Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Titolo scoperto per caso e che mi ha accompagnato nel mio viaggio per Amsterdam, sei episodi all'andata e sette al ritorno, "Lycoris Recoil" devo dire che ha fatto volare (che ridere, eh?) la mia attesa per l'atterraggio.

"Lycoris Recoil" mi presenta questo Giappone che vive in uno stato di "finta pace", all'interno di un mondo in cui pare sia diventato di moda il terrorismo, ma il Sol Levante "sopravvive" almeno apparentemente grazie alle Lycoris, nientepopodimeno che ragazzette in divisa scolastica raccattate per strada e trasformate in macchine di morte e distruzione (originale, eh?). C'è anche la versione maschile, ma non ha senso che compaia su schermo per ovvi motivi, le ragazze sono carine, quindi, se uccidono malissimo qualcuno, fanno tenerezza come i gattini che si impicciano con il gomitolo, i maschietti no.

La nostra protagonista, tale Chisato, sempre in nome dell'immensa originalità di questo titolo, non ama uccidere, è 'fortissimissimissima', spara proiettili di gomma e schiva quelli di piombo manco fossero ciabattate della nonna, ha un passato oscuro e, fondamentale ai fini della storia, è carina da cariare i denti.
A scuotere la dolce vita della dolce Chisato è l'altrettanto dolce - ma anche no, va' - Takina, che arriva all'improvviso e sconquassa le cose. Ah, precisiamo che lei uccide più che volentieri.
Insomma, queste due si trovano all'improvviso a sparare alla gente insieme allegre e felici. E a noi piace così.

Tale premessa risulta sufficiente per capire che "Lycoris Recoil" ha sicuramente qualcosa da offrire, ma nulla da rendersi memorabile.

Facilissimo però per me descrivere gli evidenti problemi, e ripetitivi aggiungerei - perché son sempre gli stessi - e il motivo per cui son sempre quelli è ovviamente che al loro pubblico piace così, quei problemi non esistono per loro. Ed è parzialmente un peccato, perché, come per altri titoli, come per esempio "The Aquatope on White Sand", basterebbe davvero poco per lasciare un segno netto nei cuori di chi guarda, e non solo negli occhi coi sorrisini di Chisato.

La storia parte bene, incalzante e coinvolgente, con Chisato e Takina che - che cosa vuoi dir loro? - sono bellissime e insieme formano un duetto 'pistolettoso' di tutto rispetto. Crescono insieme, si aiutano a vicenda, si vogliono bene tra loro e se ne fanno volere da noi.
Poi però, come spesso accade per le storie originali, qualcosa si spezza, la storia si ingarbuglia e perde un po' l'orizzonte su che cosa voglia davvero raccontare, perché non lo sa bene nemmeno lei.

Quel che rimane è il bellissimo duo, una storia di una caccia ai propri demoni che nel bene e nel male c'è e si lascia raccontare, e tanti, tanti colpi di pistola e i sorrisi di Chisato (momenti migliori della serie).

Come al solito, il buono c'è, coinvolge, è gradevole, si fa guardare volentieri, intrattiene ecc. Eppure si sente, sempre come al solito, la mancanza di qualcosa, qualcosa che, se ci fosse, renderebbe sicuramente una migliore giustizia a personaggi così ben spesi sul piatto della bilancia come Chisato e Takina.

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«Cyberpunk: Edgerunners» è un anime, a cura dello studio d’animazione Trigger, capace di meravigliare e immergere lo spettatore in un mondo lontano e vicino al tempo stesso. Storia originale, per quanto prenda spunti dal videogioco Cyberpunk 2077 uscito a fatica nel 2020, ben costruita in soli dieci episodi di notevole impatto.

“Tutto quello che faccio lo faccio per te, non lo capisci?””
David Martinez vive in un ambiente sbagliato, conducendo la sua vita scolastica in una scuola prestigiosa controvoglia, solo per volere di sua madre. Per quanti sacrifici la donna possa fare per il figlio lui vorrebbe altro. Vorrebbe aiutare, vorrebbe lavorare, di certo non vorrebbe quello che gli accadrà a breve. Ha altri sogni, solo che non ha mai avuto il permesso di sognare.

