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Quarantena. Vedo dopo molti anni "Il castello errante di Howl". Il regista è il maestro Miyazaki. Il film non ha bisogno di presentazioni. È così famoso e iconico che tutti hanno visto, almeno una volta, l'immagine del castello errante che si aggira, spettrale, per la nebbia. Erano anni che dovevo recuperarlo. Dopo la visione mi dico: "Devo recensirlo".

E allora: iniziamo. Sarà una recensione ridotta all'osso. Tanto mi dà tanto. Per prima cosa il comparto tecnico. Le musiche sono molto belle. È tipico dei film Ghibli. Niente da eccepire sull'animazione e sui disegni. Rispetto ai predecessori però sono peggio sfruttati. Non ci sono le divinità di "Principessa Mononoke" o gli splendidi oceani di pace de "La città incantata". Le ambientazioni sono fin troppo simili a "Kiki". Il character design è il solito Ghibli. Aiuto. Ancora una volta il Maestro preferisce l'autocompiacimento alla sostanza, perfino visiva. Peccato.
Registicamente è tutto traballante. La prima parte del film è lenta. E senza giustificazioni. Vorrebbe tessere la quotidianità e i sentimenti dei personaggi, per poi letteralmente distruggere il castello di lieta pigrizia che si era costruito attorno alla rassicurante quotidianità della protagonista. Nulla di male in questo. Ma non c'è scena di pulizia o presentazione che abbia anima. Il filo non è né quello di una domestica Penelope né di un ragno famelico. Le scene della prima parte sono tutte rattoppate. La seconda metà riesce a far riprendere un po' la storia. Ma gettano troppa carne a fuoco e troppe sottotrame mal gestite e giustapposte. È un casino. E nessun elemento si incastra o risalta.
In conclusione. Prima parte sonnolenta. Seconda confusionaria e distratta. Si sono dimenticati dello spettatore. Non so se l'idea fosse questa, ma io ho trovato tutti i fili della 'ntramaria flebili e senza nessun nesso.

