Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Tanto tempo fa, in un regno lontano lontano, sette baldi giovani, dagli incredibili poteri, salvavano quotidianamente il mondo. Grandi celebrazioni seguivano l’eroiche gesta. Persi nel loro ego, un giorno commisero il più marchiano degli errori: giudicaron strega colei che era principessa. La ragazza, oltraggiata, lanciò loro una maledizione: sarebbero diventati nani, coi poteri ‘nerfati’, almeno finché lo sguardo di qualcuno si fosse posato sui loro culetti verdi. Solo una speranza li teneva uniti: qualora la donna più bella del reame li avesse baciati, essi sarebbero tornati gli idol di sempre. Armati di buone intenzioni, cominciarono a viaggiare per il regno, alla ricerca di una generosa pulzella disposta a spezzar il losco sortilegio...

...Come no, aspettate e sperate...

Dopo una bella stiracchiata, una tirata di sciacquone, sulle note di un’iconica canzone anni '90, mi accingo a tornare nella mia palud... ehm, volevo dire, stanzetta, col fine ultimo di dar luce a codesta recensione.

“Scarpette rosse e i sette nani” è un film d’animazione del 2019, diretto dal debuttante Song-ho Hong. Come si può intuire dal titolo, è evidente l’ispirazione alle fiabe di “Biancaneve e i sette nani” e “Scarpette rosse”. Cosa dovrei aspettarmi da una simile fusione? Beh, in tal senso, il giovane regista gioca subito a carte scoperte: mi aspetta una fiaba spensierata, con un bel po’ di commedia, un pizzico di parodia (almeno nelle intenzioni), impreziosita, perché no, da una pungente denuncia sociale. Insomma... habemus “Shrek”! E io non posso che esserne contento. Poco importa che sia un prodotto 100% originale: un lavoro ben eseguito, seppur su piste già battute (e che gran piste! Oserei dire...), può sempre fare la sua dannata figura. Peccato però che “Scarpette rosse e i sette nani” sia riuscito solo per una decina minuti a mantener la retta via, soffrendo, con il proseguire della pellicola, di crescenti difetti che lo hanno condotto sempre più fuoripista. Fortunatamente gli sciatori (aka i due protagonisti), e quella simpatica bandierina a fine percorso, capeggiante a caratteri cubitali “Morale della storia”, hanno salvato la pellicola dal dirupo.

Or dunque, dove ero rimasto? Abbiamo i sette troll (o sette nani, in un certo senso), dov’è la nostra Biancaneve? È alla ricerca di suo padre, scomparso misteriosamente a causa della matrigna, l’ennesima Patty Pravo che proprio non ce la fa ad accettare l’inevitabile incedere delle rughe. E dunque, persa nei suoi deliri mistici, la nostra non più tanto bella strega passa le sue giornate tra uno specchio di Scampia e tre ‘pucciosi’ orsacchiotti di legno. Ogni giorno, dopo essersi fatta rigorosamente adulare dai suoi improbabili sudditi, prega all’ombra di un candido melo, in attesa che dia un frutto... due scarpette rosse. Questi magici artefatti sono in grado di ringiovanire colei che le indossa (o anche colui? Non è che sia molto chiaro), conferendogli una bellezza accecante, quanto dolorosa (vuoi metter passare tutta la vita coi tacchi? Poveri piedi!). Biancaneve, allontanata in misura precauzionale dalla matrigna scoppiata, torna al palazzo, intenzionata a fare luce sul destino del padre. Qui trova il suo diario (clinico), descrivente nel dettaglio i passaggi che l’hanno condotto all’esaurimento nervoso. Fatto sta che viene ‘sgamata’, ma prima di fuggire decide di indossare le preziose scarpette, togliendo alla nostra Patty l’ultima alternativa alla costosa chirurgia plastica. Furiosa di dover metter mano al portafoglio, la strega mette una taglia sulla paffuta Biancaneve la quale, sotto l’effetto magico delle scarpe, si è tramutata in una waifu da capogiro. Sotto il nome di Scarpette Rosse, la giovane si imbatte per puro caso nei little Shrek i quali, ammaliati, decidono di aiutarla nella sua ricerca, con la speranza di esser poi baciati e liberati dalla maledizione. Ma la strega non resta ferma a guardare. Presso la corte di Favolisolandia, il principe Average (e, mi raccomando, pronunciatelo bene!) sta mobilitando servitù e affini alla ricerca di una qualsivoglia creatura ovaio-dotata, nella speranza di portarsela come dama al ballo di compleanno. Con la promessa di cederle la waifu per la festa, la nostra Patty cavalca l’ormone del principe ‘simp’, spingendolo così a mobilitare l’intero esercito. La ricerca del padre, per la nostra Biancaneve, diventa alquanto problematica...