In questo mondo si vive di aggiornamenti e freeware quasi come gli esseri umani fossero dei semplici computer e a peggiorare il tutto i potenziamenti quasi a distruggere completamente il corpo umano. Possibile critica a un futuro a cui stiamo andando incontro, in questa realtà sembra non si dia troppa importanza alle conseguenze spesso nefaste; la pericolosa cyberpsicosi, che con la manifestazione dei suoi sintomi può portare alla morte del oggetto.

“Più che un paradiso mi dà l'idea di una prigione”
Il suo nuovo stile di vita lo conduce dalla pericolosa Lucy, una criminale da cui bisognerebbe stare alla larga, ma lui non riesce a stare lontano dal pericolo, convinto di non avere un futuro e di non avere alternative, si trova costretto a diventare adulto all’improvviso, a dover scegliere per la sua vita, ma dovrà affrontare il suo essere solo un ragazzo immaturo.

Da notare quanto la morte viene vista come un qualcosa di freddo e improvviso a cui quasi non si crede, in questo mondo violento capita di venire uccisi e spesso non si cerca la vendetta, solo di elucubrare il lutto, la perdita.

Il finale, molto emozionante e poetico, risulta in linea con le premesse. Si evidenzia negli ultimi minuti della serie la presenza di un personaggio già noto in altri media per la felicità degli appassionati della serie di videogiochi.

Oltre a Lucy, uno dei personaggi più interessanti e completi della serie nel suo essere femminile, tra quelli secondari la presenza di Rebecca ha suscitato clamore per via degli scontri tra lo studio d’animazione e la CD Projekt Red per il suo aspetto fisico, ma la ragazza saprà imporsi nei gusti dello spettatore per altro. Oltre a lei si ricorda la misteriosa Kiwi. In generale i personaggi femminili risultano costruiti con maggior perizia rispetto a quelli maschili spesso non caratterizzati come si poteva.

Le animazioni sono particolari, curate dallo studio Trigger (fra le tante opere curate da loro si ricordano Kill la Kill, Promare , BNA: Brand New Animal) si riconoscono facilmente, quasi confusionarie potrebbero non risultare gradevoli come piacere molto, dipendendo strettamente dai gusti personali. L'azione, frenetica e comprensibile dei primi episodi, diventa più caotica con il tempo. Molte scene violente e alcune sessualmente esplicite rendono la visione consigliata a un pubblico maturo.

"Forgive me for letting you down. Forgive me for letting you down again. Guess I’m not strong enough right now"

Le musiche sono affidate a Akira Yamaoka. L'opening "This Fire" di Franz Ferdinand è molto orecchiabile, mentre poetica risulta la ending "Let You Down" di Dawid Podsiadło. Tutta la colonna sonora sarebbe da segnalare limitandomi in questa occasione all'interessante “who is ready for tomorrow”.

Lato doppiaggio fa un ottimo lavoro Alessandro Pili (Kenma Kozume in "Haikyuu") su David e Francesca Bielli (Kei Kishimoto in "Gantz") su Lucy. Le voci originali sono tutte perfettamente adatte al ruolo che interpretano, da sottolineare il cameo di Kenjiro Tsuda su Doc.

Consigliato ai fan dello studio Trigger e a chi, restando ammaliati dalla particolare grafica, cercano una storia d'azione frenetica.

8.0/10
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“Harmony” (2008) è il secondo romanzo della trilogia di Project Itoh (vero nome: Satoshi Ito, deceduto nel 2009) dopo “l’Organo Genocida” (2007) e prima del postumo “L’impero dei cadaveri” (2012), ma a livello di trasposizione animata è stato il primo ad essere proiettato (2015), seguito dal “L’impero dei cadaveri” (2015) e “L’organo genocida” (2017). Il trittico degli anime è stato importato in Italia nel 2020.

