“Abbiamo deciso che non c'era un posto migliore della nostra zattera per sentirsi come a casa, dopo tutto. Negli altri posti c'è troppa gente e si soffoca, ma su una zattera no. Ti senti proprio libero e comodo e bene, su una zattera.”

Yurei Deco è un anime di 12 episodi, ultimissima fatica dello studio Science SARU, che vede al suo timone Tomohisa Shimoyama, che ritorna alla regia dopo l’esperienza con Masaaki Yuasa su Super Shiro, e alla sceneggiatura Dai Sato, figura leggendaria che ci ha regalato grandi perle in Ergo Proxy, Cowboy Bebop e La donna chiamata Fujiko Mine, ma ben più grandi e brillanti perle in LISTENERS; la dualità dell’uomo, indubbiamente.

La storia ambientata in Tom Sawyer Island, una città dove i residenti usano uno speciale dispositivo, il DECO (Decoration Customizer), per viaggiare a cavallo tra un mondo fisico fortemente ritoccato da una tecnologia di riproduzione tridimensionale e uno virtuale. Su quest’isola non esiste il denaro, ma esso è sostituito da un sistema di credito sociale numerico chiamato "Love", e in base a esso non viene calcolato solo il reddito degli isolani, ma anche la loro posizione sociale, e questo sistema è la ragione alla base della loro società perlopiù pacifica.

Tuttavia, uno spettro si aggira per Tom Sawyer Island, ZERO, responsabile del cosiddetto “Fenomeno ZERO”, che azzera totalmente le quantità di “amore” di chiunque ne venga colpito. Spinta dalla curiosità di svelare il mistero dietro ZERO, Berry viene coinvolta in un incidente che la porterà a diventare parte di un gruppo di detective composto da esseri invisibili alla società, proprio come lei, degli YUREI!
 
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La società costruita sull’Isola di Tom Sawyer è tecnologicamente avanzata a tal punto da aver canonizzato una vera e propria Utopia a metà tra gli ideali di Thomas Moore e quelli di Mark Zuckerberg: l’uomo è diventato un tutt’uno con il cibernetico, da estensione di noi stessi siamo diventati noi estensioni del mondo iper-avanzato che ci circonda, il capitale è stato abrogato in favore di una forma di pagamento innovativa e non esiste conflitto alcuno. Una rivoluzione totale non della tecnologia, non del vivere, ma dell’essere umano in sé.

Ispirata all’omonimo romanzo di Mark Twain, come da nome, L’isola di Tom Sawyer riprende il capitolo tredicesimo delle avventure del piccolo birbante, in cui Huck, Tom e Joe Harper fondano un mondo immaginario su un isolotto dinanzi al loro paese, creando regole senza senso e allontanando i cattivi pensieri giocando.

 

IL PAVONE, ELEMENTO RICORRENTE NELLA SIMBOLOGIA DELLA SERIE, E ARGO PANOPTES, GIGANTE MITOLOGICO DA CUI PRENDE SPUNTO.


Sembra tutto troppo bello per essere vero… e, infatti, sembra è la parole chiave di questo mondo e la struttura oltre la cortina di sembianze di Yurei Deco vuole abbattere questo velo.

Il DECO è un sistema oftalmico in grado di alterare la realtà, o meglio, è un sistema che dà la possibilità di percepire e dare percezione di sé in un modo diverso rispetto a quello che è realmente; non diversamente dagli avatar o dalle profile picture che accompagnano ognuno di noi nella vita sui social, il DECO offre la possibilità di dare voce alla propria interiorità, dare una forma alle proprie idee e alla propria individualità, ma soprattutto permette di dare una visione di sé per forza di cose falsata rispetto al vero del mondo reale.

Uno strumento premuroso, poiché permette a una persona nata non in accordo con la visione di sé stessa che ha di poter vivere in armonia con il suo essere e la sua libertà, ma allo stesso tempo uno strumento di propaganda molto subdolo, poiché permette di dare un’immagine di sé monocroma, manicheista, quasi macchiettistica, scevra delle sfumature di pregi e difetti che contraddistinguono l’essere umano e che lo rendono, de facto, umano. Il DECO snatura totalmente il concetto di individuo o di persona, chi sfrutta il DECO si destruttura, trascende e assurge a mero simbolo, un ammasso di concetti e idee che si convertono in dati e in una immagine riflettono ciò che si vuole far vedere, ciò che sembra, non ciò che è veramente.