La trama, nella sinossi, è vivace e divertente. Non che brilli per originalità, ma riesce a introdurre a dovere sia l’ambientazione quanto gli improbabili protagonisti. La prima mezz’ora di film è sicuramente la parte migliore, e riesce in più di un’occasione a strappare sorrisi, parodizzando con stile le fiabe da cui trae ispirazione. E i paragoni (positivi) con altri cartoni simili, “Shrek” su tutti, si consumano. La trama, però, che si presenta come una macchina ben congegnata, graziosa nell'aspetto, finisce per rivelarsi senza motore. La storia, infatti, non si sviluppa. O, meglio, si sviluppa, ma attraverso forzature abbastanza ridicole. Non voglio fare spoiler, ma che senso ha costruire due terzi di storia sui tentativi, maldestri, di cattura della bella waifu quando poi la stessa strega, quando scende in campo, ci mette due nanosecondi a trovarla e tre a rapirla con una folata di vento scuro? Qual è il senso di nascondersi dai villain quando poi opti per trovare tuo padre con il sistema più stupido possibile, ergo fare volantinaggio selvaggio nei cieli di tutta Favolisolandia? Un po’ pro-sgamo, mi sto forse sbagliando? Per carità, la scena tra le nuvole è sicuramente suggestiva, presa singolarmente, ma inserita nel contesto di trama è assolutamente senza senso, e buona parte dell’ultima ora di film è costruita su simili scelte. Volendo, la trama di questo cartone animato poteva essere ridotta a tre quarti d’ora, e sarebbe risultata persino più efficace. Inoltre, ci sono troppi cambi di scena, così repentini da far perdere il focus della storia principale, lasciando alienato lo spettatore.

Passando ai personaggi, mi vien da dire solo una cosa: croce e delizia. Sicuramente Biancaneve e Merlino, il leader dei sette nani, sono quelli che tirano avanti la carretta. Biancaneve è interessante, una ragazza matura e consapevole del proprio corpo, fiaccata solo dall’ingiusto pregiudizio legato alla sua forma peso. Più immaturo è sicuramente Merlino, baldo giovane pieno di sé. Sulle note del “Sei stato merlinizzato!”, che suona tanto di “Sha-bam” o “Sha-Fico” (i fan di “Total Drama” capiranno), il nostro idol cerca solo ammirazione e onori. Entrambi giocano un ruolo chiave nella storia, seppur con sviluppi diametralmente opposti. Se la prima, nel corso della storia, funge da “mentore” per lo spocchioso mago, il secondo subisce una progressiva trasformazione, consapevole sempre più che l’amore, quello vero, può vincere sì il male, ma soprattutto il pregiudizio. Un messaggio semplice, ma efficace. Non posso, però, elogiare in egual misura i personaggi secondari. I sei nani rimanenti, con forse la sola eccezione del poderoso Arthur, sono delle macchiette, ciascuno con la propria peculiarità (abbiamo il narcisista-modaiolo, il cuoco-goloso, i tre inventori svitati), ma non giocano quasi nessun ruolo all’interno nella storia, né nello sviluppo quanto nella maturazione dei protagonisti. Anche i villain non sono un granché. La regina cattiva è l’ennesima, trita e ritrita, cattivona delle fiabe, il principe Average, a parte ‘simpeggiare’, si fa prima ridicolizzare dai buoni e poi dalla stessa strega, diventando superfluo dopo poche scene, forse il più incisivo, tirando le somme, è proprio lo specchio, che con le sue battute in napoletano strappa sempre un sorriso.

