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<b>Attenzione: la recensione contiene spoiler</b>

Sicuramente chi conosce minimamente Hayao Miyazaki conosce la sua indole pacifista e ambientalista, pertanto quando avrà letto la trama di quest'ultimo suo film, "Si Alza il Vento", si sarà chiesto alla pari di me come mai abbia voluto raccontare la storia di Jiro Horikoshi, capo ingegnere progettista del famoso caccia aereo giapponese Mitsubishi A6M "Zero", noto per l'utilizzo di molti di essi per gli attacchi suicidi dei kamikaze. La storia di un uomo che ha costruito/progettato strumenti di guerra? Possibile? Sembrerebbe di sì...

Tralasciando la parte tecnica di ottimo livello come sempre e la trama semplice e lineare del film - ossia il racconto della vita del protagonista Jiro, dall'infanzia fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con la sua "ossessione" per il volo e in particolare per la progettazione di aerei - trovo più interessante approfondire l'aspetto umano del personaggio principale.

All'inizio viene dipinto come un normale ragazzo di buon animo (aiuta la sua futura moglie durante il terribile terremoto del 1923, cerca di regalare del cibo a dei bambini alla fermata del bus) con la passione per il volo, ma avendo fin da piccolo problemi di vista e portando gli occhiali sa già di non poter diventare un pilota; però nei suoi ricorrenti sogni, dove incontra il suo mentore Conte Caproni, famoso progettista aeronautico italiano, invece di rassegnarsi ad abbandonare il suo sogno decide di diventare un progettista proprio come il Conte.
Per fare ciò, per realizzare il suo sogno, Jiro sacrifica praticamente tutto: trascura la moglie malata, la famiglia (di questa non viene raccontato nulla e la sorella quando gli fa visita lo rimprovera sempre della sua assenza); non ha altro in mente che la realizzazione della sua ambizione e per "continuare a sognare" è disposto anche a un compromesso alquanto sconveniente (decisione tra l'altro che prende quasi immediatamente), ossia progettare un aereo caccia da guerra - di certo sa che se il suo sogno si realizzerà, la sua creazione sarà usata per uccidere, ma nonostante questo non si ferma neppure di fronte a questo ostacolo. Più volte nel film il protagonista e i suoi amici/colleghi, così come il Conte Caproni, ribadiscono che la sua intenzione ultima non è quella di realizzare un aereo per la guerra, ma solo quella di realizzare l'aereo perfetto capace di solcare i cieli come nessun'altro mai, ma sembra più che altro una scusa e/o pura autoconvinzione.

La scena emblematica arriva verso la fine, dove a notte fonda Jiro, in stanza con sua moglie costretta a letto, stringendole la mano, continua con i suoi studi e ricerche, finché non accende una sigaretta: ebbene sì, si mette a fumare una sigaretta nella stessa stanza dove sua moglie giace a letto malata di tubercolosi (grave infezione spesso polmonare), perché la povera donna non voleva lasciargli la mano per farlo uscire dalla stanza, sapendo che da lì a poco non lo riavrebbe più rivisto - non è stato capace di rinunciare a una sigaretta a discapito della salute della sua amata (amata per davvero?), figuriamoci allora cosa può essere capace di fare per lo scopo ultimo della sua vita.
Di questa scena la cosa più interessante sta nel fatto che nella realtà Nahoko, la moglie di Jiro così chiamata nel film, non soffriva di tubercolosi, e lo stesso Jiro non era un fumatore: allora perché Miyazaki ha voluto inserire questi particolari? A mio avviso un comportamento simile - fumare nella stessa stanza di un malato - non è certo da elogiare, anzi il contrario, pertanto il regista ha volutamente attribuito una denotazione negativa al protagonista, cosa insolita visto che i suoi personaggi sono sempre positivi e dotati di un grande senso di giustizia.

Alla fine della pellicola, in uno dei suoi sogni, Jiro rimane praticamente solo tra i rottami dei suoi tanto amati aerei, dove rammaricato dice che neppure uno è tornato indietro; è come se fosse afflitto solo per i "suoi poveri aerei", invece per i familiari trascurati/abbandonati o i piloti/soldati morti in guerra nemmeno il minimo rimpianto. Qui incontra anche il Conte Caproni e la sua ormai defunta moglie che lo esortano a vivere... sì, a vivere come a dover in qualche modo espiare e sue azioni.

In conclusione credo che si tratti di un buon film, probabilmente perché si discosta da tutti quelli già diretti da Miyazaki dove di solito ci sono "bambini, buoni sentimenti, felici e contenti" (cit.) - in particolare non vorrei però che a causa dei trascorsi "happy ending" del regista, questo film possa passare come un elogio all'impegno nel perseguire i propri sogni e non arrendersi alle difficoltà - sì, ma anche a discapito di tutto? Cosa si è davvero disposti a sacrificare per i propri sogni e ambizioni?

Nei film di Miyazaki, dal mio punto di vista, ho sempre trovato un difetto o meglio dire una mancanza, ossia l'assenza di una morale chiara e di facile comprensione - c'è sempre stato un aforisma che non sono mai riuscito a interpretare fino in fondo, forse uno dei più famosi di Karl Marx: la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni - questo film me lo ha fatto comprendere appieno e ne è certo l'emblema.