Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo a titoli anni '80, con il manga N. Y. komachi e gli anime Aura Battler Dunbine e Sengoku Majin Goushougun: Toki no Etranger.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


8.0/10
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È il primo manga che leggo di Waki Yamato e devo dire di non esserne stata per niente delusa. Conosco "Una ragazza alla moda" (avendo visto il cartone di "Mademoiselle Anne" da bambina) e qui in "N. Y. Komachi" riconosco lo stesso tratto preciso e pulito dei disegni e lo stesso chara design. Il tema sociale della condizione della donna in Giappone si ritrova anche qui, forse in maniera ancora più marcata. Una giovane donna (cresciuta come un maschio) che trovandosi di colpo in una situazione per lei "anomala" vuole mantenere la sua indipendenza come un uomo, in una società dove la donna è vista solo come una moglie che cura la casa e cresce in figli. Per i giapponesi vedere la donna mantenersi con un lavoro è un disonore e alla Yamato questo tema probabilmente sta molto a cuore. Soprattutto per combatterlo, e nei suoi manga lo fa davvero con convinzione. Si parla anche della grande diffidenza che in quel periodo i giapponesi avevano per gli stranieri e questo è un particolare importante nello sviluppo della trama. Le avventure vissute da Shino sono davvero divertenti e anche i suoi amici non sono da meno. Tutti interessanti e affezionati. Per non parlare dei suoi nemici... Un vero spasso. Gliene capitano davvero di tutti i colori. Risolve un problema e subito si trova in un altro guaio! Mi sono trovata in certe situazioni a ridere davvero di cuore. E non è facile far ridere le persone.
Ma la cosa più importante, come in tutti gli shoujo manga, è l'amore e anche qui la trama è ben sviluppata e mai noiosa. Penso che leggerò altri manga di questa autrice perchè mi piacciono molto i suoi disegni, anche ogni tanto con facce comiche, e le sue storie. Un bell'otto se lo merita. Consigliato.



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1983, Tomino dona al mondo dell'animazione giapponese "Aura Battler Dunbine", una delle prime (se non la prima) opere fantasy provenienti dal "paese del sol levante". A ben guardare si può tuttavia scorgere un aspetto ulteriore, "Dunbine" non è un mero fantasy ma un esperimento particolarmente bizzarro e insolito, che vede l'armonizzarsi della componente "fiabesca" e "medievaleggiante" con un ingrediente tipicamente tominano: il mecha.
A questo punto devo chiedere gentilmente al lettore dubbioso e diffidente di non smettere di leggere, scettico o nauseato che sia all'idea di un simile accostamento. Invero, Tomino riesce a fondere e a coordinare questi due mondi e generi, apparentemente impenetrabili ed estranei tra loro, con grande semplicità, rendendoli anzi la base per impostare l'intero e più intimo significato dell'opera. Questa serie inoltre rientra a pieno diritto (assieme a "Ideon" e "Z Gundam") in quel gruppo di lavori, accomunati da un elevato tono di pessimismo e drammaticità, che cagionarono al loro ideatore il nomignolo di "Kill 'Em All Tomino".

