Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo a titoli recenti, con gli anime Sakurasou no Pet na Kanojo, Log Horizon e Kill la Kill.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Capita spesso che nel corso della vita alcune tappe e certi periodi siano associati a un determinato luogo: una casa, un parco, un bar, un'aula di scuola, qualsiasi posto i cui sentimenti di chi ci ha vissuto si sono rincorsi, sfiorati, abbracciati e allontanati, trovando infine forma e colore sotto la veste dei ricordi. Questi luoghi, questi "contenitori di emozioni", diventano dei veri e propri territori sacri in cui è possibile scorgere ad ogni angolo il proprio "io" passato. Essi però non sarebbero altro che meri recipienti se ad accompagnarne l'amore non ci fossero le persone che li hanno resi speciali. La casa è il luogo del cuore, è il posto in cui tornare, le persone che la abitano sono la casa stessa.
Questo è quello che succede ai protagonisti di "Sakurasou no Pet na Kanojo", simpatica commedia scolastico/sentimentale che dietro il guscio di un'allegra e spensierata frivolezza, nasconde la volontà di mostrare qualcosa di più complesso.

Sorata Kanda dimora presso il Sakurasou, il dormitorio per studenti problematici del suo istituto. In mezzo a geni dell'animazione, della sceneggiatura e dell'informatica, Sorata è l'unico "normale", cacciato dal dormitorio primario semplicemente per aver adottato un gattino. Lo scopo principale del povero ragazzo rinchiuso in una gabbia di matti è andarsene via al più presto. Purtroppo o per fortuna, però, il suo proposito è ostacolato dall'arrivo di Mashiro Shiina, una ragazza che gli è letteralmente affidata in custodia. Artista talentuosa, Mashiro è totalmente inetta per ciò che riguarda le relazioni sociali e le incombenze della vita quotidiana, così Sorata si trova costretto ad accudire quella specie di cucciolo dagli occhi dolci. Prendersi cura di un cucciolo non è semplice, ci vogliono impegno, costanza, pazienza e la forza di passare notti insonni, ma si sa, una volta che il cucciolo inizia a crescere e capire, l'amore che è in grado di dare compensa ogni sforzo.

"Quale colore vorresti essere?" chiede Mashiro a Sorata durante il loro primo incontro, una domanda che porterà alla prima riflessione del nostro protagonista. Nel periodo della vita in cui non tutti sanno ancora chi sono o chi saranno, è possibile stabilire il proprio colore? Dal punto di vista di Sorata, c'è chi viene benedetto sin dalla nascita da colori forti e brillanti, mentre altri devono accontentarsi, nonostante tutto, di rimanere incolore, pallidi e indefiniti. Il punto principale su cui le vicende di "Sakurasou no Pet na Kanojo" si snodano è proprio questo: la ricerca di un'identità che definisca tutto il proprio essere, da quello intimo e personale a quello che si relaziona con gli altri, in amicizia, amore e in ambito scolastico e/o lavorativo. Non è facile trovare la propria strada e ancor più difficile lo è per chi non è stato baciato da un talento naturale, per chi nonostante tutto l'impegno profuso non riesce a raggiungere il proprio obiettivo. Tutto questo purtroppo, complice l'immaturità e la voglia di percorrere il proprio cammino troppo velocemente, si riflette nelle frustrazioni di Sorata, nell'invidia e nella rabbia mal direzionate. Allo stesso tempo, anche gli altri personaggi affrontano sentimenti simili, avvicinandosi e allontanandosi dalle persone più care per paura di ferire ed essere feriti. Nonostante le emozioni negative, però, c'è sempre qualcosa che dà la spinta per rialzarsi è andare avanti, per migliorarsi e maturare; la speranza e la voglia di mettercela tutta sono sempre a portata di mano, ma spesso si è incapaci di coglierle senza l'aiuto di una mano amica. E' qui che entra in gioco il secondo elemento chiave della serie, ossia l'amicizia e il mutuo sostegno. Non si vive da soli, non si cresce senza l'aiuto degli altri, non si definisce sé stessi senza il continuo confronto tra il proprio io e quello altrui, e così Sorata, Mashiro e tutti gli altri abitanti del Sakurasou definiscono loro stessi in base alle esperienze, belle e brutte, vissute assieme agli amici. E' fortemente percepibile in ogni episodio il caos dei sentimenti adolescenziali, le esagerazioni di cuore e anima, gli eccessi di ogni piccola sensazione, l'esasperazione di ogni situazione e la forza di vivere guardando al futuro con il cuore colmo di speranza, anche e soprattutto dopo una dolorosa caduta. Accanto a queste riflessioni si accostano ovviamente i sentimenti amorosi, così simili ma così diversi per ognuno dei protagonisti, perché in fondo, conoscere e accettare sé stessi è il primo passo per riuscire a comprendere, accettare ed essere meritevoli dell'altrui amore.
Seppur questi concetti permeino tutta la storia, la prima parte dell'anime ha un carattere allegro e spensierato, condito da un lieve fanservice e situazioni sempre emozionanti e da batticuore. La parte finale, invece, vede giungere al pettine tutti i nodi, non senza un eccesso di melodramma che ha posto troppa enfasi su certe scene. Credo che sia questo il più grosso difetto di "Sakurasou no Pet na Kanojo", una parte conclusiva troppo enfatica e "rumorosa" unita a dei personaggi dal comportamento non sempre apprezzabile e coerente in toto. Purtroppo sono presenti anche alcuni odiosi cliché come ad esempio quello della "sorellina".

