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"La canzone del mare" è un film d'animazione del 2014, di produzione internazionale, diretto da Tomm Moore, uscito in Italia con due anni di ritardo.

Il film racconta la storia dei due fratellini Ben e Saorsie, che vivono con il padre e il fedele cane Cù presso un faro su di un'isola irlandese. La madre scompare misteriosamente alla nascita della bimba, lasciando tutta la famiglia profondamente scossa: un marito (e un padre) che affoga i suoi dispiaceri al pub, un primogenito con un cattivissimo rapporto con la sorella, e una bambina che, nonostante abbia ormai sei anni, non ha ancora imparato a parlare e fatica quindi a relazionarsi.
Tuttavia, questa situazione infelice è destinata a cambiare quando Saorsie scova uno strano mantello nascosto in un baule, e una volta indossato inizierà per lei, e per la sua famiglia, una nuova avventura legata al mondo delle selkies.

È un film che ci parla essenzialmente di legami, tradizioni e folklore celtico. Il tutto raccontato con uno stile dal disegno iconico, a due dimensioni, interamente fatto a mano, e caratterizzato da dettagli stilizzati. Stile che può sembrare poco attraente, ma reso invece tale dalla varietà, corposità e scelta dei colori che ci danno come risultato fotogrammi pari alla bellezza di un quadro. Un quadro naïf.
Chi ricorda Ligabue, non potrà non trovarci una qualche assonanza con lo stile iconografico del pittore italiano, il quale, attraverso la sua semplicità grafica, ci ha regalato quadri dal forte potere evocativo. È quello che ci comunica questo film: evoca leggende di Paesi lontani, figure del folklore celtico come le selkies, creature mitologiche che vivono nel mare come foche, ma in grado di assumere un aspetto umano se rimosso il proprio manto. E i raccontastorie "seanchaì", che in irlandese significa "portatore di vecchie tradizioni". Infatti nell'antica cultura gaelica la storia del popolo non veniva scritta, ma memorizzata in poesie recitate dai bardi, in una tradizione echeggiata, appunto, dai seanchaì raccontastorie.
Un uso raffinato della tecnica per scenografie e paesaggi, e la scelta di un disegno bidimensionale, per l'appunto, quasi privo di profondità, paradossalmente, proiettano meglio lo spettatore in questa dimensione "da fiaba".

A ricordare il ritmo di una favola, la narrazione non potrà che essere lenta, ma questo procedere in modo misurato, come lo sfogliare delle pagine di un libro, è necessario per poterci soffermare sui sentimenti, sui canti, sui suoni.

Questo non è semplicemente un film di animazione, ma è una storia che rivede le antiche funzioni catartiche del racconto, attraverso una linea narrativa davvero preziosa, e ancestrale, che difficilmente ritroviamo in altre produzioni.

Temi importanti sono la famiglia, il viaggio, l'abbandono e il dolore. Ma anche la solidarietà, la purezza delle azioni, e soprattutto l'amore.

Il film ci dà un gran bel messaggio: amare qualcuno non significa eliminare il suo dolore, o sostituirsi ad esso, bensì aiutarlo a sopportarne il peso, a supportalo e ad incitarlo affinché si affronti con le proprie forze il proprio fardello personale; solo così si potrà godere anche delle gioie che presto o tardi arriveranno. Ci comunica che ci si deve impegnare ad affrontare la realtà, le proprie emozioni, per vivere intensamente, e per non cadere vittime di una vita bloccata, statica, fredda, e grigia come pietre, come le creature magiche che i fratellini tenteranno di aiutare, o come la vita triste del loro padre che piange la moglie scomparsa. O come McLire.

È l'errore che commette anche la strega "cattiva" che, pensando di agire bene, svuota le persone dei loro sentimenti per eliminarne il dolore, non capendo, invece, che tutte le emozioni vanno vissute, siano esse gioiose o strazianti, e che sono tutte queste esperienze insieme a rendere unico l'uomo. E i due sensibili e coraggiosi fratellini sembrano, a poco a poco, comprenderlo. E dal loro dolore famigliare inizierà un percorso, un viaggio, destinato a far rinascere la loro piccola famiglia.

Un film, il cui titolo stesso riporta l'importanza della musica, non poteva sottovalutare la colonna sonora. E infatti, un particolare plauso va proprio a quest'ultima, con il merito di aver sublimato tutte le caratteristiche di pregio di questo lungometraggio.
Bruno Coulais, in collaborazione con la folk-band irlandese Kíla, ne è l'autore. Musica che è, sì, frutto del suo genio artistico, ma in parte ispirata da vere canzoni tradizionali irlandesi.
Gli appassionati di musica e tradizioni celtiche di sicuro avranno riconosciuto "Dùlamàn" (un tipo di alga commestibile), una famosa canzone popolare, cantata in un buffo teatrino dagli esseri di pietra. Ci sono molte versioni tradizionali e contemporanee della melodia della canzone. Tra quelle più note vorrei ricordare quella dei Clannad, del 1976.

Il testo della canzone si riferisce alla pratica irlandese di raccogliere alghe, ma in particolar modo ci racconta (ecco un altro modo di raccontar storie, alla "seanchaì"), al ritmo di una ballata, della figlia di un "dùlamàn gaelach" che ha due pretendenti. Uno le vuole comprare un bel paio di scarpe e l'altro la tenta con l’acquisto di un pettine. La scelta della ragazza, non corrispondente alle aspettative del padre, porterà a una "fuitina" risolutrice.
Ecco che, ancora una volta, per mezzo di un canto, ci viene raccontata una tradizione popolare tramandata nel tempo. Un racconto nel racconto.
"Dúlamán" colpisce in modo particolare, perché particolarmente orecchiabile, ma è tutto il comparto sonoro a dare quel tocco "celtico" in più, che ti porta dritto dritto al Nord, in Irlanda.

Che altro dire riguardo a questo film, se non che ve ne consiglio caldamente la visione?

E quindi, mettetevi comodi, e godetevi questa bella favola, un contenitore di leggende e musiche dal sapore antico, un film dal profumo di salsedine, che ti invita a socchiudere gli occhi e sentire il rumore del mare.

Da guardare quando fuori piove e il mare è in tempesta.

Io l'ho fatto.