuo di spade e pugnali si interrompe su di un placido shishi odoshi basculante. Si passa senza avvisare dal primo piano di uno splendido esemplare di vanessa dalle ali maculate a una testa di un samurai che rotola. Farfalle gestite in CGI che sembrano dei piccoli droni robotizzati e teleguidati, più che leggiadre creature che volteggiano di fiore in fiore. Scelta esecrabile, poiché a mano libera i disegni prendono vita. Oltretutto questa cosa non è avventizia, dal momento che viene reiterata più e più volte nel corso della serie. Piccole note stonate che ad alcuni non daranno noia, ma a me rovinano la visione. Tolgono tutta la poesia nel giro di un flick. Inoltre, sovente i personaggi se ne stanno immobili e l'unica parte animata risulta essere la bocca. Poco decoroso per un progetto di tale levatura, nonostante il sacrificio, l'impegno e la dedizione che vi hanno riservato gli addetti ai fondali.

Apprezzato il taglio cinematografico, assente in "Dororo", quest'ultimo accuratamente depoliticizzato con un finale assai addolcito. Auguriamoci che questo web-anime non abbia risentito delle millemila restrizioni in vigore oggi. Mostro bipartisan, quello del becero convenzionalismo assolutista, creato dalle multinazionali dello streaming in combutta con i presunti intellettuali di sinistra e i facinorosi beghini di destra, che rischia di intaccare pure l'opera più nota di Samura. A mio malgrado ho notato un emblematico decremento di nudità, nonostante l'esplicito avviso iniziale a caratteri cubitali. Parliamoci chiaro, trenta o quarant'anni fa avrebbe potuto essere trasmesso tranquillamente nel tardo pomeriggio ("Kamui" era violento e scorretto in egual misura). Oggi ci sono avvertenze di ogni tipo, bollini rossi prima dopo e durante, parental control e una pletora di altre cavolate. Anche i giapponesi ormai non sono più immuni da questa piaga.

A tratti un po' ostico da seguire causa la mancanza di spiegazioni tra un episodio e l'altro, per questo - e per via delle lacune grafiche succitate - lo colloco appena mezzo gradino sotto al remake di "Dororo". Molto buono ma non eccellente. Non è un capolavoro che sposterà l'equilibrio astrale. Comunque, rispetto alla "stiracchiata" miniserie del 2008, il titolo di Amazon è un lodevole passo avanti, e siccome non c'è il due senza il tre possiamo ancora sperare in una trasposizione che dia maggiore respiro ai momenti salienti. Magari con la stessa carica erotica dei disegni fatti a pennino. Magari senza lepidotteri poligonali. Magari con una conclusione meno precipitosa e irriflessiva. Allora sarà la volta buona che si beccherà un 10 tondo tondo. La possibilità c'è. Il sorriso beffardo dell'autarchico Manji è duro a morire, anzi oserei dire "quasi immortale".

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Tratto dal romanzo di Hideyuki Kikuchi, "La città delle bestie incantatrici" ("Wicked City") è assunto a vero e proprio cult del cinema d'animazione orientale, e ad oggi, ad oltre trent'anni dalla sua uscita (1987), è in grado di regalare forti emozioni. Un thriller erotico, oscuro, ricco di influenze hard boiled, che trasforma una trama apparentemente banale come quella di una lotta tra due razze, uomini e demoni, in un viaggio oscuro e decadente nei meandri della carne e della sofferenza. Ricco di colpi di scena, "Wicked City" vive di un estremismo visivo che esplode anche in scene erotiche fortemente esplicite, che ne hanno fatto vietare la visione ai minori. Questo però non ha impedito la distribuzione (e ci mancherebbe!) in Italia da parte di Manga Video prima e Dynamic Italia poi, con un doppiaggio di ottimo livello.

