Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Un venerdì all'insegna della fantascienza con Daicon III Opening Animation, Ergo Proxy e Gulty Crown.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Possono cinque minuti rappresentare l'alba di una nuova era?
Forse è un esagerazione, ma "Daicon III" è l'inizio di una lunga storia di successi e sogni realizzati, una storia di giovani studenti universitari chiamati a realizzare un cortometraggio animato per il XX "Japan Science Fiction Convention", a Osaka, nel lontano 1981. Il nome "Dai-con" sembrerebbe essere l'insieme di Dai, ovvero grande, richiamando così il significato del nome di Osaka ("grande pendio"), e Con, cioè convention.
Gli studenti universitari si diceva, Hiroyuki Yamada a capo del progetto, Hideaki Anno su mecha design ed effetti speciali, per i quali aveva un innato talento, e infine Takami Akai su chara design e sfondi.

Realizzazione low-budget - pare siano stati utilizzati fogli di vinile per le sequenze, al contrario delle ben più comode e funzionali cel di acetato -, "Daicon III" fece comunque la sua bella figura alla convention, stracolma di appassionati di fantascienza, grazie alle sue numerose citazioni (un Gundam che diventa Ideon, la corazzata Yamato e l'Enterprise, mostri giapponesi vari) ma soprattutto grazie a un entusiasmo immediatamente avvertibile, un anime realizzato da veri appassionati di anime, che tramite essi sono cresciuti. Una svolta ideologica storica che di lì a poco avrebbe invaso l'intera industria dell'animazione giapponese, i bambini cresciuti con Tezuka e Nagai, ora adulti, s'impongono con la loro creatività tramite la linfa del semplice piacere da "otaku", visivo e concettuale, fosse anche soltanto una ragazza vestita da coniglietta che distrugge mostri e robot, ma questa è un'altra storia.

Va da sé che tecnicamente "Daicon III" risente del passare del tempo, al contrario del suo celeberrimo sequel, animazioni scarne, immagini sgranate e disegni poco definiti, ma l'entusiasmo c'è tutto e si avverte distintamente ancora oggi come pure la voglia di emergere e di "opportunità" rappresentata, secondo il produttore e primo presidente Gainax Toshio Okada, dall'acqua che la ragazzina protegge da coloro che vogliono sottrargliela. Ma alla fine la ragazzina avrà la meglio sui suoi nemici e l'acqua le permetterà d'iniziare il suo "viaggio" su una grande astronave a forma di vegetale con due buffe figure sedute ai comandi, uno dei due è proprio Toshio Okada, l'altro è Yasuhiro Takeda. Come dire, ora tocca a noi.
Difficile quindi giudicare "Daicon III" per ciò che è, semmai va giudicato per ciò che simboleggia, un inizio di qualcosa di grandioso, "Daicon III" è una porta che si spalanca, timidamente, verso il futuro. Opening Animation, appunto.



10.0/10
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Shuko Murase ("Witch Hunter Robin") alla regia; Dai Sato ("Cowboy Bebop", "Ghost in the Shell: Stand Alone Complex", "Samurai Champloo") alla sceneggiatura; Masui Soichi ("FullMetal Alchemist", "Beck") e Shinichiro Watanabe ("Cowboy Bebop", "Samurai Champloo", "Eureka Seven") allo storyboard...con nomi del genere, cosa vi aspettereste?
Un'opera speciale, io direi, alquanto particolare ed estremamente affascinante. "Ergo Proxy" nasce nel 2006 con tutte le potenziali premesse in grado di riportare in auge temi estremamente ostici, come la psicologia e la mentalità umane, il rapporto uomo-macchina, il sistema che "regola" e controlla ogni cosa, la religiosità. Tematiche certo non innovative, possiamo infatti notare come questo titolo strizzi l'occhio a lavori come "Appleseed" (2004), "Evangelion", "Ghost In The Shell", ma senza dubbio "Ergo Proxy" non ha nulla da invidiare a questi, essendo opera di innegabile spessore e dotata di personalità propria.

