Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero con gli anime Sword Art Online, Love Lab e Strike the Blood.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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Da molti anni ormai sono un giocatore di "World of Warcraft", il videogioco della Blizzard che ha battuto praticamente ogni record di vendite nel settore dei giochi online; conosco bene, quindi, le dinamiche che sono alla base dei MMORPG e dell'effetto che questi hanno sulle abitudini dei giocatori. E' questo un fenomeno che andrebbe studiato con molta attenzione: personalmente lo ritengo come uno degli elementi che costituiscono una vera e propria spia del nostro tempo, in cui sempre più spesso le persone cercano una via di fuga da una realtà che non offre sogni, ma solo crisi e depressione. Nei MMORPG, infatti, si possono impersonare personaggi più belli (oddio, io ho un troll, non credo sia più bello di me!), più forti, con capacità eccezionali, capaci di risolvere senza troppi sforzi le principali necessità economiche e immersi in paesaggi fantastici, anche se virtualmente pericolosi (ma questo costituisce uno stimolo in più).
Da cultore di questi giochi, ovviamente, non potrei parlarne male; in fondo, essi costituiscono solo l'evoluzione di quello che da sempre è stato uno dei sogni dell'uomo: vivere in prima persona nelle storie che ascoltava, il poter essere parte dei libri che leggeva, l'essere protagonista dei film che vedeva (e ciò vale anche per gli anime) e così via. Grazie allo sviluppo dell'informatica è stato possibile realizzare almeno parzialmente questo sogno e questo non è necessariamente un male; dipende dal modo a cui ci si approccia ad esso. Va bene voler scappare per un po' dalla realtà (in fondo, come detto, basta anche semplicemente leggere un libro per farlo), ma l'arrivare a sostituire la realtà con la virtualità è un sintomo di disagio e non porta a nulla di buono.
Anche senza questo "Sword Art Online" era abbastanza facile capire quale potesse essere il prossimo passo che, in un futuro più o meno lontano, ci si attende dalla tecnologia per poter essere sempre più protagonisti delle nostre fantasie: l'abbinamento realtà virtuale - MMORPG.

"Sword Art Online" descrive la realizzazione di questo sogno, ossia la possibilità di agire in prima persona all'interno di un videogame senza più bisogno di tastiera e mouse, ma trasferendo direttamente la propria mente all'interno del gioco stesso. Questo sogno, però, si trasformerà rapidamente in un vero e proprio incubo, in quanto il suo creatore decide di mantenere intrappolati in questa realtà virtuale tutti i suoi giocatori, fino a che qualcuno di essi non fosse stato in grado di completarlo. E, ovviamente, chi muore all'interno del gioco muore anche nella vita reale, vittima di una scossa elettrica.
Questo anime è un misto tra azione e fantasy, ma una grandissima importanza hanno anche la componente sentimentale (la storia fra Kirito e Asuna sarà il perno su cui si muoverà tutta la trama) e quella sociologica. Quest'ultima, in particolare, offre sprazzi (limitati purtroppo) di grande profondità nell'analisi del comportamento umano in condizioni così "particolari": si va dalla ricerca dell'amicizia e dell'amore alla manifestazione di comportamenti devianti come la prepotenza e il sorgere di forme di criminalità; c'è chi, dopo lo shock iniziale, si rassegna, accetta la sua nuova condizione e cerca di ricrearsi un'esistenza nuova e tranquilla e c'è chi, invece, combatte fino alla fine pur di tornare alla realtà di tutti i giorni. In più, anche chi combatte sente il desiderio di momenti di relax da destinare al riposo, all'amore e alla vita di tutti i giorni (un po' come i soldati veri, in fondo). Se avessero dedicato un po' più di spazio anche agli effetti del "ritorno alla normalità", da questo punto di vista "Sword Art Online" sarebbe stato un lavoro davvero superbo.