Persino un profano potrebbe presagire, a questo punto, il tema fondamentale della serie. Tale non è altro che la guerra, una guerra tragicamente necessaria, seguita attraverso il suo evolversi ed espandersi mediante una frenetica corsa agli armamenti (la militarizzazione) e il progresso. Una trattazione che viene condotta fino al suo estremo e annichilente approdo. Questi due fattori, attorno ai quali ruota l'intera opera, sono i cardini dell'interpretazione tominiana della guerra e si può assaporare una non certo velata critica nei loro confronti. Impossibile negare, pertanto, che "Dunbine" non sia esente da un idealismo dal retrogusto quasi imbarazzante, tuttavia si può notare come questo cerchi di bilanciarsi con un evidente "pessimismo" ontologico. Viene spiegato, infatti, che in Byston Well le piaghe della guerra e della corruzione erano già presenti ben prima dell'avvento di Shott Weapon, araldo del progresso; tale accadimento ha comportato solo un'esasperazione della situazione precedente, un'alterazione dell'equilibrio tra poteri. Il progresso infatti determina un estendersi della guerra in scale gradatamente sempre più grandi. Si tratta di una differenza più quantitativa che qualitativa. Questo discorso è importante, se non fondamentale, poiché lascia a intendere che il mondo naturale e incontaminato di Byston Well non è in realtà l'ideale perfetto che molti credono, bensì un universo in cui il conflitto è presenza radicalmente necessaria, se non preponderante. Finanche la "Natura" stessa appare affatto egoista, non a caso la regina delle Ferario agisce in guisa tale da imitare il mirabile esempio di Pilato, lavandosi letteralmente le mani degli affanni che "non la riguardano". Queste distinzioni e precisazioni pongono la riflessione proposta dalla serie in un'ottica meno semplicistica, sebbene non si possa superare una certa rigidità soprattutto per quanto riguarda il cast.

Con riferimento a questo punto si può agevolmente notare, contrariamente a "Ideon", una linea di demarcazione piuttosto netta tra i "Buoni" e i "Cattivi". In "Dunbine" i personaggi principali sono chiaramente e aprioristicamente Buoni (la loro è solo una reazione idealistica ai piani di conquista dei cattivi), Drake e i suoi alleati invece appaiono inderogabilmente come malvagi e corrotti, nella tecnologia trovano uno strumento in più per attuare i loro piani. Non vengono poste, se non raramente, questioni di relativismo morale. Questo accade perché le motivazioni di base delle fazioni, ovvero il motore di tutto, sono piuttosto idealizzate, sebbene si assista a dei tentativi di equilibrare le due parti ciò non è sufficiente a ribaltare la situazione. Siffatto modo di fondare l'intreccio ha, a mio parere, reso rigida la trattazione, che poteva giungere a considerazioni di uno spessore più elevato.
A favore si può però sostenere che "Dunbine", per certi versi, non predilige nessuna delle due fazioni, estromettendo così il fastidioso paradigma del "buono" che vince sempre e che non muore mai. Spesso i "nostri" falliscono miserabilmente nei loro intenti, mentre i nemici si rivelano maggiormente abili e scaltri. Pertanto, sebbene i protagonisti non escano molto dai ruoli loro imposti, non godono di una posizione privilegiata. Coloro che potremmo definire i "buoni" non esitano a usare la violenza per rimediare alla violenza medesima, e di questo pagheranno il fio, a discapito dei loro nobili ideali. La conclusione quindi sancisce come morale il fatto che la guerra sconfigge tutti, senza che vi sia vincitore alcuno.

Con "Ideon" vi sono altresì pregnanti affinità: ad esempio il ricorrere del tema circa il rapporto genitore-figlio, molto importante soprattutto per ciò che concerne la figura di Elmelie. Si può parlare anche dello scontro tra civiltà, della lotta tra culture, senza dimenticare le vicende sentimentali che, in entrambi i lavori, svolgono un ruolo d'insostituibile sottofondo, donando ulteriori sfumature caratteriali ai personaggi.
"Dunbine", imprevedibilmente, si rivela anche spensierato: vi sono diversi momenti di distensione e allegria che si alternano a quelli di disperazione e conflitto. Questi siparietti permettono di attenuare la pesantezza narrativa, marchio di fabbrica di Tomino, e di fornire colore e maggiori sfumature all'ambientazione.
L'epilogo, infine, esplode in un mattatoio di emozioni, non si trattengono i colpi e "Kill 'Em All Tomino" non tradisce la sua fama, concludendo le vicende in modo tragico e annichilente.

