Recensione
Pale Cocoon
8.0/10
"Perdere il passato significa perdere il futuro" (Wang Shu)
Ogni tanto riscasco nella visione di opere sci-fi distopiche, impegnate, metaforiche e fors'anche filosofiche con atmosfere e ambientazioni cui è difficile attribuire una collocazione temporale e in cui l'umanità sembra aver smarrito la bussola e il senso dell'origine e della provenienza.
Di recente ho avuto l'occasione di imbattermi in un'opera simile - "Shelter" - che, partendo da premesse più o meno simili, sviluppa attraverso la durata di una canzone senza dialoghi una storia su un viaggio spaziale, tanto breve quanto intenso, composto da sole immagini struggenti ben supportate dalla lirica musicale.
Se il leit motiv di "Shelter" possa essere individuato nella solitudine, nel ricordo e nel dolore per il distacco da coloro cui siamo più affezionati, "Pale Cocoon" sembra privilegiare in modo preponderante lo smarrimento dei protagonisti per l'incapacità di conoscere e comprendere il passato a causa dell'assenza dei ricordi che possano dare la forza per affrontare l'ignoto che avviluppa i protagonisti.
"Pale Cocoon" è ambientato in un futuro indeterminato e narra le vicende di due protagonisti, Ura e Riko, che in una struttura sotterranea e inquietante (un po' un'ambientazione alla "Blame!" senza tuttavia entità robotiche) si dedicano ad un'attività tanto disturbante quanto inspiegabile: visionare in modo continuativo file, audio e video di un archivio elettronico per cercare indizi del passato che possano spiegare e quindi far comprendere il presente in cui si trovano.
Il regista e autore Yasuhiro Yoshiura, in quest'opera del lontano 2006, ha dato sfoggio delle sue capacità rappresentative in grado di trasmettere in poco più di venti minuti tante emozioni e sensazioni attraverso le immagini e scarni dialoghi.
In un crescendo di piccole scoperte e raccolta di indizi, il protagonista e di conseguenza anche lo spettatore, arrivano allo spiazzante finale che trasforma "Pale Cocoon" in un'opera di neppure tanto velata denuncia: una sorta di riflessione dell'autore/regista su un futuro distopico, degradato e alienante, conseguenza della cecità umana del passato.
Yoshiura si è dimostrato molto abile nel riuscire a creare una quasi totale immedesimazione dello spettatore con i protagonisti: il disorientamento di questi ultimi viene condiviso con chi guarda e la ricerca della verità, l'annaspare nella ricerca senza risposte accomuna tutti dietro e davanti lo schermo in un percorso quasi escatologico che fa assomigliare l'ambientazione del corto (una sorta di infinito pozzo a diversi livelli con una colonna centrale che sembra fornire energia) alla rappresentazione della Divina Commedia, dove la "salvezza" o la "verità" sembra possibile scoprirla una volta raggiunta la superficie (paradiso).
Da quanto appreso, sembra che Yoshiura ci abbia lavorato da solo: un po' come il primo Makoto Shinkai di "Hoshi no koe" ("La voce delle stelle"). Considerando che il corto è del 2006 devo ammettere che la resa visiva è molto buona, al pari del chara-design e del world building: l'ambientazione sotterranea è veramente suggestiva, con la sua colorazione cupa e inquietante, molto satura per risaltare la profondità del nero sulle macchie di luce molto ben circostanziate, che con le inquadrature sapienti non fanno altro che "evidenziare" il profondo senso di solitudine e smarrimento di coloro che abitano la comunità in una specie di incubo di prigionia degli umani davanti alle macchine alla spasmodica ricerca di se stessi (e in questo ricorda vagamente quelle inquadrature allucinanti di "Serial Experiments Lain").
Il finale, pur nella sua chiarezza, potrebbe lasciare spiazzato lo spettatore che, al pari del protagonista emerso dai sotterranei, si accorge che il flusso degli eventi e il relativo ricordo presenta una soluzione di continuità.
Tuttavia, la vita continua... sebbene le persone che la vivono sono nient'altro che in un limbo senza passato e in apparenza senza un futuro che giustifichino la presenza dell'umanità in quel luogo.
Yoshiura ormai 20 anni fa sembra avvertirci dei rischi di un'esistenza slegata dal contesto dal quale proveniamo: persa la misura della realtà, resta il nulla adimensionale.