Tale personalità appare evidente dalle prime battute, dove un tripudio di elementi steampunk e post-cyberpunk fanno la loro comparsa generando, grazie a uno storyboard mozzafiato, un senso d'inquietudine e di curiosità difficilmente scrollabili, con l'aggiunta di una buona dose di adrenalinica azione e con conseguente attaccamento allo schermo da parte dello spettatore spaesato. Non è una serie come le altre, lo si realizza dopo poco, ed è proprio quell'inconsuetudine nata dal "non saper ancora nulla", che rende l'esperienza tremendamente coinvolgente come poche altre.

Lo scenario non si limita a ospitare i protagonisti del copione, ma, mostrandosi a essi sotto le spoglie di una società all'apparenza pulita, perfetta, e rivelando invece al pubblico il suo lato più oscuro e crudele, diviene un mondo sempre più contorto, diviso tra reale e irreale, con il quale sembra talmente ovvio convivere che risulta difficile staccarsene.
Questo mondo, svelandosi a poco a poco anche ai protagonisti delle vicende, costringerà questi a recuperare la dimensione del loro essere (Vincent Law), a distinguere la realtà dalla finzione (Re-l Mayer), a comprendere il valore dei sentimenti (Pino).
E' proprio a quest'ultimo personaggio, la piccola autoreiv Pino, che si rivolge forse, oltre all'affetto, l'attenzione maggiore, essendo essa capace, seppur involontariamente, di cogliere tutto ciò che la circonda con leggerezza, con il sorriso: è questa particolarità che la rende una sorta di tramite in grado di porre in risalto la drammaticità dell'esistenza altrui, cioè il fardello dell' "essere umani", del "pensare, quindi esistere" ("cogito ergo sum", ovvio riferimento a Cartesio) che i suoi compagni di viaggio devono loro malgrado sopportare.

La serie quindi non va erroneamente giudicata solamente per ciò che ci mostra in quanto trama, ma, in primo luogo, per le riflessioni profonde che scaturiscono dall'analisi dei personaggi, e infatti si denota ciò anche negli sviluppi della storia: inizialmente frenetica e imponente, la sceneggiatura, con il proseguire degli episodi, tende ad appiattirsi e a ritrovare stabilità, ma non in senso negativo, non si parla affatto di filler, bensì di recupero dei veri valori vitali da parte dei personaggi, di esternazione di emozioni semplici paradossalmente dimenticate o, per quanto riguarda Re-l, rinnegate. Insomma la serie non cala di tono, purché così possa sembrare, ma prova a dare spazio a una crescita caratteriale dei protagonisti alquanto necessaria.
I progressi della trama principale si osservano comunque nelle battute finali, dove effettivamente troppi eventi si combinano in maniera pretenziosa lasciando non pochi dubbi in sospeso e alimentando in modo un po' superficiale e affrettato la complessità di una storia già tosta da seguire.

Insomma, "Ergo Proxy" è un anime che si scosta poco dai capolavori, ma che ritengo imperdibile. Una tale opera non va per nulla al mondo trascurata, e mi rivolgo soprattutto ai fan dell'animazione atipica, che troveranno pane per i loro denti con un'avventura complessa, criptica, mistica, ricca di rimandi filosofici, artistici, storici, religiosi, oltretutto realizzata ottimamente, con un impiego più che efficace di grafica computerizzata mista ai disegni a mano, con una colonna sonora adattissima, un adattamento italiano più che buono (la qualità del doppiaggio è altalenante, ma complessivamente godibile), e un'opening da far sognare, letteralmente.



