Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Il potere della parola, oltre ad essere il titolo di un celebre film, interpretato dal grande Denzel Washington, è un tema, se così lo si vuol chiamare, su cui mi ritrovo spesso a riflettere, certamente influenzato, in questo, dagli studi che ho intrapreso. Dopo un’attenta riflessione, come altri avranno certamente teorizzato prima di me, sono giunto alla conclusione che con le parole è possibile fare veramente di tutto: risolvere problemi, comunicare notizie, esternare i propri sentimenti ed emozioni, lenire le sofferenze di un amico o un familiare, consegnare ai posteri le memorie del passato e tantissime altre cose impossibili da elencare qui ed ora. Proprio per questo motivo, è necessario, dunque, scegliere con cura le parole da utilizzare, sempre, perché possono rappresentare un’arma a doppio taglio. Se poste nel modo sbagliato, sono in grado di aprire ferite difficili da rimarginare, se ben soppesate, invece, riescono a fare “miracoli”. Questo, è il caso delle parole che pervadono le lettere di Violet Evergarden, la protagonista della storia raccontata magistralmente dalla serie TV del 2018, conclusasi con il film uscito in tutte le sale nel 2020.

Dopo quattro anni di conflitti ininterrotti tra le regioni Nord e Sud del continente di Telesis, si giunge finalmente a un accordo di pace. Violet Evergarden, una ragazza che, finora, ha vissuto un'esistenza unicamente votata alla guerra, come soldato dell'esercito agli ordini del maggiore Gilbert, deve allora reinventarsi daccapo. Viene, dunque, adottata dalla famiglia Evergarden e assunta in un’azienda di scrittura. Inizialmente, Violet svolge la mansione di postina. Ben presto, però, rimane affascinata da un altro ruolo, svolto sempre all’interno dell'ufficio, quello delle bambole di scrittura automatica, il cui scopo è scrivere lettere per coloro che, chi per un motivo, chi per un altro, non sanno né leggere né scrivere. Così Violet inizia un duro apprendistato, nel tentativo di lasciarsi alle spalle la fredda vita militare e riuscire a comprendere il reale significato delle ultime parole lasciatele in dono dal maggiore Gilbert, scomparso al termine della guerra: “Ti amo”. La serie segue da vicino la crescita personale di Violet, destinata a giungere a compimento nel qui citato film, incentrato sulla ricerca da parte dell’ormai famosissima bambola di scrittura automatica del maggiore Gilbert, di cui sembrano essersi finalmente ritrovate le tracce.

“Violet Evergarden Film” rappresenta il modo perfetto per concludere una storia travolgente ed emozionante come quella di Violet. A tal proposito, mi è sembrata doverosa la menzione d’onore per la serie TV, che ha gettato le basi per quello che, poi, è stato il capolavoro del 2020. D’altronde, lo sanno tutti, anche chi non è architetto o ingegnere, che senza basi solide è impossibile costruire un palazzo resistente. “Violet Evergarden” si propone come anime di formazione, che racconta una storia neanche troppo innovativa, ma lo fa con tatto e dolcezza, riuscendo sempre nell’intento di toccare le corde giuste. Quello di Violet è un mondo vastissimo, in cui la protagonista è soltanto il centro di un labirinto intricatissimo, fatto di persone e storie degne di essere raccontate, come quella di Ulysse. Un giovane ragazzino affetto da una malattia inguaribile, che contatta Violet, per farle scrivere alcune ultime lettere testamentarie, da lasciare in dono ai propri genitori e al piccolo fratellino. Mai come in questo caso, il potere della parola erompe con violenza all’interno del film. La componente emotiva è pregnante e, in alcuni momenti, sarà impossibile trattenere le lacrime. Il climax finale arriva così come te lo eri immaginato e lo fa con una scena iconica, tirata forse troppo per le lunghe, ma dall’altissimo impatto emotivo. Per questa ragione, sono in disaccordo con chi ritiene che il film voglia strappare le lacrime a tutti i costi. La storia è bella perché è vera, come vere e autentiche sono le emozioni che riesce a farti provare, semplicemente uniche. Quella ragazzina inadatta a vivere in un mondo senza guerra è finalmente cresciuta, ha imparato il significato delle parole "Ti amo" e noi con lei. Il coinvolgimento è totale e la storia di Violet, a cui impari ad affezionarti a poco a poco, diventa la tua. Ed è così che il film finisce, senza neanche rendertene conto. Mai avrei creduto che due ore e venti minuti potessero passare così in fretta. “Violet Evergarden Film” è lungo, ma mai noioso; drammatico, toccante e profondo, eppure per nulla forzato. Il film di “Violet Evergarden” è tutto quello che dovrebbero essere oggi i film d’animazione nel mondo. Graficamente è una perla, una gioia per gli occhi. Le animazioni sono al massimo della loro fluidità, curate fin nei minimi dettagli. L’uso dei colori è sapientissimo e la scelta delle musiche è perfetta. Onestamente parlando, non credo che a un film si possa chiedere più di questo. Perfetto sotto ogni punto di vista, dalla storia alle animazioni.