L'analisi di questo anime va diviso in due parti: la prima riguarda il modo in cui il mondo dei MMORPG è stato ricreato, mentre la seconda si basa sul giudizio di questo titolo da un punto di vista della godibilità complessiva.
Per quanto riguarda il primo punto, la trasposizione riesce abbastanza bene: molto spazio viene dedicato alla spiegazione delle varie dinamiche di gioco, con l'inserimento di boss di fine livello (anche se forse se ne vedono troppo pochi) che possono essere sconfitti solo in raid (quando Kirito vince in solitario la cosa fa molto, ma molto sorridere), con la presenza e la spiegazione delle gilde, delle classi e delle professioni (non capisco, ad esempio, chi si è lamentato per la presenza di parti dedicate a cooking e a fishing, presenti praticamene sempre nei MMORPG). C'è, inoltre, una parte PVE (Player Versus Environment) e una parte PVP (Player Versus Player). Quello che manca, a mio avviso, è la distinzione fra tank, dps e healer, ruoli indispensabili per affrontare un'avventura del genere; in più, tenendo conto che parte della popolazione si rassegna e non partecipa, i sopravvissuti sono troppi, il che fa supporre che molti boss vengono sconfitti al "primo colpo", senza sapere assolutamente nulla sulle loro caratteristiche o abilità speciali.
Passiamo al secondo punto, ossia quello della godibilità. Premetto che "Sword Art Online" è riuscito a tenermi incollato allo schermo dall'inizio alla fine e questo è un fattore a cui va data molta rilevanza; tuttavia non si può far a meno di constatare la presenza di molti episodi abbastanza noiosi. Ma ciò che fa crollare la mia valutazione complessiva (che sarebbe stata molto alta in caso contrario) è l'incomprensibile scelta di far completare il gioco a metà della serie per poi continuare il tutto in un altro MMORPG, molto più noioso e in cui il personaggio principale (Kirito) ha come sua partner principale la sua sorellina che, ovviamente, è invaghita di lui. Una caduta di stile e interesse troppo evidente per non essere riportata.

In definitiva, do un giudizio complessivo positivo, anche se c'è un nettissimo divario fra i primi dodici episodi (la cui valutazione per quanto mi riguarda è molto alta) e i successivi tredici (davvero deludenti). E' comunque, questo, un esperimento da ripetere, ha grandissime potenzialità che possono essere sfruttate decisamente meglio.



8.0/10
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Con un po' di ritardo si chiude l'ultima serie dell'altalenante stagione estiva 2013 con un prodotto apparentemente anonimo e banale, ma che fortunatamente è molto più gradevole delle apparenze. Love Lab è una commedia scolastica piuttosto ben realizzata che può riservare delle piacevoli sorprese agli spettatori.

Love Lab è una serie della stagione autunnale 2013 composta da 13 episodi di durata canonica. L'opera deriva dall'omonimo manga yonkoma del 2006.

Trama: l'accademia femminile Fujisaki è famosa per le sue ottime studentesse. Fra queste spicca la presidentessa del consiglio d'istituto Natsuo Maki, famosa per il suo fascino discreto, la sua eleganza, la sua intelligenza e la sua personalità calma e composta. Viceversa: Riko Kurahashi è famosa per la sua personalità mascolina e "selvaggia" (da notare i suoi splendidi canini prominenti e le sue acconciature variabili) che fa sciogliere i cuoricini delle altre studentesse. Un giorno, per caso, Riko s'imbatte in Natsuo mentre si spupazza un gigantesco cuscino in cui è disegnato il suo uomo ideale, venendo a conoscenza di un lato della sua personalità piuttosto imbarazzante. Riko è costretta a mantenere il segreto facendosi "reclutare" nel consiglio d'istituto e, atteggiandosi da grande esperta nelle relazioni sentimentali, dovrà fornire dei consigli d'amore alla povera Maki, pur essendo anch'ella totalmente inesperta in materia. La cosa però le sfuggirà di mano, e verrà istituito il "Love Lab", ossia una rubrica dedicata a tutte le studentesse che soffrono per problemi di cuore. Riuscirà la povera Riko a cavarsela con disinvoltura e a dispensare consigli utili alle giovani fanciulle innamorate?