Disinteressati al contatto umano, disinteressati al verismo, abbagliati dalle imitazioni di ciò che è reale, ci affidiamo volontariamente solo a un riflesso deformato e fortemente idealizzato che Klaus Fittscher amerebbe definire Bildspropaganda, ovvero propaganda per immagini, e Jean Baudrillard, invece, sign-value, ovvero un valore basato esclusivamente sul significato e non tanto sulla sostanza, e che noi attuiamo tramite un’alterazione del nostro modo non di tanto di essere, quanto di farci vedere fisicamente. Questa è la potenza che hanno le immagini, questo è il modo in cui facilmente ci facciamo abbindolare dai simulacri, e Yurei Deco ne dà un ritratto vivido nell’assimilazione dell’elemento visivo nel mondo social con “il teatro delle apparenze” e dei costumi che contraddistingue la comunità umana, poiché fondata sul valore non tanto effettivo ma quanto più ostentato di noi stessi, in una chiave quanto più transumanista.

L’immagine che noi ostentiamo è quindi il nostro valore di scambio, o per meglio dire il nostro sign-value, non più persone, nessuna identità interiore, nessun contenuto positivo, solo un’immagine tra le altre che si differenzia per ciò che si possiede.


Ma a che valore corrisponde esattamente il DECO?

Valore sociale e valore economico all’interna di Tom Sawyer Island sono fortemente intrecciati, poiché a un’immagine appetibile di sé stessi corrisponde una buona dose di “LOVE” raccolta sul social della vita.
Seppur sull’isola di Tom Sawyer Island non esista più il capitale, tuttavia, incapaci di rinunciare a questo aspetto fortemente radicato della cultura umana, questo è stato sostituito dall’”amore”, una chiara parodia iperbolizzante dei “mi piace” internettiani.
A questi, tuttavia, oltre a un valore prettamente sociale, come è consuetudine attribuire loro nella nostra realtà, ne viene aggiunto uno direttamente monetario, con cui ogni abitante è in grado di acquistare viveri o gli irrinunciabilissimi beni firmati e all’ultimo grido dettati dalle mode, a loro volta irrinunciabili sull’isola . Quindi no, il capitale de facto non è mai stato veramente abolito, il divario tra ricchi e poveri ancora resiste, ed eccome se resiste nella serie e viene più volte mostrato nella più banale dimostrazione di compra-vendita si possa pensare, ma l’economia ha solo cambiato simbolo e prende le sembianze di un realtà sociale ben più spaventosa: quella del credito sociale.

Lungi sempre e comunque da un attacco diretto al Gigante Rosso, sia mai, la premessa su cui si basa il LOVE, un pastiche di economia e stima sociale, segue pedissequamente e spaventosamente alcuni stilemi del 社会信用体系 (credito sociale):

• Alla base del sistema viene organizzato un algoritmo che segue molto strettamente le vicende dei cittadini;
• In suddetto algoritmo viene inserita una serie di dati personali sugli abitanti;
• L’algoritmo decreta un punteggio in base al comportamento degli individui;

 
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La posizione dominante che i media digitali hanno acquisito nelle più banali e quotidiane sfaccettature di Tom Sawyer Island, insieme con la capacità del DECO di permettere una personalizzazione dell'esperienza comunicativa improntata all’illusione e in un certo qual modo alla prostituzione di sé, unite al ritorno economico in LOVE e notorietà che viene alla persona che più sa vendere l’immagine di sé, hanno fatto non solo in modo di esacerbare il divario tra ceti più abbienti e ceti svantaggiati, oltre a una sempre più labile definizione di privacy personale, ma, altresì, hanno fatto in modo che oltre al denaro i più sfortunati perdessero anche qualcos’altro: la loro umanità…o almeno, in apparenza.

Ebbene, avendo un algoritmo sostituito ogni anfratto di libero arbitrio umano, solo in base all’algoritmo è possibile riconoscere una persona e il principio in base una persona è riconoscibile, e quindi il principio in base al quale la suddetta persona esiste agli occhi della società è appunto quello della valuta/fama, il LOVE. Ma cosa accade quando una persona non ha LOVE o il suo LOVE viene azzerato per strane intromissioni? Beh, quando una persona non ha denaro o non ha visibilità semplicemente è… invisibile…non esiste agli occhi degli uomini quanto dell’algoritmo che tutto vede e governa
In sostanza, una persona senza amore inteso come vile denaro o come stima sociale semplicemente è uno spettro ripudiato dalla società…come da nome dell’opera, uno YUREI; non diversamente, comunque, da come vengono trattati i modernissimi senzatetto dalle masse, proprio perché non conformi al concetto di massa e società.