5.0/10
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"Guilty Crown" è un'altra bella occasione sprecata. Partito con ottimi presupposti, sia dal punto di vista della trama sia da quello dell'ambientazione e della realizzazione tecnica, questo anime riesce a rovinare tutto, a partire da metà serie.
Ma partiamo dall'inizio. La trama di "Guilty Crown" inizia con il nostro protagonista, Shu, che salva una strana ragazza, Inori, da alcuni soldati che la stanno inseguendo. Nel mondo di "Guilty Crown" gli esseri umani hanno affrontato una gravissima crisi dovuta a un'improvvisa epidemia di un virus chiamato "Apocalisse", capace di trasformare in cristallo il corpo dei malati. Tokyo è stato l'epicentro dell'epidemia e vive tuttora in un regime di semi-quarantena, controllato dalle forze degli altri paesi della Terra.
Non c'è grande amore verso le forze occupanti, e in questo quadro si colloca anche Inori, che si scopre subito essere membro di una organizzazione ribelle chiamata "shogisha" (letteralmente "pompe funebri") che ha lo scopo di contrastarli. Inori ha rubato dal quartier generale delle forze occupanti un "genoma Void", destinato al capo dell'organizzazione, Gai. Qualcosa però va storto e Shu finisce per usare e assorbire tale "genoma", acquisendo il potere di estrarre dalle persone il loro "Void", una sorta di materializzazione della loro anima. Da qui, Shu si troverà volente o nolente ad avere a che fare con Shogisha e cercherà prima di rifiutare, poi di farsi accettare come membro dei ribelli.
La trama prosegue relativamente lineare ma appassionante fino all'episodio 12, dove una bruschissima serie di colpi di scena rovescia completamente tutte le carte in tavola, trasformando la serie in qualcosa di totalmente diverso.
Indipendentemente dall'apprezzare o meno il cambio radicale nella trama, questa decisione porta a percepire quest'anime come due metà nettamente distinte, sia per temi sia per personaggi. Se infatti perlopiù non ci sono aggiunte massicce al cast, tale colpo di scena modifica drasticamente le personalità, primo su tutti Shu.

La gestione della trama è irregolare e non accurata: molti dettagli vengono tenuti sospesi, vi sono accenni di sotto-trame mai sviluppate che lasciano l'amaro in bocca, fino ad arrivare ad una conclusione anticlimatica e fiacca che non lascia molto allo spettatore.
La sensazione che se ne ho avuto è che si sia tentato di emulare in qualche modo altri anime sul genere (la mente va a "Evangelion" o a "Rahxephon", che coniugavano mecha con una massiccia dose di psicologia e introspezione), senza però avere le capacità per intrecciare una storia complessa in modo coerente e senza riuscire a dare uno sviluppo psicologico credibile ai personaggi.
Infatti così come la storia, anche i personaggi non riescono a convincere: hanno uno sviluppo psicologico, ma poco credibile e a volte un po' stereotipato.
Shu sembra quasi non avere un carattere proprio, Gai, altro personaggio carismatico, finisce per diventare l'ombra di se stesso. Inori è incredibilmente piatta e mono-espressiva, perlopiù tutti gli altri personaggi non hanno grandi possibilità di crescere emotivamente. Forse l'unica eccezione è data dal personaggio di Aya, che matura in modo abbastanza sensato e coerente.
Neanche i temi trattati convincono: la parte mecha è a malapena accennata e ha poco spazio reale nel corso dei 22 episodi: la "scienza" che viene presentata si limita a usare qualche termine realmente esistente mescolando però il tutto in una fanta-scienza che farà al massimo ridacchiare chi se ne intende un po' di genetica. Nemmeno il tema dell'amore, molto presente nel corso dell'opera, viene davvero sviluppato in modo soddisfacente: il tutto viene accennato, buttato lì, ammiccato, per poi svanire in una bolla di sapone.

Dal punto di vista tecnico invece, non c'è nulla da dire: la realizzazione è davvero molto buona, le animazioni fluide, il character design gradevolissimo. Il fanservice è presente ma non eccessivo e non disturba più di tanto. L'uso della CG è sapiente e si amalgama molto bene con la parte disegnata. La colonna sonora è molto apprezzabile, composta sia da da brani cantati sia da brani solo strumentali.
In definitiva, "Guilty Crown" è una bella scatola finemente decorata ma che al suo interno risulta vuota. Nella sua interezza non mi ha suscitato nulla, neanche rabbia per il finale annacquato, solo un "mah".
Voto finale 5. Tecnicamente è una gioia per occhi e orecchie, ma senza una trama convincente e ben organizzata, la sufficienza, non posso proprio dargliela.
Un vero peccato.