Grafica: molto carina pur essendo relativamente semplice. Le ambientazioni si limitano prevalentemente al contesto scolastico, e sono realizzate con una discreta cura per i dettagli. Le animazioni sono piuttosto semplici ma non mancano di una discreta fluidità. Ottimo character design che risulta abbellito rispetto al manga.

Sonoro: non eccellente. In Love Lab il comparto sonoro meritava forse qualcosa in più. L'opening è la classica spremuta di loli. L'ending è più orecchiabile, allegro e vivace. Gli OST non sono brutti, però spesso risultano anonimi. Buoni gli effetti speciali. Ottimo doppiaggio.

Personaggi: di una simpatia contagiosa. Le ragazze di Love Lab sono caratterizzate in maniera semplice ma efficace, spesso ricalcando e parodiando i vari stereotipi caratteriali: dalla tsundere, alla dojikko, dalla maschiaccia alla fanciulla perfetta e così via. Il lato introspettivo è marginale, seppur presente, in compenso vi è un discreto fattore evolutivo. L'interazione s'attesta su ottimi livelli.

Sceneggiatura: se non avessi scoperto che la serie deriva da un manga yonkoma, probabilmente non l'avrei nemmeno notato, poiché, a differenza di altre trasposizioni animate dello stesso genere, Love Lab non sembra presentare una sequenza di microepisodi presente nella stessa puntata. Tutto sembra un unico episodio costellato dalle varie battute. La gestione temporale è semplice e fluida, di tanto in tanto sono presenti alcuni flashback. Il ritmo s'attesta su livelli medi. Sono presenti alcune scene d'azione/violenza a chiaro scopo parodistico. Il fanservice è inesistente. I dialoghi sono ottimi per resa comica.

Finale: molto simpatico e carino seppure non sia minimamente risolutivo ai fini della trama. Il finale è perfetto per il genere dell'opera.

In sintesi: Love Lab è uno dei pochi prodotti validi della stagione estiva 2013. Un'opera frizzante, parodistica, sagace, allegra e sa intrattenere molto bene prendendo in giro i vari stereotipi caratteriali. Certo, non fa sempre ridere (soprattutto quando tende a prendersi un po' troppo sul serio), ma la resa complessiva è più che buona. Data la natura dell'opera, mi sento di poterlo consigliare a tutti.



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Travolto dal destino e dalla sete di sangue che contraddistingue la sua specie, il vampiro più forte al mondo, ricordato dalle leggende come il Quarto Progenitore, si ritrova coinvolto in disastri di natura sempre diversa che colpiscono l'isola Itogami, altrimenti conosciuta come il Distretto Demoniaco. Akatsuki Kojou, questo il nome del discendente di Dracula protagonista di Strike The Blood, possiede un potere talmente immane da richiedere da parte dell'associazione del Re Leone, un ente impegnato nella difesa della pace tra uomini e demoni, una speciale supervisione. E' così che nella vita del vampiro piomba Himeragi Yukina con la sua arma Sekkarou, una sciamana in gamba che ha il compito di osservare, controllare e, in caso di pericolo, ammazzare il succhiasangue che le è stato affidato in custodia.

La narrazione parte da questo plot di base per articolarsi, man mano che si procede con i ventiquattro episodi, in archi narrativi a sé stanti. Ogni tot di puntate cambia il nemico (streghe, alchimisti, omuncoli, ecc.), Kojou attinge al suo harem come riserva di sangue, rilascia un nuovo famiglio e sconfigge l'avversario, dimostrando di essere realmente il vampiro più forte del mondo. Non tutte le saghe sono riuscite, in particolare le due finali sembrano frettolose e meno articolate rispetto alle prime; inoltre molte conclusioni appaiono scontate. L'anime ha un'ottima mescolanza d'azione, fantasy e romanticismo, supportata da un chara design pulito, accattivante e scene di combattimento ben realizzate. Il problema di fondo è l'eccessivo fanservice, che se da un lato cattura il pubblico maschile, dall'altro allontana le ragazze attratte dalla trama e dal chara. Qualcuno deve ancora spiegarmi com'è che tutte ronzano vicino a quel buono a nulla di Kojou, nemmeno fossero falene intorno a un lampione! E nel mentre si spogliano, lo baciano, cercano di sedurlo, di offrirgli il loro sangue, di imbastire una threesome con lui, di piazzargli il seno addosso o di coinvolgerlo in situazioni piccanti al limite del reale!