L’algoritmo, rappresentato dal Pavone che fa da simbolo all’isola e alla serie, guarda caso come brand in entrambi i casi, è l’eminenza grigia che regna sulla società di Tom Sawyer Island.
L’associazione proprio al pavone non è casuale: nella Mitologia greca, da cui il cartone prende a piene mani seppur stavolgendo la storia da cui prende ispirazione in una chiave per di più apologetica che va oltre ogni mia possibile spiegazione, il pavone nacque dopo l’uccisione da parte del dio Hermes di Argo Panoptes, il gigante dai cento occhi in grado di scrutare 24/7 il mondo grazie alla grande quantità di occhi a sua disposizione. Tra l’altro notare il gioco di parole creato dall’assonanza tra Argo (アルゴ) e algoritmo (アルゴリズム).

Il mito è epesegetico dello stratagemma metaforico attuato dalla serie: Tom Sawyer Island è un’immensa gabbia per criceti, osservata in maniera costante e rigida da un gruppo ristretto di persone che guarda tramite lo stesso mondo-social usato da ognuno le azioni di ogni singolo abitante per giudicarne il comportamento e decretarne il destino di conseguenza.
A questo si accompagna il compito di una prepotente forzatura delle fonti d’informazioni in modo da corrompere la verità dei fatti e far prevalere, piuttosto, una fabbricazione, una macchinazione atta a perpetuare l’idea che l’isola così come appare sia corretta e funzionante, senza falle e senza macchie. L’idea di un mondo senza distinzione tra ricchi e poveri, senza discriminazione, senza guerra, senza crimine insomma rimane solo un’idea, una pubblicità, molto lontana da quella che è la realtà oltre il velo trans-umanistico che tenta di mascherare le contraddizioni del progresso, due passi avanti e uno indietro.

Tuttavia, come ho detto poc’anzi, il mito di Argo, ritoccato fino alle midolla, eccetto che nella sua parte iniziale e finale ovvero quella della metamorfosi in pavone, diventa espressione, paradossalmente, di un concetto visto più come un male necessario piuttosto che come un male a prescindere; lo sfumato che si viene a creare quindi tra due concezioni quasi opposte, tra libertà assoluta e sopportazione delle regole, crea uno spunto di riflessione a mio avviso interessante, contrastando da una parte l’anarchia e dall’altra il forte rigorismo con un’umanissima zona grigia di mezzo, che posso assolutamente capire possa dare fastidio a molti vista magari la convivenza di due aspetti agli antipodi in uno stesso gruppo sociale, quantomeno, pur non essendo stato trattato al massimo delle sue potenzialità offre ampiamente uno spunto di riflessione molto accattivante magari anche più di 7 pagine di Word, just saying

 

BERRY CHE CHIUDE L’OCCHIO CONTENENTE IL DECO A FAVORE DELL’OCCHIO CHE VEDE LE COSE COME SONO DAL VERO



Come ogni opera di fantascienza che si rispetti, ciò che Yurei Deco vuole denunciare non è, ovviamente, relegato al solo futuro, ma è un’iperbole del presente che vuole esacerbare gli aspetti più paradossali della nostra epoca: l’antropologia ai tempi dei social, il fenomeno dei senzatetto trattati come fantasmi dalle persone comuni e ignorati, il credito sociale, la censura e anche l’infodemic (questo trattato in un episodio in cui viene detto che i libri non esistono più).

La protagonista, Berry, riesce a oltrepassare le apparenze del mondo virtuale per via un semplice disguido: il DECO impiantato nei suoi occhi funziona solo a metà, ciò significa che, anziché mancare di percezione della profondità, anzi, riesce a vedere più in profondità rispetto al mondo superficiale creato dal DECO, ed è per questo che riesce a vedere ciò che la società rigetta: gli Yurei, e tra questi la ladra di Love Hack, che sfrutta le illusioni del DECO per ingannare il prossimo. A seguito di eventi molto poco felici Berry si aggiungerà alla cricca di dectective Yurei di Hack, di cui fanno parte personaggi eccentrici come Hank, Madame44, Mister Watson, Smiley e Finn.

Hack, Berry e Finn, i tre principali membri della narrazione e dell’allegra combriccola di detective, come si può facilmente evincere sono tre rappresentazioni di Huckleberry Finn, mitico compagno altrettanto monello di Tom Sawyer, protagonista del romanzo seguito di quello dell’amico sempre firmato da Mark Twain che porta il suo nome, Le avventure di Huckleberry Finn.
È emblematica e non si può non far notare la netta dicotomia tra questi personaggi di Yurei Deco e l’isola che li ospita, senza fare riferimento al parallelismo che ricorre tra Huck e Tom proprio nei due principali libri che li vedono rispettivamente protagonisti… con i dovuti spoiler su Tom Sawyer, che comunque chi scrive questa recensione vi consiglia.
Come detto sopra, il setting è un rimando diretto all’isola su cui Tom e Huck cercano di divertirsi il più possibile creando una serie di regole per puro divertissement, netto riferimento al sistema paradossale che governa i cittadini tramite una serie di escamotage atti all’inganno e alla dissimulazione. Alla fine del romanzo che vede protagonista Tom e all’inizio di quello che invece protagonista Huck, i due si sono arricchiti grazie ai servizi dati alla vedova Douglas e al giudice Thatcher, ma con il denaro e la vita d’ozio arrivano anche la noia e un’etichetta assai rigida da rispettare. Mentre Tom si trova a suo agio nella nuova vita di comodità, ad Huck sta stretta la propria camicia e rimpiange la vita di avventure, seppur piena di disagi, che aveva vissuto fino ad allora e, nonostante l’invito del compagno a resistere, Finn non può fare a meno di inseguire il suo desiderio di libertà e perciò si imbarca su una zattera.