Ogni tanto riscasco nella visione di opere sci-fi distopiche, impegnate, metaforiche e fors'anche filosofiche con atmosfere e ambientazioni cui è difficile attribuire una collocazione temporale e in cui l'umanità sembra aver smarrito la bussola e il senso dell'origine e della provenienza.
Di recente ho avuto l'occasione di imbattermi in un'opera simile - "Shelter" - che, partendo da premesse più o meno simili, sviluppa attraverso la durata di una canzone senza dialoghi una storia su un viaggio spaziale, tanto breve quanto intenso, composto da sole immagini struggenti ben supportate dalla lirica musicale.
Se il leit motiv di "Shelter" possa essere individuato nella solitudine, nel ricordo e nel dolore per il distacco da coloro cui siamo più affezionati, "Pale Cocoon" sembra privilegiare in modo preponderante lo smarrimento dei protagonisti per l'incapacità di conoscere e comprendere il passato a causa dell'assenza dei ricordi che possano dare la forza per affrontare l'ignoto che avviluppa i protagonisti.
"Pale Cocoon" è ambientato in un futuro indeterminato e narra le vicende di due protagonisti, Ura e Riko, che in una struttura sotterranea e inquietante (un po' un'ambientazione alla "Blame!" senza tuttavia entità robotiche) si dedicano ad un'attività tanto disturbante quanto inspiegabile: visionare in modo continuativo file, audio e video di un archivio elettronico per cercare indizi del passato che possano spiegare e quindi far comprendere il presente in cui si trovano.
Il regista e autore Yasuhiro Yoshiura, in quest'opera del lontano 2006, ha dato sfoggio delle sue capacità rappresentative in grado di trasmettere in poco più di venti minuti tante emozioni e sensazioni attraverso le immagini e scarni dialoghi.
In un crescendo di piccole scoperte e raccolta di indizi, il protagonista e di conseguenza anche lo spettatore, arrivano allo spiazzante finale che trasforma "Pale Cocoon" in un'opera di neppure tanto velata denuncia: una sorta di riflessione dell'autore/regista su un futuro distopico, degradato e alienante, conseguenza della cecità umana del passato.
Yoshiura si è dimostrato molto abile nel riuscire a creare una quasi totale immedesimazione dello spettatore con i protagonisti: il disorientamento di questi ultimi viene condiviso con chi guarda e la ricerca della verità, l'annaspare nella ricerca senza risposte accomuna tutti dietro e davanti lo schermo in un percorso quasi escatologico che fa assomigliare l'ambientazione del corto (una sorta di infinito pozzo a diversi livelli con una colonna centrale che sembra fornire energia) alla rappresentazione della Divina Commedia, dove la "salvezza" o la "verità" sembra possibile scoprirla una volta raggiunta la superficie (paradiso).
Da quanto appreso, sembra che Yoshiura ci abbia lavorato da solo: un po' come il primo Makoto Shinkai di "Hoshi no koe" ("La voce delle stelle"). Considerando che il corto è del 2006 devo ammettere che la resa visiva è molto buona, al pari del chara-design e del world building: l'ambientazione sotterranea è veramente suggestiva, con la sua colorazione cupa e inquietante, molto satura per risaltare la profondità del nero sulle macchie di luce molto ben circostanziate, che con le inquadrature sapienti non fanno altro che "evidenziare" il profondo senso di solitudine e smarrimento di coloro che abitano la comunità in una specie di incubo di prigionia degli umani davanti alle macchine alla spasmodica ricerca di se stessi (e in questo ricorda vagamente quelle inquadrature allucinanti di "Serial Experiments Lain").
Il finale, pur nella sua chiarezza, potrebbe lasciare spiazzato lo spettatore che, al pari del protagonista emerso dai sotterranei, si accorge che il flusso degli eventi e il relativo ricordo presenta una soluzione di continuità.
Tuttavia, la vita continua... sebbene le persone che la vivono sono nient'altro che in un limbo senza passato e in apparenza senza un futuro che giustifichino la presenza dell'umanità in quel luogo.
Yoshiura ormai 20 anni fa sembra avvertirci dei rischi di un'esistenza slegata dal contesto dal quale proveniamo: persa la misura della realtà, resta il nulla adimensionale.