logo AnimeClick.it

-

"Princess Mononoke" rappresenta il mio primo incontro con Hayao Miyazaki e, nonostante all'epoca fossi un inconsapevole infante, decisi di noleggiarlo in VHS, rimanendone letteralmente folgorato. Erano i tempi in cui le TV trasmettevano "Yattaman", "L'uomo tigre", "City Hunter", "Ranma 1/2", su Italia1 c'erano "Dragon Ball" e "I cavalieri dello zodiaco", e su Super 3 "Daimos" e "Ken il guerriero". Come intuibile, per un bambino era davvero facile innamorarsi dell'animazione giapponese, e di tutto ciò che ne orbitava attorno. Erano i tempi di "Pokemon Oro" e "Argento". In questo vero e proprio calderone emozionale, "Mononoke Hime" rappresenta uno dei ricordi più belli e vividi della mia "infanzia nipponica", nonché uno degli ingredienti fondamentali per il mio futuro da appassionato di manga e anime. Da bambini è facile emozionarsi e spesso capita che l'esperienza immagazzinata negli anni porti alla rivalutazione totale/parziale dell'opera che amavamo tanto. Ma non è questo il caso. Proverò a spiegarvi il perché.

Siamo verso la fine del periodo Muromachi, quando uno spaventoso cinghiale tramutatosi in demone attacca il villaggio del giovane Ashitaka. Il giovane eroe sconfigge il demone, contraendo però una terribile maledizione. Da qui parte il suo viaggio verso occidente, alla ricerca dell'origine della maledizione. Ashitaka attraversa la foresta del Dio Cervo, dove conosce San, la principessa Mononoke ("principessa degli spiriti", letteralmente), una ragazza allevata e cresciuta dai lupi che disprezza il genere umano, giungendo infine alla città di ferro, un'imponente fortezza all'avanguardia eretta da Lady Eboshi, la donna che ha sparato al cinghiale tramutatosi poi in demone ebbro d'odio. È quindi lei la causa della maledizione di Ashitaka. Sul personaggio di Eboshi bisogna per forza di cose soffermarsi. La donna sprizza carisma da tutti i pori e, nonostante la sua smodata volontà di sottomettere la natura la porterà a una blasfemia tale da oltraggiare un Dio, non macchierà mai quella sua aura di eleganza che la contraddistingue. Questa sorta di contrapposizione la rende uno dei villain più atipici mai realizzati. Se per la foresta infatti rappresenta un evidente pericolo, in quanto il disboscamento da lei perpetrato per ricavare minerali utili per la produzione di ferro catalizza su di sé l'odio di San e degli animali guardiani (tra cui i temibili lupi), per gli umani rappresenta un punto di riferimento, nonché un'ancora di salvezza per i lebbrosi, a cui ha curato le piaghe e dato lavoro come fabbricanti d'armi nelle sue officine. È questa sua bivalenza a renderla incredibilmente affascinante. Tra i migliori aspetti del film, quindi, è da annoverare senza dubbio la caratterizzazione dei personaggi, comprimari inclusi. Tutti credibili e perseveranti nella realizzazione dei propri scopi. Siano essi animali o uomini. Dallo spirito cinghiale Okkoto al bonzo Jiko. Il rapporto tra Ashitaka e San è inoltre tutt'altro che la classica favola principe-principessa, piuttosto un amore platonico, mai scontato, capace di maturare dolcemente durante tutto l'arco narrativo.
Un amore in grado di riequilibrare e unire anche le due forze in guerra: uomini e natura.

Che Hayao Miyazaki amasse la natura e considerasse deprecabili molte azioni umane (si guardi il mancato ritiro dell'oscar del 2003 per protesta contro la guerra in Iraq) non è certo un segreto, e "Princess Mononoke" incarna perfettamente un'ideologia che ritrae l'uomo bramoso, a tal punto da distruggere ciò che l'ha creato. La dicotomia uomo-natura è il punto focale del film, e, nonostante sia ben chiaro da che parte stia Miyazaki, l'imparzialità con cui descrive il tutto innalza ulteriormente il valore della pellicola. La natura non subisce passivamente i soprusi degli esseri umani, ma si ribella fino a trasformarsi. L'uomo crea armi, le armi sparano generando odio, l'odio muta gli animali in demoni. Emblematica in tal senso l'idiosincrasia di San per la sua stessa specie. Le critiche mosse da Studio Ghibli, mai fine a sé stesse, sono nette ma costruttive, e incentivano a riflettere sulle conseguenze ambientali che comportano determinate azioni. Evidenziando quanto sia labile il confine tra progresso e distruzione. Anche la maledizione contratta da Ashitaka potrebbe considerarsi allegorica, visto che gli donerà una forza incredibile consumandogli le carni.

Il film è una vera e propria opera d'arte, un quadro in movimento, con una cura per i dettagli che lascia letteralmente a bocca aperta. Sopratutto se si pensa che l'opera è stata realizzata nel 1997. Impressionante la scena in cui San succhia il sangue dalla ferita alla lupa che identifica come madre e, passandosi un braccio intorno alla bocca sporca di sangue, si pulisce sbafandosi il viso. È con questa potente immagine che Studio Ghibli ci presenta l'eroina del film, permeandola di una bellezza naturale e selvaggia. Lontana dalle principesse a cui siamo abituati. Le musiche magistralmente orchestrate trasmettono tutto il misticismo insito nella pellicola. I dialoghi echeggiano aulici, risultando talvolta quasi solenni.
Il film è stato nuovamente doppiato nel 2014, tuttavia son particolarmente affezionato alle voci del primo doppiaggio in italiano; nonostante il lavoro svolto sia di innegabile qualità e più fedele all'originale giapponese, ho trovato più calzanti alcune voci della prima versione. Opinabili le scelte di rinominare i Lupi "Cani" e il Dio Cervo "Dio Bestia".

Questo racconto travestito da fiaba è il più cruento e maturo di Studio Ghibli, rappresenta la magnum opus di Miyazaki e anche la sua consacrazione occidentale. Un'opera violenta come l'uomo e allo stesso tempo dolce come la natura.
Come la signora Eboshi.

Voto: 10