Allo stesso modo, in particolare Berry dei tre (Hack e Finn hanno una storia un po’ più complicata che non voglio togliere il piacere di esplorare da voi), annoiata della solita spola tra scuola e famiglia, abbandona la sua vita felice in balia della curiosità nei riguardi del Fenomeno Zero. Si apre quindi un (non troppo) lungo (sono pur sempre 12 episodi) viaggio all’insegna dell’individualità: su un’isola che spinge all’uniformazione e a un rispetto severo del sistema, in una società che spinge alla ricerca del bello oggettivo sotto la minaccia della vergogna pubblica, sotto il velo di finzione che circonda la società umana, i protagonisti scavano nei veri significati di Amore e di umanità.


 




Lungi dal valore economico e dal palliativo di apprezzamento e contatto umano che è il LOVE, il vero Amore è il motore invisibile dietro le vicende e le inchieste dei detective yurei: un sentimento che non può essere calcolato, un sentimento che va oltre la semplice ragione e oltre i sondaggi e soprattutto un sentimento che non può essere rilevato dai dati secondo un algoritmo, bensì, un valore talmente umano che non può essere capito da un freddo calcolo utilitarista, qualcosa che va oltre il semplice piacersi a vista; l’Amore è stare bene con se stessi, l’Amore è stare bene col prossimo, l’Amore è rispetto per ogni cosa organica o meno, l’Amore è passione e dedizione per ciò che si ama, l’Amore non è discriminazione.

Benché la serie abbia una sua molto ben marcata identità ideologica e visiva, specialmente a livello puramente di worldbuilding, trovo che alla base sia profondamente minata a livello narrativo da una sceneggiatura che predilige, piuttosto che una narrazione lineare, una tipologia episodica dove, sì, vengono espressi i canoni principali della serie e della lore del mondo immaginario che ci si para davanti, ma viene fortemente preferita a esse una parte più quotidiana e comica mentre la sceneggiatura spinge non con la dovuta forza sui temi di forza di cui è impregnata a livello concettuale; sempre a livello narrativo, io personalmente trovo che il format da dodici episodi sia stato molto soffocante per questa serie, che si nota avesse molto di più da dire anziché proporre uno sviluppo finale molto affrettato, lasciando indietro praticamente tutta la parte psicologica fondamentale di una delle due protagoniste, che, coadiuvato con la sopracitata indecisione da parte della sceneggiatura riguardo alle parte con più mordente, molto banalmente annoia dopo 3 grandiosi episodi introduttivi, mantenendo sempre e comunque quella struttura semiotico-simbolica che dà sapore a tutta la storia, ma che non soddisfa come dovrebbe.

Da un lato puramente artistico invece devo dire di essere rimasto abbastanza amareggiato nonostante l’egregio lavoro di background art, 3d animation ed editing, da degli storyboard non particolarmente creativi e da un character acting che non ha usufruito al meglio delle sue potenzialità del sommo lavoro del character design, Akira Honma, regalandoci piuttosto scene sicuramente interessanti ma che invece regalano il, comunque decisamente apprezzato, lavoro di stampo prettamente realista di giovani come Yuka Inada, Shuko Enomoto e il mai troppo apprezzato Spike che in molti ricorderanno sicuramente per i suoi lavori in Ranking of Kings


Yuka Inada
 
 
Spike

 
Hiroshi Ishigami
 


 Shuko Enomoto
 
In definitiva, trovo sicuramente Yurei Deco un anime molto interessante sia a livello artistico che prettamente moralistico, che tuttavia pecca probabilmente in una certa fretta produttiva che ha ostacolato il raggiungimento del suo pieno potenziale in quanto a concepte a narrativa, lasciandoci comunque una storia molto apprezzabile in fatto di personaggi e filosofia in senso non particolarmente stretto, che come uno specchio riesce, nonostante gli aloni, a dare con molta precisione un messaggio molto preciso e delle riflessioni non banali, affatto.