A questo punto, però, mi piacerebbe concludere in modo diverso dal solito, magari con una lettera, simile a una delle tante scritte da Violet, tanto si è capito che il film mi è piaciuto.

"Cara Violet,

È stato un viaggio neanche troppo lungo e, forse, proprio per questo, incredibilmente emozionante. Ancor più delle vicende raccontate nelle tue lettere e della tua storia, fatta di riscatto e speranza, quella che ti ha riportato dal maggiore Gilbert, mi hanno toccato le tue parole e il potere condensato in ognuna di esse. Con le parole hai emozionato ancor più che con le azioni e hai insegnato a un semplice studente universitario l’importanza che esse hanno nel quotidiano e l’uso corretto che se ne può fare, per consolare un amico dopo una brutta delusione o elogiarlo dopo un traguardo raggiunto. Grazie perché mi hai insegnato che dove non arrivano i fatti, possono le parole.

Con affetto,

Felpato12."

"Se è vostro desiderio, verrei dovunque mi richiedeste, sono una bambola di scrittura automatica, Violet Evergarden, agli ordini."

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Non mi soffermerò sulle generalità del film, accessibili semplicemente consultando la scheda in primo piano, e passerò subito a una riflessione quanto più esauriente possibile delle tematiche dell'opera, chiudendo con le dovute considerazioni sull'apparato tecnico.
Ebbene, di cosa parla "Maquia: When the Promised Flower Blooms"?
A primo impatto tutto sembrerebbe riportare a una storia che tratta, come base portante, il tema della maternità e si concentra sullo sviluppo dei legami affettivi messi a dura prova dall'incedere del tempo. Questa prima semplificazione di per sé non sarebbe neanche sbagliata, tuttavia il mio intento è rivolto a provare a capovolgere questa preliminare visione d'insieme: e se fosse il tempo, o meglio, la necessità di doversi inserire e saperci stare nel tempo, fare in modo da non farsi schiacciare da esso, il tema portante della narrazione, mentre la maternità non risulti essere nient'altro che il miglior pretesto possibile per mettere in mostra il tempo come improvvisa provocazione esistenziale?
Così facendo, il paradigma di riferimento con cui decodificare l'opera si sposterebbe sul rapporto reciproco tempo-eternità.

Gli abitanti di Iorph, conosciuti anche come la "Stirpe delle separazioni", vengono subito presentati alla stregua di una "razza" purosangue e incontaminata da interferenze esterne, tutti estremamente simili tra loro (se non proprio uguali), vestiti di candidi e bianchissimi abiti che richiamano vesti sacerdotali (da antiche vestali per le donne), caratterizzati da una carnagione molto pallida e capelli di un biondo tenue che sembra scivolare anch'esso nel bianco da un momento all'altro. Vivono isolati, come in una bolla, in una sorta di eden richiamante i primordi e i fasti di una passata età dell'oro, architettonicamente composta da un imponente edificio di pietra circondato da abbozzi di rovine a filo d'acqua.
Lo spessore "fisico" del suo popolo, come viventi sempiterni, viene messo in risalto dalle loro abitazioni, grandi quel che basta per permettere loro di muoversi in posizione eretta in contrasto non tanto con l'edificio principale della loro terra quanto con il resto delle strutture architettoniche del mondo di fuori, dove anche una locanda può contenere oltre un centinaio di persone, ad evidenziare quanto possa essere caduca, effimera e poco ingombrante l'esistenza di un qualsiasi altro essere umano.

Tornando al popolo di Iorph, il principio d'identità, tipico del concetto di eternità, si impone in maniera schiacciante. Ciò che perdura nel tempo non cambia e si mantiene sempre identico a sé stesso. Essere un appartenente della Stirpe delle separazioni non è una questione di appartenenza a una terra o a una cultura, è uno status in sé e massima alterità da ogni altra caratterizzazione di un semplice uomo "mortale".

