Recensione
Recensione di MangAnimeEnthusiast
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Alla 2° produzione dopo l'ottimo esordio con MARY E IL FIORE DELLA STREGA, il neonato Studio Ponoc prosegue con un variegato insieme volto a dimostrare la loro versatilità narrativa.
Nella loro piccola natura, questi segmenti rivelano una semplicità senza pari, ma non per questo meno profonda o avvincente, in cui si evince fortemente la lezione derivata dagli anni di formazione al Ghibli, traslando a modo proprio quell'aspetto della loro poetica per cui tramite l'animazione è possibile colpire i punti più emotivi ed intimi del mondo, non importa quanto fantastico lo si possa concepire.
Nello specifico, i tre corti sono tutti legati dal sentimento d'isolamento provocato da determinate condizioni, costringendo i vari protagonisti a muoversi indipendentemente nel loro microcosmo senza possibilità d'influenzarlo o ribaltarlo ... o almeno così sembra.
KANINO E KANINI: diretto dal fondatore dello Studio Hiromasa Yonebayashi.
L'aspetto più intrigante risulta sicuramente essere la costruzione del mondo, che rimanda parecchio ad ARIETTY, guarda caso l'esordio alla regia di un lungometraggio dello stesso Yonebayashi.
In particolare a rendere il tutto più iconico è l'uso di un linguaggio appositamente inventato per tutta la durata, ma con cui si riesce comunque a rendere il tutto comprensibile e dolce, grazie al sentito rapporto tra i due protagonisti che si muovono con ardore e timore per tenere al sicuro la propria famiglia e l'un l'altra.
L'idea più colma di spunti interessanti tra le tre, e che mi fa tanto desiderare di vederla riadattata come un lungometraggio completo
LIFE AIN'T GONNA LOSE: diretto da Yoshiyuki Momose, è sicuramente il corto più vicino all'esperienza di molte persone.
Da apprezzare infatti il concretissimo realismo della frustrazione di Shun e la costante preoccupazione della madre per lui: si riesce a percepire perfettamente tutto il dolore, sia fisico che spirituale, specialmente l'uso sapiente della tecnica che verso il finale adotta un'impronta più "astratta", ma evito di andare oltre per evitare spoiler, aiutando ad immedesimare al meglio nell'emozione che voleva trasmettere.
INVISIBLE: diretto da Akihiko Yamashita, è il più adulto e "dark" dei tre segmenti, ma senza per questo appesantire il mood generale.
Tuttavia, è forse anche per questo che potrebbe risultare quello meno soddisfacente per molti, in virtù del potenziale dolceamaro che avrebbe potuto raggiungere livelli maggiori, nell'illustrare il sempreverde tema dell'alienazione sociale perennemente alla base dei dilemmi di gran parte della popolazione nipponica con la metafora dell'invisibilità che è stata a sua volta stata più volte sfruttata per sottolineare ciò anche su livelli più universale; ma a colmare il tutto vi è la spettacolare ed efficace animazione che raggiunge le vette più dinamiche del lotto, restituendo quasi la sensazione di un Live-Action come solo gli Anime riescono a fare fare.
Il modo in cui il silenzioso protagonista trasmette tutte le emozioni necessarie col solo linguaggio del corpo e qualche minimo verso striminzito è semplicemente incredibile e, ancora una volta, pregno di vero dolore, facendo meritare tutto il plauso possibile al lavoro degli animatori.
Quindi, in sostanza, quest'antologia si presenta come un buon titolo di mezzo che pur non riuscendo ad andare realmente a fondo oscillando tra superficialità e maggiore tridimensionalità permette a un nuovo Studio di continuare a esprimere il proprio approccio al mondo Anime a piccoli passi, dimostrando di aver saputo incorporare la lezione impartita dai Maestri da cui si è formato, col primo corto a richiamare atmosfere più miyazakiane, il secondo più alla Takahata, e infine il terzo come una sorta di mix tra i due; certo, la strada verso un'effettiva dimestichezza per affermare una propria identità totale è ancora lunga, ma senza per questo dare l'impressione di essere una sbiadita copia, destando dunque curiosità e fascino in modo modesto ma pungente al tempo stesso.