Le animazioni sono buone, a volte. Diciamo che il budget è stato saggiamente dosato. Ci sono diverse scene di combattimento ben animate, il volo di Biancaneve e Merlino sui cieli di Favolisolandia è sicuramente notevole. Ma è altrettanto vero che c’è una certa staticità, con il riciclo di una manciata di ambientazioni per tre quarti di film, e in certi frame si può persino osservare una certa povertà di dettagli. Il comparto audio è abbastanza scarno, appena sufficiente, con poche canzoni che tengono in piedi la baracca, e diversi (noiosi) silenzi.

Sicuramente la morale del film è la nota di maggiore merito. La critica verso il body shaming, una forma di discriminazione che va a deridere una persona per il suo aspetto fisico, è ben evidente, così come lo è, seppur più velata, quella verso la società odierna dei social, dove l’apparire soverchia in toto l’essere. E trovo ancora più positivo che tal pulpito provenga dalla Sud Corea, Paese dove la maschera sociale è vera e propria convenzione, con tutti i pro e i (molti) contro del caso. Proprio a fronte di un’ottima idea, trovo sprecato che la storia, per quanto riguarda la main villain, si sia conclusa in maniera così cliché. Per Patty Pravo, il lato più oscuro del concetto di "apparenza", avrei apprezzato un destino migliore, magari di redenzione. Il finale mi ha lasciato sicuramente l’amaro in bocca.

Ultima ma doverosa nota devo farla sul doppiaggio. Ora, con un improvviso cambio d’approccio, mi farò, per qualche rigo, moderatamente polemico. Sono consapevole che certi personaggi, per quanto inadatti a doppiare, facciano view. E tutti sanno benissimo come il mondo, l’economia su tutti, girino sui soldi e sulla popolarità. Sono favorevole a inserire, con criterio, un calciatore/cantante/chicchessia in un progetto di doppiaggio. Ma devono esserci dei provini. Deve esserci quantomeno l’onestà di accettare nel cast gente che abbia fatto un minimo corso di dizione. Perché dove non arriva il talento, lo studio può quantomeno metterci una pezza. Senza sembrare troppo rude: il doppiaggio di questo film non solo è imperfetto, ma è, in diversi passaggi, fuori luogo, inadeguato, ignorante. Ho visto migliori doppiaggi amatoriali sul Tubo.

Concludendo, “Scarpette rosse e i sette nani” è un film mediocre, pieno di difetti. Ha però un senso, e magari visto da uno spettatore molto giovane può lasciargli pure una bella morale. Sconsiglio la visione, invece, ai più grandi, a meno che non siate proprio amanti del genere. Numerose incongruenze, una trama scarna, personaggi macchietta e poca originalità sono motivi sufficienti per girare alla larga da questa pellicola. Sicuramente questo film rientra nella categoria del “solo per un target giovane”. Salvo la morale, moderna e precisa, e alcuni passaggi comici, che fanno ben sperare per il giovane regista. Dopotutto questa è la sua prima fatica. Sono curioso di rivederlo all’opera, magari sempre alle prese con un nuovo film d’animazione. Quindi il 5,5, voto per me più giusto, diviene un 6 di fiducia. Del resto, come insegna questo cartone, giudicare qualcuno dalla copertina è errato, mi sto forse sbagliando?