L’anime, che a quanto letto sembra essere la trasposizione piuttosto fedele della novel, a mio avviso conferma la spiccata attitudine dello scrittore nella realizzazione di romanzi ambientati in scenari futuristici affrontando temi e argomenti non banali e di grande attualità, vista l’evoluzione scientifica nel campo delle tecnologie applicate alla vita umana e in generale alla società... con i suoi “lati oscuri”. Come ne “L’organo genocida”, i protagonisti sembrano essere quel misterioso organo del corpo umano che è il nostro cervello e tutte le forme che l’essere umano scopre o escogita per trovare una forma di controllo per reprimere o scatenare reazioni anche su larga scala “a comando”. Su questo aspetto sembra che l’autore abbia una vera e propria ossessione per i possibili scenari futuribili sulle forme di controllo che l’uomo potrebbe adottare e le conseguenze e distorsioni che si potrebbero determinare. In fondo in fondo sembra che il messaggio che Project Itoh voglia trasmettere al lettore/spettatore sembra lo stesso di “L’organo genocida”: “L’inferno si trova qui, dentro la testa” (citazione di un dialogo tra Clavis Sheperd e un compagno militare nel film).

Il pericolo per la stabilità e la felicità umana è dentro l’indole stessa del genere umano e a nulla servono eventuali spiegazioni della realtà tramite concezioni di natura “fideistica”: le risposte alle cause delle sofferenze del genere umano si trovano proprio in noi e più il genere umano avanza nel progresso tecnologico, più rende simile l’uomo ad un’entità astratta che si avvicina ad una realtà “divina” mantenendo, tuttavia tutti i difetti e i limiti della limitata natura umana. Il libro della Genesi, nella descrizione del peccato originale, credo che riassuma in modo magistrale il concetto della disgrazia in cui verserebbe l’uomo quando tende ad avvicinarsi al delirio di onnipotenza. e “Harmony” in un certo senso sembra trasmetterci lo stesso monito.
Tuttavia, se nel primo romanzo, tra l’altro ambientato in un quasi presente molto realistico e con molti riferimenti storici alla nostra epoca, si prendeva in considerazione solo un particolare aspetto del cervello umano per poi passare ad una riflessione a tutto campo sulla nostra società e sui contrasti e contraddizioni che la permeano, “Harmony” a mio avviso sposta “l’asticella più in alto” sia dal punto di vista sia tecnologico, sia soprattutto “ontologico", inserendo anche la potenziale relazione d’amore tra le protagoniste per rendere la trama non troppo astratto/filosofica attesa l’ambientazione in un futuro che almeno ad oggi sembra essere ancora abbastanza lontano.

L’utopia del totale benessere sociale e il sacrificio del libero arbitrio

Il contesto di partenza è un mondo post apocalisse nucleare (definita qui "Maelstrom") in cui le nazioni più avanzate hanno aderito a un programma che esercita un controllo capillare di ogni individuo attraverso un dispositivo che viene impiantato sottopelle in ogni componente della società: il Watchme. Tale tecnologia non è di tutta l’umanità, ma solo delle nazioni più avanzate e ha il beneficio di esercitare un controllo continuo della esistenza delle persone con il vantaggio di prevenire, debellare malattie e problemi perché rilevati o previsti in anticipo, con il beneficio sociale che anche le guerre e i litigi tra le persone si riducono a zero perché tutti vivono in una sorta di ambiente confortevole e senza imprevisti che non li costringe a fare del male al prossimo.
Insomma: una sorta di mondo idilliaco nato per salvaguardare il genere umano da eventuali negatività future che si risolvono in una sorta di “dittatura sanitaria”. E non è un caso che la protagonista Tuan Kirie sia un alto ispettore della W.H.O. (ritengo acronimo di World Health Organization) che nel film è dotata di un proprio esercito dislocato per eseguire quei compiti di polizia nelle aree non sottoposte al Watchme.

