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Per secoli, anzi, millenni, abbiamo creduto di essere stati creati da qualche sorta di divinità e di avere un'anima. Divinità che ci indicavano cosa fosse giusto e cosa sbagliato, e dimensione attraverso la quale sentire cosa fosse buono e cosa cattivo.
E se noi stessi, esseri creati, diventassimo i creatori? Se riuscissimo noi a dar vita a degli esseri, come indicheremmo loro eventualmente la differenza tra il Bene e il Male?

Pluto, l'opera di Urasawa, si apre gettando ombre simili. È stato “ammazzato” un robot, ed è stato ammazzato un uomo. La mano sembra che sia la stessa dato che su entrambi i resti sono state conficcate delle specie di corna nel cranio. L'assassino potrebbe essere lo stesso, se non fosse per due grossi problemi di fondo: da un lato i robot sono programmati in modo tale da non poter uccidere gli esseri umani quindi l'assassino dovrebbe essere umano; dall'altro lato, il robot che è stato “ammazzato” era uno dei sette grandi robot della Terra, potenzialmente un'arma di distruzione di massa, perciò sembra improbabile che un uomo abbia potuto compiere un'azione del genere. Chi è allora il colpevole?

Urasawa rilegge la saga di Tezuka “Il più grande robot del mondo” partendo da qui, mostrandoci la vicenda attraverso gli occhi di Gesicht, il robot tedesco dell'interpol incaricato di investigare sul caso. Eppure non potremmo dire che si tratti del solo protagonista, bensì, e questa è una delle particolarità della serie, non c'è un vero e proprio protagonista, ma la vicenda è narrata anche attraverso le prospettive dei vari personaggi come Atom (Astroboy in Italia), il prof. Ochanomizu, il dott. Tenma, Epsylon, Uran, lo stesso Pluto.

Ciò è funzionale per illuminare i vari problemi della società in cui si svolgono le vicende: una società in cui i robot si possono sposare, ma solo tra di loro; in cui possono adottare figli, ma solo del loro stesso modello; in cui sono sfruttati per le loro capacità, ma a cui sono negati dei diritti fondamentali. Sembra strano affibbiare dei diritti a delle macchine, ma nel mondo di Pluto non solo i robot sono fisicamente uguali agli esseri umani, ma lo sviluppo dei loro software li sta avvicinando sempre più alle nostre facoltà, emozioni comprese: che siano l'interesse che provano per un nuovo giocattolo, l'affetto per i bambini e per i loro simili, gli ideali pacifisti. Ma nonostante queste conquiste c'è chi continua a vederli solo come un insieme di ingranaggi e niente più, individui addirittura pronti ad eliminarli.

E allora si capisce che la società illustrataci da Urasawa non è altro che la copia-carbone della nostra, in cui i robot non sono altro che i nostri “negri”, ”zingari”, ”immigrati” e via dicendo. Però sarebbe riduttivo considerare Pluto solo in base a questa chiave di lettura, sebbene sia quella che più mi ha colpito, dato che il manga è consigliabile non tanto per i vari ragionamenti che ci possono fare sopra ma, in primo luogo, per le emozioni che riesce a dare: credetemi, alcune pagine lasciano basiti e di stucco!

Se consideriamo anche la cura grafica non posso che consigliare questa miniserie e non solo agli estimatori dei manga, ma anche agli amanti del fumetto di qualsiasi genere.