Graficamente parlando, "Sakurasou no Pet na Kanojo" presenta un chara fresco e frizzante, i colori sono accesi e brillanti, le animazioni fluide. La colonna sonora non è particolarmente esaltante ma ben si adatta all'atmosfera generale della storia. Buono il doppiaggio, specie per quanto riguarda Mashiro e il suo passaggio da "cucciolo asettico" a ragazza ricca di sentimento, e l'allegra Misaki, vera anima della storia.

Ammetto che non mi aspettavo nulla dalla visione di questa serie, invece mi sono ritrovata davanti a una storia che, seppur non sia esente da difetti, è riuscita a emozionarmi e commuovermi, riportando mente e cuore agli anni in cui anch'io cercavo di definire me stessa, tra la frustrazione, le incomprensioni e il dolore. Ma soprattutto mi ha ricordato le persone e i luoghi più importanti della mia adolescenza, i momenti felici, quelli in cui si guardava al futuro con ottimismo, quelli in cui una porta chiusa in faccia era un dramma ma al contempo era "solo" un dramma. Gli inquilini del Sakurasou maturano nel corso della storia, arrivando però non a un punto di arrivo, bensì di partenza, dal quale costruiranno il loro futuro senza dimenticare il passato che li ha resi ciò che sono. Forse nella vita reale gli anni del liceo non sono né così incasinati né così carichi di avvenimenti, però, se avete vissuto (o state vivendo) anche solo un decimo di ciò che è stato il Sakurasou, di certo potrete dire di aver assaporato l'adolescenza nella sua essenza più profonda, e forse oggi, da adulti o quasi, guardandovi dentro riuscirete anche a scorgere il vostro colore.



7.0/10
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Reduce di recente dalla visione Sword Art Online, acquisita la consapevolezza che potrei avere tendenze masochistiche o forse fiducioso che questa volta sarebbe stata una visione più piacevole - in quanto peggiore difficilmente sarebbe potuta essere - mi getto a guardare un altro anime in cui i giocatori si trovano intrappolati in un GDR online fantasy, Log Horizon.

Come è andata questa volta?
Meglio, decisamente meglio, non mi trovo del tutto soddisfatto, ho uno spiacevole retrogusto amaro in bocca, ma almeno mi sono risparmiato il bruciore di stomaco che mi aveva provocato Sword Art Online. Log Horizon inizia in modo fiacco, prosegue in modo promettente, finisce, o meglio, si mette in stand-by in attesa della seconda serie, in modo dimesso.

I primi episodi non sono certamente scoppiettanti: c'è diversa teoria, poca azione, e tante parole. Grazie a questo incipit riesce però ad allestire una bella ambientazione e inaspettatamente, per il tipo di anime, si concentra su alcuni aspetti economici e politici che rendono il mondo fantasy creato più verosimile di quanto avrei pensato. In effetti in Log Horizon il problema non è rimanere vivi e arrivare a fine gioco per tornare al mondo reale, ma trovare gli stimoli per vincere la noia e lo sconforto, visto che una via di uscita sembra non esserci. Sembra, perché in realtà, nessuno si sbatte davvero per cercare in modo per scollegarsi.
Sebbene le cose non siano così banali e sgravate, un personaggio può morire e tranquillamente risorgere nella cattedrale dell'ultima città visitata. Per acquistare cibo e il necessario per vivere, basta guadagnare pochi spiccioli. Tutto questo lascia tanto tempo libero, inoltre la totale assenza di regole porta a situazioni piuttosto spiacevoli e a giornate grigie e sempre uguali. Il protagonista, insieme ad alcuni compagni, cerca e trova una soluzione a questi problemi: le trovate proposte sono originali, intelligenti, divertenti e mi hanno appassionato.

Bello anche il modo in cui sono gestiti i personaggi non giocanti: si sono stati trasformati in persone vere, con un passato, una personalità e delle aspirazioni. Sono più reali degli avventurieri, nascono e muoiono, hanno una famiglia, degli obiettivi, una struttura loro, una politica, una economia e sicuramente si trovano in una situazione pericolosa, visto che vedono il loro mondo invaso di migliaia di avventurieri immortali ed estremamente potenti.

