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10.0/10
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"In Giappone ci sono moltissime persone di talento che purtroppo non possono esprimere appieno il loro potenziale e in completa libertà. Ecco perché ho scelto di lavorare in questo modo con quest'opera. Qualche anno fa un'opera d'animazione per debuttare doveva per forza avere fra i protagonisti una ragazza giovane e carina (ride), mentre le cose ora sono cambiate, e penso che sia grazie anche a Space Dandy" - Shinichiro Watanabe, Torino, 2017.

Da aggiungere non ci sarebbe davvero molto altro. "Space Dandy" è probabilmente una delle serie più significative e influenti del suo decennio dal punto di vista produttivo e creativo, e gli effetti lo stanno già dimostrando nel breve tempo. Poco importa che questa atipica "antologia" animata abbia raggiunto o meno i gusti personali miei, di Tizio, Caio e Sempronio. Quando ci si autodefinisce "appassionati di animazione giapponese", ci si dovrebbe almeno rendere conto di quanto preziosa sia l'idea (al di là della finissima confezione tecnica) su cui si fonda un'opera corale e unica come questa, nel particolare contesto in cui è stata partorita: corale, nel suo riunire sotto lo stesso vessillo centinaia di individualità artistiche diverse, non solo per stile ma anche per età, esperienza e provenienza; unica, nel costituire qualcosa di mai vistasi prima sul formato televisivo. Il che fu, in parole povere, prendere tutte queste persone, e dirgli "Questo è il soggetto: un dandy, un aspirapolvere e un gatto extraterrestre che vagano per lo spazio. Interpretatelo a modo vostro, sbizzarritevi, vi do carta bianca". Cosa quasi impensabile, incanalare un prodotto simile nei circuiti commerciali dell'animazione nipponica dell'ultimo decennio. Definiamolo pure come una specie di museo con esposti quadri rappresentanti lo stesso soggetto, venuto alla luce nell'ormai lontano (?) 2014 su approvazione del magnanimo Masahiko "studio Bones" Minami-san, tra i pochi presidenti/producer rimasti a non aver rinunciato alla concretizzazione di un'utopia: "un posto dove lavorare più liberamente, più in grande". Un azzardo (naturalmente) non ripagato dal ritorno economico, ma che ripaga di soddisfazione chi vi ha preso parte.
Aprendo la parentesi personale, non si tratta neppure della mia serie preferita concepita da Watanabe (e non "di Watanabe", che in questo discorso smarrisce il suo senso) tantomeno fu la mia preferita nella sua annata. Non è un "capolavoro" e non ne ricorderò a memoria tutte le puntate. Perché è naturale che, in un caleidoscopio narrativo dove la discontinuità è volutamente padrona (seppur ritrovando un filo conduttore), si individuino segmenti qualitativamente inferiori, o meno interessanti. Ma questo non conta effettivamente granché, assieme alle mie preferenze. Conta la modestia nel riconoscere il valore di ciò che plasma una passione, al di là dell'autoerotico "culto" del gusto personale. Conta mettersi per un attimo nei panni di un artista emergente che sogna di farsi un nome, per diventare magari un grande regista e dedicare la sua vita ad intrattenere noi, pubblico, coi cartoni animati (e tutto questo malgrado un compenso disumano). Credo insomma che, nel capire o meno in cosa Space Dandy sia eccezionale, stia la differenza tra un appassionato e un consumatore di anime.