Il parallelismo con un altro anime del genere (alludo a "Psyco-Pass") è abbastanza facile: in quel caso si potrebbe definire il sistema come una “dittatura di polizia” e contro quel sistema si pone l’antagonista Shōgo Makishima che vuole dimostrare l’assurdità e la fallacia del sistema messo in piedi dall’uomo con la conseguente negazione del libero arbitrio umano, da intendersi come capacità di libera determinazione dell’uomo nelle sue azioni e pensieri secondo la propria individuale coscienza, che con lo "Psyco-pass" era rimessa ad una sorta di macchina. In “Harmony” il meccanismo è più sottile e infido: il sistema non reprime in modo anche violento come in "Psyco-pass" ma fa in modo che l’uomo non sia messo nelle condizioni di scegliere prevenendo ogni sua necessità e compiendo la scelta per lui. Pertanto, l’unico modo per manifestare il proprio ego consiste nel non accettare di essere “coccolati” dal sistema arrivando come extrema ratio anche alla morte tramite suicidio.

Le “prota-(anta)-goniste” del film e il programma “Harmony”

In “Harmony” le due reali protagoniste del film di animazione sono da un lato Tuan Kirie e dall’altro Miach Mihie, compagne di scuola alle superiori e legate da un rapporto che, almeno per Tuan è di amore. In una serie di flashback risalenti al periodo delle scuole superiori lo spettatore intuisce il perché dell’avversione di Tuan al “mondo perfetto”. Scopriamo che Miach, ai tempi delle scuole superiori, come una specie di “santona” fa proselitismo della teoria della ribellione al sistema istillando in modo sempre meno ambiguo in Tuan e Cian Reikado (altra compagna delle superiori che passa come una meteora nel film, giusto per portare a termine il “programma” di Miach) l’idea che l’unico modo per non vivere la dittatura sanitaria sia quello di interrompere la loro esistenza tramite il suicidio.
Miach risulta un personaggio molto ambiguo, persuasivo, manipolatore e sfuggente. I dialoghi, o meglio monologhi, in cui spiega la sua “weltanschauung” alle due amiche sono subdoli e, perlomeno con Tuan, fanno anche leva sulla sua avvenenza e sui sentimenti che Tuan prova per lei. Il destino si compie per le tre ragazze, ma mentre Tuan e Cian (soprav)vivono, di Miach si perdono le tracce...
Tuan nel presente è scappata dal paradiso del Giappone e opera in Africa in territori in cui il Watchme non esiste: non essendo riuscita ad accettare il compromesso di vivere nel mondo perfetto, opera in ambienti in cui dovrebbe far valere la legge della WHO ma contravvenendo alle prescrizioni contrabbandando cibi e liquori che sarebbero vietati. Scoperta dalla superiore è costretta a ritornare in Giappone per punizione, ma si ritrova subito invischiata nella pletora di suicidi che colpisce la popolazione delle nazioni che vivono sotto la “cappa” del Watchme, tra cui quello dell’amica Cian che in modo molto scenografico lo esegue proprio in sua presenza appena tornata dalla missione.
Da questo evento Tuan, infastidita nell’essersi di nuovi ritrovata nuovamente nell’eden da cui era in perenne fuga, coglie l’occasione sia per fare i conti con il suo passato (tra cui recuperare notizie del padre che era fuggito anni or sono e aveva fatto perdere le sue tracce) sia per comprendere l’essenza del programma Watchme e la sua lucida e folle “estetica del benessere”.