5.0/10
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Noiosetto! Non un disastro completo, in quanto rimane migliore di buona parte dei suoi allievi stravolgi-favole, tipo "Lissy principessa alla riscossa", tuttavia fu senza dubbio il momento di declino per la serie dell'orco asociale.

Piaccia o meno, bisogna riconoscere che, al suo esordio, Shrek diede involontariamente una spallata ammodernante di tutto rispetto, e con una resa visiva che, seppur invecchiata, rimane tuttora gradevole alla vista. La stessa Disney di inizio millennio faticava a interpretare i tempi, cercando inizialmente di forzare lo stile tradizionale a contesti più... alternativi, per poi buttare la sua filosofia artistica in un dirupo con una bella pietra al collo. Basti considerare che, nell'anno di uscita di questo ulteriore seguito, il meglio che riuscirono a tirare fuori come risposta fu quella fetecchia allucinante de "I Robinson - Una famiglia spaziale", preceduto dall'ancor peggiore "Chicken Little".

In questo terzo capitolo tuttavia si avverte la stanchezza degli stessi sceneggiatori della Dreamworks che, similmente a come accadeva nei terzi capitoli dei giochi PSX/PS2, per tirare ulteriormente una carretta che aveva già assolto al suo compito, alzarono i toni e si spinsero in una operazione di ripescaggio di elementi storici e culturali molto cari al pubblico americano, come 'i figli dei fiori' e la rivalsa degli 'sfigati', proseguendo poi con altri sberleffi alla Disney, che oramai apparivano meno sorprendenti e anche un po' più sguaiati nella loro messa in atto.

Pur riconoscendogli qualche idea simpatica, come l'incubo paterno in stile esorcista, alla sua uscita il film mi trasmise la forte sensazione di avere davanti a me uno zombi arraffasoldi. Lo so, era ovvio che fosse stato realizzato unicamente per via del suo successo precedente, ma il secondo capitolo gli era riuscito discretamente bene, quindi era lecito aspettarsi di più. Eppure, stavolta, dall'antagonista riciclato allo svolgimento della storia, si avverte tutto poco fantasioso e poco spontaneo. L'introduzione del personaggio di Artù (arricchito di una cornice collegiale alla Belushi) stona col resto della banda, e il ragazzo rimane pure antipatico e dimenticabile dall'inizio alla fine. Meglio non va col doppiaggio, che vide un ingiustificato cambio nel Gatto con gli Stivali, che passò dal buon Massimo Rossi ad Antonio Banderas. A onor del vero, col tempo ho rivalutato in positivo la resa dell'eclettico attore spagnolo, ma quando uscì la pellicola non poté che darmi fastidio.

Tra le altre cose che non mi hanno mai convinto del tutto, vi è la questione della paternità di Shrek. Contrariamente all'abdicazione, questa era una situazione che gli spettatori, più e meno giovani, si figuravano benissimo già dall'unione tra lui e Fiona, e anche per questo la variazione nel secondo capitolo con la meticcia prole tra Ciuchino e la Draghessa risultava fresca e geniale. Geniale! Quando li vidi, li adorai. Voler mostrare qui a tutti i costi le paturnie pre-genitoriali dell'omone verde, viste in migliaia di altri prodotti, si avvertiva francamente superfluo, non adeguatamente compensato dalla storia e ben lontano dallo spirito antitradizionalista del personaggio al suo esordio.

Nonostante tutto però, "Shrek terzo" conquistò all'uscita pareri tiepidamente positivi, seppur concordi sul calo qualitativo, mentre l'ultimo uscito, "Vissero felici e contenti", pagò forse più del dovuto il calo di interesse. Personalmente, per quanto il quarto film sia innegabilmente incasinato e il loro livello di mediocrità sia equiparabile, l'ho sempre preferito leggermente a questo, perlopiù... per via degli elementi messi in campo, per quanto poco originali. Tremotino, pur essendo un altro tappo in stile Lord Farquaad, era caratterialmente e visivamente una novità, e il suo sicario-pifferaio, volendo, avrebbe avuto un gran potenziale sfruttabile. Anche Fiona, versione Orchessa-Boudicca a capo della resistenza, per quanto fosse una già vista (e meno comica) glorificazione girlpower, era quantomeno più accettabile e meno pigra come trovata, rispetto alla furiosa carica delle regali pulzelle "Chuck Norris" del terzo film, ecc. Come dire, si sentiva tutto quantomeno più attinente.

