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4.0/10
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Sai, ogni tanto ti viene in testa di tirare fuori qualche titolo dalla ganga dell’animazione seriale; potrebbe succederti di trovare una gemma sfuggita ai più. A volte capita. Ma non è il caso di <i>Jyu Oh Sei</i>.
Nessuno avrebbe pianto se il relativo manga non fosse stato trasposto in dodici emblemi di pura entropia progettuale. <i>Jyu Oh Sei</i> rappresenta un grandissimo esempio da non seguire per scrivere una sceneggiatura. Nel plot è stato sbattuto dentro di tutto, dall’eugenetica alla survivor story, con ampi spazi per il melò, per l’horror e per la fantascienza naif merlettata da nomenclature norrene: c’è più roba qui che in un anfibolo.

Che poi il complesso sia stato ammassato alla rinfusa, un po’ come veniva, questo è un dettaglio, <i>melius abundare quam deficere</i> avranno pensato Reiko Yoshida e co. Per cui, per arricchire ulteriormente l’insieme, sono stati gettati in scena personaggi a pioggia. Nel senso che, come gocce di un acquazzone, appaiono, si spiaccicano sul vetro del monitor e poi scivolano via. Zero caratterizzazione, nessuno scopo nella trama, muoiono dopo avere esclamato tre battute in croce. Quasi a sottolineare che, manco il tempo di spuntare, già stanno in mezzo alle palle, «abbiamo ancora così tante comparse da segare, se non ti sbrighi a rendere l’anima non ci sarà abbastanza spazio per fare crepare tutti gli altri».

Tuttavia si potrebbe considerare ciò come una forma di eutanasia, vedendo la figura che ci fanno i protagonisti. Perché sarebbe pure interessante avere un personaggio bipolare all’interno delle vicende, ma che tutti quelli che durano più di due puntate si comportino senza nessi logici è un tantino eccessivo. Capisco che le esperienze vissute siano traumatiche, che il mondo di Chimera, tra titaniche piante carnivore e periodi d’accoppiamento forzato, sia disumano, chiunque verrebbe emotivamente provato da una condizione del genere. Tuttavia qui il caos comportamentale, sforando qualsiasi patologia, è soltanto l’ulteriore sintomo di una confusione creativa diffusa a tappeto. Le psicologie sconclusionate fanno pendant con il quadro d’insieme.

A proposito di arte, quella di <i>Jyu Oh Sei</i> è lacunosa, e vabbé, visto l’andazzo non sto dicendo nulla d’inaspettato. Ma ciò è comunque un peccato, in quanto magari uno avrebbe potuto spegnere il cervello e rifarsi gli occhi, mentre anche tale possibilità è sfumata dopo il primo episodio con il quale, secondo una prassi diffusa, si sono esaurite le velleità grafiche della serie. La <b>Bones</b> si era riservata più cospicui investimenti per progetti più sensati, e come darle torto.
Patendo anche lo sguardo, l’unico a ottenere la sua parte è l’orecchio, che può deliziarsi con le sontuose composizioni di Hajime Mizoguchi, di una bellezza sprecata per un titolo tanto insulso, nella cui pianificazione Reiko Yoshida perde il bandolo del discorso e imbroglia tutta la matassa. Il resto dello staff gli va dietro e Nishikiori ci cade con tutte le scarpe. Il prodotto che ne risulta è pessimo, abborracciato, pescarlo dal cono d’ombra dell’animazione, nel quale è sacrosanto che stia, non si è rivelata una buona idea e anzi ne ho già parlato troppo.