Per non creare spoiler della parte rilevante della storia, posso solo anticipare che Tuan scoprirà il programma “Harmony”. Tale programma sarebbe l’extrema ratio per evitare l’escalation dei suicidi innestata anche da un sedicente gruppo terroristico mondiale, che opererebbe attraverso l’inibizione della coscienza del male delle persone in modo che queste non possano realizzare i loro istinti autolesionistici. Ma " sembra avere degli effetti secondari non controllabili: una nuova volontà verrebbe implementata negli esseri umani, portando ad uno scavalcamento di coscienza verso un controllo non solo del corpo, ma anche della psiche umana. L’amara scoperta di Tuan è anche quella che nella WHO ad alti livelli c’è un gruppo di funzionari che a loro volta erano i depositari della verità a riguardo avendo il potere di attivare o meno tale programma. E di Miach, che si credeva morta suicidata, si apprende che sia viva e rientrata nella sua terra natia, la Cecenia. Tuan decide di andare fino in fondo alla “radice del male” e al “redde rationem” finale con lei... anche se poi nella miglior tradizione nipponica il finale “non conclude” nel senso pirandelliano di “Uno, nessuno e centomila”...

Il vizio della presunzione di "Harmony"

Il film è di certo un’allegoria della nostra società, ma più in generale dell'eterna lotta dell'uomo tra il "bene" e il “male” nell’esistenza umana. Ma a differenza di un film di culto come "Blade Runner" dove l’allegoria sta nel parallelismo replicanti=uomo e uomo=Dio/Creatore e nella ricerca dell’immortalità da parte dell’uomo fino alla extrema ratio di distruggere/rinnegare il proprio creatore per affermare il proprio bisogno di “vivere di più o per sempre”, in "Harmony" resta tutto un po’ nel vago nel solito stile metaforico degli scrittori giapponesi. Il finale in cui Miach spiega le “ragioni” delle sue scelte riguardo la sua avversione al sistema conferma ancor di più che l’illusione che l’uomo possa essere “faber fortunae suae” tentando di avvicinarsi al Creatore per rendere la propria esistenza il c.d. “mondo perfetto”, sia una chimera proprio a causa dei limiti intrinseci della natura umana.
La reazione di Tuan, al pari delle motivazioni di Miach all’istigazione al suicidio come forma di affermazione della coscienza, è quanto di più umano ci possa essere: l’amarezza di una persona delusa dall’amore non corrisposto della sua vita e dall’altro l’atroce sofferenza patita da Miach.

Se il messaggio che Project Itoh voleva trasferirci è quello del libro della Genesi ossia l’uomo, nonostante tutti i progressi tecnologici, non potrà mai essere il suo creatore a causa dei suoi “limiti”, lo fa a mio avviso con un epilogo ad effetto un po’ troppo “scontato” e molto, troppo, “umano” legandolo alla passione e al dolore, due emozioni umane che hanno ben poco di “protesta” verso la “società perfetta” e la negazione della coscienza umana.

Il film inoltre presenta anche dialoghi in apparenza poco significativi ed eccessivamente “verbosi” o “prolissi” che richiedono una certa attenzione per coglierne le sfumature. Per noi “occidentali” non fanno che rendere la trama e il suo ritmo oltremodo dilatati e troppo “meditativi”.

Apprezzabili l’immagine generale e gli sfondi del “mondo perfetto” a tinte prevalenti sul bianco e rosa (colori tenui che dovrebbero trasmettere il senso di pace e tranquillità) che, assieme alle espressioni “ebeti” degli abitanti della società del benessere trasmettono allo spettatore quel senso di disagio e inquietudine che un tipo di esistenza del genere a lungo andare potrebbe generare in coloro che la vivono. Ho apprezzato meno il chara desing: i volti, le espressioni e i dettagli sono troppo semplici e ben lontani dalle produzioni contemporanee all’uscita del film tipo "Your Name" o "Violet Evergarden".

A conti fatti il film merita la visione, ma siamo un po’ lontani dai capolavori del genere e soprattutto da un film che almeno 40 anni prima aveva “sfiorato” il tema del “mondo perfetto” attraverso l’estetica della violenza e il suo potenziale rimedio: “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, il cui messaggio è mirabilmente riassunto in una frase rilasciata proprio dal grande regista.

“L'uomo deve poter scegliere tra bene e male, anche se sceglie il male. Se gli viene tolta questa scelta egli non è più un uomo, ma un'arancia meccanica”.