Nella loro piccola natura, questi segmenti rivelano una semplicità senza pari, ma non per questo meno profonda o avvincente, in cui si evince fortemente la lezione derivata dagli anni di formazione al Ghibli, traslando a modo proprio quell'aspetto della loro poetica per cui tramite l'animazione è possibile colpire i punti più emotivi ed intimi del mondo, non importa quanto fantastico lo si possa concepire.
Nello specifico, i tre corti sono tutti legati dal sentimento d'isolamento provocato da determinate condizioni, costringendo i vari protagonisti a muoversi indipendentemente nel loro microcosmo senza possibilità d'influenzarlo o ribaltarlo ... o almeno così sembra.
KANINO E KANINI: diretto dal fondatore dello Studio Hiromasa Yonebayashi.
L'aspetto più intrigante risulta sicuramente essere la costruzione del mondo, che rimanda parecchio ad ARIETTY, guarda caso l'esordio alla regia di un lungometraggio dello stesso Yonebayashi.
In particolare a rendere il tutto più iconico è l'uso di un linguaggio appositamente inventato per tutta la durata, ma con cui si riesce comunque a rendere il tutto comprensibile e dolce, grazie al sentito rapporto tra i due protagonisti che si muovono con ardore e timore per tenere al sicuro la propria famiglia e l'un l'altra.
L'idea più colma di spunti interessanti tra le tre, e che mi fa tanto desiderare di vederla riadattata come un lungometraggio completo
LIFE AIN'T GONNA LOSE: diretto da Yoshiyuki Momose, è sicuramente il corto più vicino all'esperienza di molte persone.
Da apprezzare infatti il concretissimo realismo della frustrazione di Shun e la costante preoccupazione della madre per lui: si riesce a percepire perfettamente tutto il dolore, sia fisico che spirituale, specialmente l'uso sapiente della tecnica che verso il finale adotta un'impronta più "astratta", ma evito di andare oltre per evitare spoiler, aiutando ad immedesimare al meglio nell'emozione che voleva trasmettere.
INVISIBLE: diretto da Akihiko Yamashita, è il più adulto e "dark" dei tre segmenti, ma senza per questo appesantire il mood generale.
Tuttavia, è forse anche per questo che potrebbe risultare quello meno soddisfacente per molti, in virtù del potenziale dolceamaro che avrebbe potuto raggiungere livelli maggiori, nell'illustrare il sempreverde tema dell'alienazione sociale perennemente alla base dei dilemmi di gran parte della popolazione nipponica con la metafora dell'invisibilità che è stata a sua volta stata più volte sfruttata per sottolineare ciò anche su livelli più universale; ma a colmare il tutto vi è la spettacolare ed efficace animazione che raggiunge le vette più dinamiche del lotto, restituendo quasi la sensazione di un Live-Action come solo gli Anime riescono a fare fare.
Il modo in cui il silenzioso protagonista trasmette tutte le emozioni necessarie col solo linguaggio del corpo e qualche minimo verso striminzito è semplicemente incredibile e, ancora una volta, pregno di vero dolore, facendo meritare tutto il plauso possibile al lavoro degli animatori.
Quindi, in sostanza, quest'antologia si presenta come un buon titolo di mezzo che pur non riuscendo ad andare realmente a fondo oscillando tra superficialità e maggiore tridimensionalità permette a un nuovo Studio di continuare a esprimere il proprio approccio al mondo Anime a piccoli passi, dimostrando di aver saputo incorporare la lezione impartita dai Maestri da cui si è formato, col primo corto a richiamare atmosfere più miyazakiane, il secondo più alla Takahata, e infine il terzo come una sorta di mix tra i due; certo, la strada verso un'effettiva dimestichezza per affermare una propria identità totale è ancora lunga, ma senza per questo dare l'impressione di essere una sbiadita copia, destando dunque curiosità e fascino in modo modesto ma pungente al tempo stesso.