I personaggi di Strike The Blood sono privi di spessore, a partire dalla coppia di protagonisti: se da un lato abbiamo Kojou, un vampiro che alla minima mutanda perde sangue dal naso, che ha bisogno che gli venga spiegato più volte com'è che si combatte o cos'è che deve fare, e che ricalca lo stereotipo dell'eroe figo che non capisce un tubo di quello che gli capita intorno e nemmeno si accorge di fare strage di cuori; dall'altro non andiamo meglio, perché Yukina è l'apoteosi dell'indecenza, una ragazza che la dignità non sa nemmeno dov'è di casa e che dietro finti rossori, incavolature da tsundere e qualche "Hentai!", pensa di cavarsela e uscirsene pulita da un'immagine che la vede completamente in balia dell'uomo, sottomessa al ruolo di donatrice di sangue, 'sputtanando' tutto il buon senso che una donna dovrebbe avere quando si rapporta a un "animale". Nonostante dovesse aiutare Kojou a gestire il suo potere limitandolo, Yukina non fa altro che innescare il rilascio di quasi tutti i famigli, che sono l'espressione della forza di un vampiro, scoprendo il collo e lasciando che il suo caro Akatsuki senpai succhi il sangue necessario alla stipulazione di un contratto con uno spirito. Praticamente fa l'opposto di quello che le era stato richiesto, mandando a quel paese l'intera strategia di contenimento!
Gli unici personaggi che si salvano sono Natsuki, la strega professoressa che prende per il naso Kojou, e Asagi, l'unica donna in tutto l'anime che riesce ad essere femminile e non volgare, romantica e non prostituta, intraprendente, affidabile, gentile - me la sarei sposata subito! Ovviamente chi sceglierà Kojou si capisce fin dalla prima puntata, quindi il mio tifare per la coppia non canonica è stato l'ennesimo errore con questa serie, perché mi ha procurato ancor più nervoso. Molti personaggi secondari, poi, non si capisce nemmeno perché sono o dove sono, dato che non ci viene spiegato precisamente il loro ruolo, da dove provengono, chi servono, cosa ci fanno lì.

Nella stagione autunnale 2013 mi sono lasciata abbindolare da un bel po' di anime, attratta dal chara design pulito e dal misto di fantasy e azione che mi offrivano: Strike The Blood rientra pienamente in quelle serie che la prossima volta dovrò evitare! D'altronde per me resta ancora un mistero com'è che sono riuscita a tirare avanti per ventiquattro episodi senza decidere di darmi all'altro sesso o chiuderla prima della fine con un anime che non mi stava trasmettendo nulla, se non rabbia. Essendo indirizzato prettamente al genere maschile, con un'enorme dose di fanservice e una trama che ricalca le linee classiche degli harem, in certi momenti ho trovato la visione soffocante, e più di una volta ho pensato di dropparlo, mandando a quel paese il mio principio del "non droppo mai". Nonostante ciò, non nego mi siano piaciuti la struttura per archi narrativi, il chara design, l'OST, il buon mix di combattimenti, slice of life, elemento magico e mistery fusi insieme, e il fatto che l'anime in sé ricalca bene quelli che sono i canoni del suo genere, presentandosi come un buon esempio nella sua categoria. E' per questo motivo che non lo boccio del tutto, ma lo rimando con un 5. Poiché il finale ha lasciato più o meno intendere un possibile continuo, non sono convinta guarderò una seconda serie se mai ci sarà. Non penso infatti ci possano essere margini di miglioramento, o significherà snaturare un anime che nel suo genere ci sguazza beato.