Il capovolgimento di paradigma, in questo caso di mezzo-scopo, riguarda anche la loro principale attività di tessitura dei cosiddetti Hibiol. Il fine non è quello di tessere la storia dell'umanità, come se fosse una vocazione a un compito collaterale della specie umana (tutta) che essi solo ormai possono assolvere a mo' di divisione del lavoro, ma il tessere esso stesso Hibiol è il solo modo rimasto che ha la Stirpe delle separazioni di autodeterminarsi (e, come afferma Maquia all'inizio del film: "di continuare vivere in maniera risoluta") e restare ancorata alla propria esistenza, senza annichilirsi in una vuota eternità. Soltanto in virtù della loro lunghissima esistenza ne è derivato (ed è stato possibile) tessere il telo della storia umana. Quest'unica possibilità di autodeterminazione è alla base della tessitura degli Hibiol, bianchi e candidi come ciò che non muta, immacolati e senza sfumature di colore, come tutto ciò che non conosce cambiamenti o avvicendamenti di alcun tipo, cosa che accade nella tridimensionalità del tempo che scorre. La loro auto-ghettizzazione li ha preservati dal continuare a vivere termini di paragone differenti dalla loro percezione del tempo. Troppo sarebbe il divario emotivo da sopportare tra il loro vissuto, ampiamente dilatato nei secoli, e il vissuto delle persone di fuori, ristretto in una manciata di decenni.

Il senso di solitudine strisciante che pervade il clan nella sua interezza è alla base della sua alienazione e conseguente escapismo nell'attività di tessitura degli Hibiol. Questo aspetto in particolare si rispecchia nella protagonista Maquia, orfana di entrambi i genitori e cresciuta dall'anziano saggio della comunità. Il desiderio di sfuggire alla solitudine della sua esistenza senza tempo, complice un sentimento di leggera e innocente gelosia per la relazione dei suoi due migliori amici Krim e Leilia, le impediscono quotidianamente di dire "Sayonara" senza avvertire un moto di sofferenza e quasi di rimpianto ogni volta che saluta i suoi amici al calar della sera, come se quel "A presto" per il giorno successivo fosse in realtà un addio definitivo.

Lo sviluppo degli avvenimenti di certo avviene per cause di forza maggiore e per inferenze esterne, ma possiamo notare come il motore primo dello scorrere del tempo si attivi attraverso il punto di vista di Maquia. La nostra protagonista principale ovviamente non è un deus ex machina (anche lei è vittima degli eventi come tutti gli altri personaggi), d'altro canto è possibile intuire come sia la presa di consapevolezza di Maquia del tempo vissuto (in contrapposizione alla vuota eternità del suo senso di solitudine) a "mettere in moto gli eventi". In altre parole il tempo inizia a scorrere quando si palesa una scucitura nel tessuto notoriamente infinito e apparentemente perfetto degli Hibiol.

La scena in questione è quella quasi iniziale dell'incontro notturno tra Krim e Leilia nel campo fiorito, incontro al quale Maquia assiste dopo aver seguito di nascosto Krim. Resasi conto dei sentimenti che i due amanti provano l'uno per l'altra, Maquia si lascia sfuggire una lacrima che cade su di un fiore, esclamando: "È sbocciato!" Non più il vago e indistinto desiderio di sfuggire alla solitudine, ma il desiderio di amare, come unico modo di sentirsi vivi, accende la miccia del tempo. Il motore primo è l'amore che sboccia, è il palesarsi e disvelarsi, all'autocoscienza di Maquia, di qualcosa di tangibile. Proprio in quel momento (sarà un caso?) la quiete di quella eternità viene frantumata dall'arrivo del tempo dall'esterno. Tempo che differenzia inoltre i destini dei tre protagonisti, i quali smettono di essere e di vivere come se fossero una cosa sola e la stessa cosa fra di loro. Il tempo divide i loro Hibiol, la loro via all'autodeterminazione di sé, conferendo loro sfumature diverse.

Il destino di Maquia e il suo rapporto con Ariel è molto approfondito durante tutto il film e non credo necessiti di ulteriori introduzioni. Il mio intento, in questa recensione, era di inquadrare i concetti chiave a base della trama e i suoi presupposti narrativi per una introduzione più cosciente alla visione del film.

E dunque: di cosa parla "Maquia"? Offre un monito e lancia un messaggio. La sofferenza della solitudine di creature che, con la loro esistenza, arrivano ad abbracciare secoli di storia, non si attenua evitando di dire "Sayonara" alle persone care che si possono incontrare al di fuori della cerchia del proprio clan e isolandosi nell'alienazione della propria eternità, ma vivendo nel tempo dei "mortali" i propri sentimenti per le persone amate e sempre nel tempo avere la forza d'animo di poterle salutare, senza rimpiangere la diversa longevità, e portare comunque i ricordi di quei momenti sempre con sé, compagni di viaggio e imperituri.
I sentimenti provati e soprattutto ricambiati che ci fanno sentire vivi, anche soltanto per un breve lasso di tempo, sono la nostra più concreta e reale autodeterminazione, perché quest'ultima non è autoreferenziale, ma ci viene riconosciuta da chi ci ama e, quando gli altri non ci saranno più, continueranno a vivere dentro di noi, tessendoci ancora e ancora. Così la memoria delle persone alle quali abbiamo saputo dire "Sayonara" senza rimpianti (pur essendo l'ultima volta) passa dall'essere memoria di un pezzo di stoffa ad essere memoria vivente, memoria del cuore, sempre intenta a tessere chi la tramanda.