Parte della forza dissacrante di questa serie è rimasta prigioniera del tempo, e, onestamente, penso che tutto quello che è uscito da questa pellicola in poi, speciali festivi compresi, sia decisamente perdibile, ma a quanto pare... tra un paio di anni avremo il piacere di avere tra le mani un quinto lungometraggio da giudicare. In effetti, l'orco è ormai sufficientemente maturo da poter fare leva sulla nostalgia, ma, al momento, non è chiaro se la sua sarà una continuazione vera o un famigerato riavvio. Per quanto di norma detesti la seconda ipotesi, forse sarebbe l'opzione migliore a questo punto.

Una cosa è sicura, se dovessi descrivere il protagonista, oggi non riuscirei a trovare per lui una definizione più calzante del detto "Era nato incendiario ed è morto pompiere", e per quanto abbia apprezzato molto "Shrek 2", poteva restare un capitolo unico come era inizialmente previsto.

P.S. "Shrek" non fu un soggetto originale, ma fu liberamente tratto da un libretto per l'infanzia, scritto e illustrato negli anni '90 dal defunto William Steig.

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"La canzone del mare" è un film d'animazione del 2014, di produzione internazionale, diretto da Tomm Moore, uscito in Italia con due anni di ritardo.

Il film racconta la storia dei due fratellini Ben e Saorsie, che vivono con il padre e il fedele cane Cù presso un faro su di un'isola irlandese. La madre scompare misteriosamente alla nascita della bimba, lasciando tutta la famiglia profondamente scossa: un marito (e un padre) che affoga i suoi dispiaceri al pub, un primogenito con un cattivissimo rapporto con la sorella, e una bambina che, nonostante abbia ormai sei anni, non ha ancora imparato a parlare e fatica quindi a relazionarsi.
Tuttavia, questa situazione infelice è destinata a cambiare quando Saorsie scova uno strano mantello nascosto in un baule, e una volta indossato inizierà per lei, e per la sua famiglia, una nuova avventura legata al mondo delle selkies.

È un film che ci parla essenzialmente di legami, tradizioni e folklore celtico. Il tutto raccontato con uno stile dal disegno iconico, a due dimensioni, interamente fatto a mano, e caratterizzato da dettagli stilizzati. Stile che può sembrare poco attraente, ma reso invece tale dalla varietà, corposità e scelta dei colori che ci danno come risultato fotogrammi pari alla bellezza di un quadro. Un quadro naïf.
Chi ricorda Ligabue, non potrà non trovarci una qualche assonanza con lo stile iconografico del pittore italiano, il quale, attraverso la sua semplicità grafica, ci ha regalato quadri dal forte potere evocativo. È quello che ci comunica questo film: evoca leggende di Paesi lontani, figure del folklore celtico come le selkies, creature mitologiche che vivono nel mare come foche, ma in grado di assumere un aspetto umano se rimosso il proprio manto. E i raccontastorie "seanchaì", che in irlandese significa "portatore di vecchie tradizioni". Infatti nell'antica cultura gaelica la storia del popolo non veniva scritta, ma memorizzata in poesie recitate dai bardi, in una tradizione echeggiata, appunto, dai seanchaì raccontastorie.
Un uso raffinato della tecnica per scenografie e paesaggi, e la scelta di un disegno bidimensionale, per l'appunto, quasi privo di profondità, paradossalmente, proiettano meglio lo spettatore in questa dimensione "da fiaba".