Questo lungometraggio è il primo lavoro "completo" del regista Yoshiaki Kawajiri, che ha curato anche character design e sceneggiatura, e che ha pervaso l'opera di un'atmosfera opprimente, inquieta e magica. Il tratto, pur ancorandosi agli standard dell'epoca, non risente poi così tanto del tempo trascorso, grazie anche a delle animazioni più che convincenti. Una pellicola matura sotto tutti gli effetti, dalla violenza estrema nelle trasformazioni mostruose dei demoni, a quella sessuale, che poco lascia all'immaginazione, proponendo scene di fellatio forzate più o meno disturbanti.
Ma, oltre a questo sfacciato voyeurismo, "Wicked City" è una pellicola praticamente perfetta, con una tensione costante che aleggia dall'inizio alla fine grazie a uno sviluppo narrativo eccelso, che rende la trama appassionante, così come l'affezione per i destini dei due protagonisti, fino al clamoroso colpo di scena finale che ribalta tutte le carte fin lì messe in tavola. Uno sguardo sulla possibile integrazione di due mondi così diversi, ma con la speranza da entrambe le parti di potersi finalmente riappacificare e metter fine a tutte le sofferenze. Il tutto ambientato in una notte che sembra non avere fine, che permea luoghi e personaggi di un'atmosfera plumbea e cupa, sottolineata dalla colorazione tendente al bluastro e al violaceo.
Varie definizioni si sono sprecate per cercarne di definire il genere d'appartenenza, vista la continua divagazione in territori da soft hentai, ma alla fine il film è facilmente riconducibile al filone hard-boiled, seppur impregnato di violenza ed erotismo.
Ed e proprio quest'ultimo, l'erotismo, ad aver fatto storcere il naso a una buona fetta di pubblico (soprattutto quello giovane, soprattutto quello femminile), tuttavia per me questo non è un difetto, anzi, permeando in modo equilibrato tutto il film, ha contribuito a renderlo di un maturo estremamente adulto.

Checché se ne dica, nel bene e nel male, questa è una pellicola che ha indubbiamente fatto la storia dell'animazione giapponese.

7.0/10
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"Speed Grapher" è una serie anime composta da ventiquattro episodi prodotta dallo Studio Gonzo nel 2005, quando ancora era al top nel suo campo. È una serie abbastanza cruda per tematiche che non solo vengono trattate implicitamente, ma vengono proprio schiaffate in faccia allo spettatore, per farlo disgustare sempre di più sulla condizione attuale della società, che è sempre più attirata dai soldi e dal potere. Non saranno poche le scene in cui si potrebbe distogliere lo sguardo dallo schermo, ed è proprio questo che ha reso questa serie diversa da quelle del tempo, ma, se vogliamo dirla tutta, anche da quelle attuali.

Tutto comincia quando Tatsumi Saiga, un fotografo d'inchiesta, si infiltra dentro un club segreto (il riferimento a "Eyes Wide Shut" è evidente), per catturare alcune immagini e scoprire dove si annida la corruzione del Giappone. Ma è proprio lì che incontra un angelo, la piccola Kagura, che è un elemento estraneo rispetto a tutta quella consunzione, a quel laidume. Proprio per questo motivo, il fotografo cercherà di scoprire chi è, fin quando scopre che, nonostante ricchezza e fama, non è altro che un piccolo uccellino rinchiuso in una gabbia dorata, a cui vuole rendere la libertà. Da questo momento in poi verrà a contatto sempre di più con diverse persone che all'apparenza sono buone, ma in realtà farebbero di tutto per denaro (emblematico è il caso della professoressa di Kagura, che non può non rimanere in mente a causa della sua forza).

I personaggi principali sono caratterizzati benissimo e le loro storie vengono raccontate con dovizia di particolari. Quella che rimane più impressa è decisamente quella dell'antagonista di Saiga, Suitengu, a cui è dedicato un episodio straziante e veramente triste, ma che ci fa capire che non si nasce cattivi, ma ci si diventa. Descritti decisamente peggio sono i personaggi secondari, che a volte assurgono a delle comparse che vengono sconfitte con una mossa dall'eroe di turno, come in un battle shonen.
Il ritmo è decisamente altalenante, si passa da episodi interessanti e ricchi di suspense ad episodi lentissimi e descrittivi (inoltre c'è un recap che, fatto diversamente dal solito, personalmente non digerisco). Ma comunque ci sono dei momenti veramente memorabili come l'incontro di Saiga e Kagura al club o le scene finali.
Il fanservice ovviamente c'è, a volte è funzionale con ciò che si vuole raccontare, ma a volte è totalmente inutile e gratuito.
Dal punto di vista tecnico, non sono rimasto molto soddisfatto. A delle animazioni che a volte sono molto fluide, si contrappongono dei disegni a volte a malapena accennati.
Le OST non sono incisive, ma una menzione va dedicata alla opening, che è una canzone adattata dei Duran Duran che lascia il segno.

In conclusione, consiglio questa serie a chi è desideroso di vedere azione e sangue, ne rimarrà soddisfatto. È tutto molto crudo e può decisamente piacere. L'avvertimento è che è molte volte si potrebbe correre il rischio di annoiarsi, nonostante tutto. È un'opera di denuncia, che apre gli occhi allo spettatore riguardo la società attuale, che è immutabile, a meno che non si muova qualcosa da dentro, ed è qualcosa che possiamo fare solo noi, non rimanendo inerti, ma attivandoci.