Il lato tecnico e la sceneggiatura a mio avviso non sono dei migliori. "Dunbine" presenta diversi difetti "tipici" e ricorrenti: abbondano le sequenze riciclate, le coincidenze, le ingenuità. Spesso si assiste a sezioni eccessivamente lunghe e ridondanti, concentrate su un unico combattimento o situazione, senza contare la grande lentezza espositiva del tutto. Ciò potrebbe causare non pochi problemi a uno spettatore abituato ai ritmi più moderni, portandolo velocemente alla noia.
Non commettete l'errore di abbandonare la visione di "Dunbine" per un motivo così futile, il finale saprà ampiamente ripagare, emotivamente, le parti più statiche e lente immediatamente precedenti, offrendo un momento molto intenso e denso di emozioni.



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Se state pensando che abbia deciso di vedere questo film perché stregata dalla copertina con una bionda armata di pistolone che mi prometteva di vedere una sonora trashata all'insegna dell'orgoglio imbecille, be', sappiate che è un complotto delle toghe rosse, non credeteci.
Comunque, "Goshogun: Time Stranger" è un film spin off di Gotriniton, dimenticabile anime robotico anni Ottanta. E' uno spin off in quanto la protagonista assoluta è Remy, uno dei personaggi della serie tv. In questo film la bionda pistolera viene coinvolta in un incidente stradale, dove rimane gravemente ferita. In coma, tutto il resto del cast di Gotriniton si riunisce al suo capezzale in ospedale dove i medici daranno loro un'orrenda notizia: le sue speranze di risvegliarsi sono pochissime, entro due giorni morirà. L'azione subito dopo si sposta in un paese mediorientale, dove Remy è in missione assieme ai suoi compagni. Lì incontrerà una bambina a cavallo di una pantera che le mostrerà delle foto in cui Remy è un cadavere sanguinolento e le predirà che morirà tra due giorni.

Non mi aspettavo a dire la verità una trama così interessante da parte di un film tratto da un anime che fu tutto fuorché epocale: forse che "Goshogun: Time Stranger" è un nuovo "Lamù: Beatiful Dreamer"? Non credo proprio.
L'idea di metaforizzare la lotta per la sopravvivenza di Remy attraverso un sogno in cui la nostra eroina deve capire come evitare di morire entro due giorni è in sé intelligentissima, ma credo che solo un regista del calibro di Satoshi Kon avrebbe potuto tirare fuori da un pretesto del genere qualcosa di eccezionale, mentre qui ci troviamo di fronte a un prodotto scadente sotto ogni punto di vista.
Certo, l'inizio fa ben sperare a dire la verità, visto che è un trionfo di flashback e flashforward e gioca su più livelli tra la vicenda dell'incidente, l'infanzia di Remy e la missione in cui è coinvolta. Il problema però è che dopo la prima mezz'ora si passa come se niente fosse dall'onirico al soporifero. Si vede da lontano un miglio che gli sceneggiatori si erano sparati tutte le cartucce subito, con il risultato che la trama va in loop per quaranta minuti abbondanti. Non è un dettaglio se vi dico che per tre quarti di film Remy è inseguita da qualcuno, è praticamente lo svolgimento di tutto il film, con l'aggravante che si continua a insistere con i ricordi dell'infanzia di Remy. Dato che l'anime perde subito quota e il nesso tra la missione e il coma di Remy diventa estremamente flebile, i flashback dell'infanzia hanno come unico scopo quello di ricordare allo spettatore che quello a cui sta assistendo è un sogno. Il risultato? Che il ritmo narrativo si interrompe senza motivazione apparente con delle scene che sembrano letteralmente piombare dal nulla.

Insomma, "Goshogun: Time Stranger" è un anime pieno di ambizione che si è sgonfiato come un soufflé immediatamente.
Non si vede luce nemmeno dal comparto tecnico. Nonostante sia un film, non si è investito tanto sulla sua realizzazione, anzi, sembra di assistere né più né meno a un episodio lungo di Gotriniton, che era pure di qualche anno prima. Nemmeno la colonna sonora si distingue.
In sintesi Goshogun è solo un'occasione sprecata sotto tutti i punti di vista. Peccato, perché lo spunto di base era interessantissimo.