Veniamo ai personaggi. Sophie non ha niente delle altre protagoniste di Miyazaki. Già le varie Nausicäa avevano stufato con le loro guerriglie del nulla. Ma, almeno, tentavano di portare con sé e incarnare i ripetitivi ideali del Maestro. Repetita iuvant. Certo, sono ideali di facciata, illusori e per di più mai approfonditi, essendo il genio di Hayao uno spettro del caso e della vuotezza narrativa. Ma almeno erano un marchio di fabbrica. Poteva essere simpatico e forse persino autoironico ripetere pedissequamente una nuova San. Mi avrebbe fatto schiattare dalle risate. Sophie, come le eroine del Vate, non ha carattere e non ha personalità. È passiva nei confronti degli eventi e degli artifici narrativi. Il suo solo momento interessante si riduce alla celebre scena in cui sale le scale con la Strega delle Ande. Una scena spettacolarmente animata, nel solito trionfo di colori di un agguerrito e lautamente arricchito studio Ghibli. Trattandosi di una storia d'amore posso comprendere la caratterizzazione casalinga e materna della ragazza. Ben più dignitosa di certe principesse del nulla del Vate. In più di una occasione lei dimostra di essere fedele e di voler curare le ferite emotive di Howl. Un tipo di protagonista che io adoro. Sono un grande fan dei personaggi femminili devoti di una volta. Ma Sophie non è neanche questo. Non comunica nulla. Non è niente. In "La città incantata" Miyazaki, ovviamente per pura casualità, c'aveva azzeccato. Chihiro era riuscita, in un frenetico viaggio nel Paese delle meraviglie, a scoprire la virtù del lavoro e del sudore domestico. Mi sarei aspettato che il caso fosse almeno altrettanto generoso con il film seguente. Chihiro è più casalinga e devota.
Il confronto mi aiuta. Chihiro, quando cambia nome in Sen, sperimenta una splendida scissione di personalità. Mi verrebbe da dire fra soggetto osservante e oggetto osservato, per riprendere le parole di Hideaki Anno. Ogni protagonista deve specchiarsi. Motoko Kusanagi si specchia. Alice si specchia. E Chihiro aveva un solo difetto: Haku. Quello che in lei era un difetto diventa l'intera personalità di Sophie. Sophie non si rispecchia negli occhi di Howl. Forse il Maestro ha visto che i suoi tanti nuovi fan occidentali erano estasiati da una insulsa storia romantica senz'anima. La scena più brutta del film era Chihiro che cerca di aiutare un Haku ferito sotto forma di drago. Leggendo le recensioni si sarà convinto di essere un bravo narratore di storie d'amore. E la scena più fuori posto del suo film più celebre è stata allungata all'inverosimile e trasformata in un solo nuovo film.
Ma almeno Sophie, rispetto a Chihiro, non può andare out of character. Non ha neanche un carattere. Come dicevo la fiaba è lo specchiarsi del personaggio. Può essere la strega cattiva di Biancaneve o Narciso, la stessa Biancaneve nel pozzo o Light Yagami crollato che rivede se stesso giovane e innocente. Sophie si scinde. La maledizione della Strega la rende vecchia. Anche una principessa che si trasforma in cigno però si deve confrontare con questo specchio. Sophie non lo fa. Come per Ashitaka di "Mononoke" la sua maledizione non reca nessuna vera maledizione. Non c'è conflitto o riflessione. Un buon autore avrebbe approfondito cosa significa per una diciassettenne ritrovarsi in un corpo non proprio. Che sarebbe un Purgatorio in terra per chiunque. Le due Sophie si sarebbero allontanate o incontrate o entrambe. Sophie avrebbe addirittura dubitato di se stessa o si sarebbe incolpata. Ma niente di niente. Ergo: "Howl" non è una fiaba.
Ma il punto dolente del lungometraggio è proprio il protagonista maschile. Non certo una novità per il gran Maestro. Miyazaki ha voluto creare un dandy, un eccentrico protagonista con fisse e pensieri strani. Un nevrastenico forse. Ma anche in questo è miseramente fallito. Nulla comunica lo spirito dello Jugendstil. Lui risulta fuori posto nell'ambientazione più congeniale per un decadente romantico. Questo dovrebbe far riflettere sulle presunte capacità artistiche di Mastro Hayao. Nulla comunica la decadenza di quell'epoca sull'orlo della catastrofe. Il suo castello non è un Titanic da interpretare: è un vuoto simulacro di 3DCG che lascia il tempo che trova. Lui e Sophie vorrebbero essere una Sybil Vane e un Dorian Gray gai e felici, degli spensierati protagonisti di un film déco del ventunesimo secolo. Ma non lo sono. La Luna di Giulietta è finta. E Miyazaki è l'ebreo che osserva l'impietoso crollo di Sybil. Solo che siamo nel ventunesimo secolo e il pubblico è estasiato da questi Leonato e Imogene del niente. Forse solo nel futuro "Arrietty" ci sarà un personaggio maschile, e ci vuole coraggio a chiamarlo così, altrettanto insulso e vuoto. Mi piace però la scena in cui viene presentato. In una città della vuota e sopravvalutata Europa settentrionale, fra l'altro rappresentata con i soliti e irrealistici cieli tersi e immacolati, Sophie e Howl camminano sul vuoto non visti da nessuno. Perfetto. "Howl" è la danza del nulla. Non brilla. Non svuota. Niente. Non comunica amore. Sarei il primo a palpitare per una scena simile. Howl è un ragazzo stupendo, Sophie ha una espressione dolcissima e sognante, in una posa a metà fra una nuova Nike di Samotracia e Rose di "Titanic". Una scena idealizzata, certo. Ma Miyazaki non riesce neanche a idealizzare come dovrebbe. E chi non idealizza nemmeno, mi dispiace, non ama o, almeno, non comunica amore.
Stendiamo un velo pietoso sugli altri personaggi. A partire dalla Strega delle Ande. Perfino lo Spaventapasseri è rovinato nel finale. Ma il punto dolente del cast è Calcifer. Un odioso elemento che rappresenta in pieno i film del Maestro: fonde tutto insieme, nella speranza di accontentare tutti, ma è completamente piegato alle esigenze di una scatola di cioccolatini senza sorpresa. Miyazaki fa fiasco persino nel suo. Calcifer avrebbe potuto essere un irraggiungibile Dio della Foresta, migliore e trascendente, e rappresentare il silenzio sacro che si addice a un elemento naturale. Poteva avere forza suggestiva e un ruolo degno del suo rango spirituale. Essere lo specchio e la luce degli spenti occhi di Howl. Invece no.
La sua è una fiammella infantile, incapace di illuminare e riscaldare una scenografia senza anima. Persino la suggestione metafisica sulle stelle è sprecata. Non dico di creare un "Silmarillion". Ma il Maestro ha scomodato il firmamento per una scenetta da "Teletubbies". Che squallore.

Sul lato delle tematiche neanche la pietà riesce a coprire qualcosa. Lo sfondo bellico è funzionale a scene visivamente suggestive, certo. Ma prive di pathos. In questo Miyazaki ha dimostrato di essere addirittura peggiorato dalle trascurabili ma un po' suggestive apocalissi divine di "Nausicäa". Odioso il tocco pseudo-steampunk. Unico punto di elogio i simpatici aerei da guerra. Per il resto, come al solito, il Maestro non riesce a comunicare nulla neanche nel volo e gli altri design sono ridicoli.

Cosa rimane, dopo questo, è facile da intuire. Il mio voto è generoso. Miyazaki non ha gli elementi per dipingere quella storia d'amore trascendentale che vuole tessere. Gli mancano i colori e i pennelli. Gli manca persino l'immanenza da trascendere. Lo spazio di questa storia è orrendo. Il tempo art nouveau è trattato da scuola superiore. Sull'amore ho detto tutto. Peccato che il Maestro non si sia fermato a "La città incantata". Sarebbe stato un ritiro glorioso, che avrebbe colorato almeno gli spazi solidi delle sue tele bucate. Ma neanche quello. Peccato.
Allo stato attuale non è un film. Né, figurarsi, un buon film.