A ricordare il ritmo di una favola, la narrazione non potrà che essere lenta, ma questo procedere in modo misurato, come lo sfogliare delle pagine di un libro, è necessario per poterci soffermare sui sentimenti, sui canti, sui suoni.

Questo non è semplicemente un film di animazione, ma è una storia che rivede le antiche funzioni catartiche del racconto, attraverso una linea narrativa davvero preziosa, e ancestrale, che difficilmente ritroviamo in altre produzioni.

Temi importanti sono la famiglia, il viaggio, l'abbandono e il dolore. Ma anche la solidarietà, la purezza delle azioni, e soprattutto l'amore.

Il film ci dà un gran bel messaggio: amare qualcuno non significa eliminare il suo dolore, o sostituirsi ad esso, bensì aiutarlo a sopportarne il peso, a supportalo e ad incitarlo affinché si affronti con le proprie forze il proprio fardello personale; solo così si potrà godere anche delle gioie che presto o tardi arriveranno. Ci comunica che ci si deve impegnare ad affrontare la realtà, le proprie emozioni, per vivere intensamente, e per non cadere vittime di una vita bloccata, statica, fredda, e grigia come pietre, come le creature magiche che i fratellini tenteranno di aiutare, o come la vita triste del loro padre che piange la moglie scomparsa. O come McLire.

È l'errore che commette anche la strega "cattiva" che, pensando di agire bene, svuota le persone dei loro sentimenti per eliminarne il dolore, non capendo, invece, che tutte le emozioni vanno vissute, siano esse gioiose o strazianti, e che sono tutte queste esperienze insieme a rendere unico l'uomo. E i due sensibili e coraggiosi fratellini sembrano, a poco a poco, comprenderlo. E dal loro dolore famigliare inizierà un percorso, un viaggio, destinato a far rinascere la loro piccola famiglia.

Un film, il cui titolo stesso riporta l'importanza della musica, non poteva sottovalutare la colonna sonora. E infatti, un particolare plauso va proprio a quest'ultima, con il merito di aver sublimato tutte le caratteristiche di pregio di questo lungometraggio.
Bruno Coulais, in collaborazione con la folk-band irlandese Kíla, ne è l'autore. Musica che è, sì, frutto del suo genio artistico, ma in parte ispirata da vere canzoni tradizionali irlandesi.
Gli appassionati di musica e tradizioni celtiche di sicuro avranno riconosciuto "Dùlamàn" (un tipo di alga commestibile), una famosa canzone popolare, cantata in un buffo teatrino dagli esseri di pietra. Ci sono molte versioni tradizionali e contemporanee della melodia della canzone. Tra quelle più note vorrei ricordare quella dei Clannad, del 1976.

Il testo della canzone si riferisce alla pratica irlandese di raccogliere alghe, ma in particolar modo ci racconta (ecco un altro modo di raccontar storie, alla "seanchaì"), al ritmo di una ballata, della figlia di un "dùlamàn gaelach" che ha due pretendenti. Uno le vuole comprare un bel paio di scarpe e l'altro la tenta con l’acquisto di un pettine. La scelta della ragazza, non corrispondente alle aspettative del padre, porterà a una "fuitina" risolutrice.
Ecco che, ancora una volta, per mezzo di un canto, ci viene raccontata una tradizione popolare tramandata nel tempo. Un racconto nel racconto.
"Dúlamán" colpisce in modo particolare, perché particolarmente orecchiabile, ma è tutto il comparto sonoro a dare quel tocco "celtico" in più, che ti porta dritto dritto al Nord, in Irlanda.

Che altro dire riguardo a questo film, se non che ve ne consiglio caldamente la visione?

E quindi, mettetevi comodi, e godetevi questa bella favola, un contenitore di leggende e musiche dal sapore antico, un film dal profumo di salsedine, che ti invita a socchiudere gli occhi e sentire il rumore del mare.

Da guardare quando fuori piove e il mare è in tempesta.

Io l'ho fatto.