L'apparato tecnico, a mio avviso, presenta elevati punti di forza quali l'evidente ricchezza di dettagli e fantasmagoria dei fondali, rappresentazioni di un mondo estasiante da vedere, una straordinaria fotografia con colori molto accesi, sfavillanti anche nelle parti più buie. Un ventaglio cromatico di infinita ricchezza.
Le musiche puntellano efficacemente la storia e fanno la loro bella figura nelle scene di maggior pathos, valorizzandole e rendendole emozionanti al punto giusto. Il charachter design, molto abbozzato e minimale, la dice lunga sulla scelta di campo dei produttori di puntare tutto sull'impatto visivo dei paesaggi e sullo stimolo dato dalle suggestioni cromatiche. Ciononostante, le espressioni facciali dei personaggi sono molto accurate e suggeriscono più di mille dialoghi.
Prima di passare ai punti deboli dell'opera, credo sia ragionevole sorvolare sulla sceneggiatura, cucita in maniera sufficiente a fare il proprio lavoro. Le scene chiave sono rese in maniera esauriente e gli eccessivi salti temporali non tolgono nulla alla comprensione del senso dell'opera. Di certo non era tenuta ad essere, per principio, un punto di forza.
Discorso che non si può fare sulle animazioni. Nel complesso si mantengono su un buon livello ma, quando viene usata la CGI, si nota e pesa un po' sulla scorrevolezza delle animazioni.
La cosa che più mi ha deluso, ad una visione più attenta, è la regia abbastanza appiattita sulle inquadrature dei visi, senza offrire significative e alternative inquadrature di campo. Unica nota di merito, la breve scena in piano sequenza di Maquia inseguita da Renato all'interno dell'edificio di Iorph, all'inizio del film.

In conclusione: che questo film abbia dei difetti è innegabile; d'altro canto, la morale alla base del film, non banale e di una certa caratura, una pregevole cura dei dettagli dei paesaggi e degli interni, un'offerta cromatica di prim'ordine con un'eccellente fotografia, e il comparto musicale dignitoso ed efficace, innalzano parecchio il voto dell'opera e, non volendo essere troppo fiscali, direi che forse ad un buon voto ci possiamo arrivare.
Valutazione. 8

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Una mano misteriosa lascia cadere sulla Terra (ma sarà la "nostra" Terra?) un oggetto capace di assumere forme diverse e progressive, anche biologiche, ma impossibilitato a morire. Questa la premessa che viene spiegata nei primissimi istanti della serie e anche all'abbrivio di molti degli episodi.
La storia si focalizzerà principalmente sullo sviluppo della coscienza, dell'intelligenza e della morale di questa entità, attraverso una saga generazionale, mostrandoci dunque anche lo sviluppo di una società primordiale a una più evoluta e i sussulti che questo comporterà.

Tratto da una (lunga) serie di romanzi, questa scaturigine è sia la forza che la principale debolezza di questa animazione.
Se è possibile leggere i vari romanzi in modo a sé stante, ciascuno focalizzato su una incarnazione di questa entità o su un periodo della civiltà che la ospita, come serie TV l'episodio precedente lega abbastanza male col successivo. Per quanto ci si provi, è davvero difficile (io non l'ho mai veduto accadere) trasporre in immagini un'emozione dovuta a una lettura prosaica, che è più intima.
Va detto però che la premessa e le intenzioni sono molto mature, il che appunto viene da questa origine "nobile" che arricchisce il prodotto di un certo spessore (insomma, si vede che non è "per bambini"). Non si ride, non si piange, non ci sono colpi di scena, non ci sono loli o bishonen o siparietti comici o battaglie shonen, si osserva a volte con molto interesse a volte con pochissimo "la vita", nuda e cruda. Il piacere che si ricava da questa opera dipende grandemente da quanto si è curiosi di letteratura formativa, di plot molto poco appariscenti e più riflessivi.

L'animazione è decente, il design può ricordare qualche opera di Miyazaki, ma soltanto nella caratterizzazione (la tecnica di animazione è quella da serie TV, non oltre), i personaggi sono morbidi e piacevolmente imperfetti. Gli sfondi sono scolastici, funzionali, mai epici.
Io la intendo come un'opera affine a quelle educative e morali prodotte da Tezuka a metà degli anni '70, con il difetto di non nascere in seno a un contesto di intrattenimento, e forse è questo a rendere la struttura un po' fallace.

Da vedere? Secondo me non è per tutti.

P.S. Non lasciatevi ingannare dai tag presenti in descrizione, la serie prenderà svolte decisive rispetto all'incipit, con balzi temporali consistenti che cambiano il tono generale ogni volta.