Giocando su questi aspetti, ovvero NPG e geografia/economia/politica del mondo, Log Horizon costruisce le sue carte migliori. Altri aspetti, tuttavia, si dimostrano un po' lacunosi.

Prima di tutto ho qualche appunto da muovere ai personaggi: se un paio si dimostrano azzeccati e offrono una buona caratterizzazione psicologica, gli altri sembrano semplicemente incarnare archetipi alla moda, risultando tutta via piuttosto piatti e banali. Moe e pucciosità a parte, soprattutto negli ultimi episodi, si spende buona parte del minutaggio con situazioni di cazzeggio diffuso, dove il climax su cui si punta è lo scoprire quale ragazzina pucchosa andrà a mangiare un dolce con il protagonista di cui sono segretamente innamorate. Il finale sfocia in situazioni piuttosto banali che non mi hanno convinto. Vi è un crescendo legato agli ultimi 10 minuti, che introducono la nuova serie, ma dopo 4 o 5 episodi sottotono rimango un po' perplesso sulla qualità che potrà mantenere.
Chi ama l'azione e spera di vederne trovarne in un fantasy, deve sapere che Log Horizon è piuttosto avaro sotto questo punto di vista: i combattimenti sono pochi e in genere preferiscono parlare di tattica, piuttosto che mostrare dinamismo e azione. Per me non è un problema, ma per qualcuno potrebbe esserlo.

Un altro difetto che merita menzione è la totale assenza di voglia di cercare di tornare nel mondo reale da parte di tutti i personaggi. Sembra che essere intrappolati in questo mondo, con il proprio corpo che sta probabilmente marcendo in quello reale, sia un problema che non interessa a nessuno. E per nessuno, intendo proprio nessuno. Certo, la sceneggiatura fornisce una piccola scusa, ma non trovo regga e, anzi, dovrebbe essere una motivazione extra per andarsene fuori dalle scatole il prima possibile.

Nonostante qualche magagna, la serie nel complesso non mi è spiaciuta. La trovo discreta e un passo avanti rispetto Sword Art Online, mentre ancora mi manca .hack//SIGN, sebbene ne possegga i DVD. Rimane un po' di rammarico, perché a metà serie le mia aspettative erano decisamente migliori. Discreto, se vi piace il genere, prendetelo in considerazione.



7.0/10
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Se siete soliti bazzicare per la rete, e vi ritenete un minimo appassionati di animazione giapponese, è quasi impossibile che ultimamente non abbiate sentito nominare almeno una volta Kill La Kill, la serie che "ha salvato gli anime". D'altronde, diversi mesi prima che la serie stessa iniziasse ad essere trasmessa, il suo nome era già diffuso come il Verbo, e l'hype del pubblico considerevolmente al di fuori di qualsiasi scala di misurazione. Invero, nonostante l'espressione "Anime is saved" fosse nata più per ironia che per altro, tale entusiasmo tra gli internauti un fondamento ce l'aveva ugualmente: Kill La Kill si presentava come l'ultima fatica del ben noto Hiroyuki Imaishi, coadiuvato da quella parte di Gainax che l'ha seguito nel suo esodo verso il nuovo studio appena nato (Trigger). Insomma, le credenziali erano tutto fuorché povere. Sorprendentemente, il primo impatto di Kill La Kill con il pubblico ebbe del miracoloso: in effetti riuscì non solo a mantenere le aspettative altissime, ma anche a dimostrare di saper sopravvivere al suo stesso hype, mostrando agli spettatori meno di zero, ma giocandosi bene le proprie carte.

Con tale asserzione preannuncio già una delle peculiarità di Kill La Kill: il suo mostrare, letteralmente, lo zero assoluto... ma con stile, con spacconate, tamarrate et similia. Per tutto il corso della serie si riesce ad intuire molti degli sviluppi, ma ciò che sorprende è il come vengono messi in scena. A mio avviso (ma è solo una mia interpretazione) la dimensione corretta nella quale inserire Kill La Kill è quella della parodia. Questa serie non è altro che una magistrale caricatura di se stessa e dell'animazione in generale, condita con una regia che si fa riconoscere per i ritmi serrati, al limite della frenesia. Imaishi prende i cliché più abusati e riciclati dell'animazione giapponese e li mette in ridicolo, li estremizza ed esaspera, li esagera e distorce in un parossistico virtuosismo registico che, a tutti gli effetti, riesce a rendere gradevole il tutto nonostante la sua palese ovvietà. Senza contare, inoltre, la bassissima qualità delle animazioni, alla faccia del fotorealismo odierno di studi come, ad esempio, Kyoto Animation. Lo scarso budget si fa sentire, ma non sono realmente essenziali le animazioni superfluide, e questo Imaishi lo dimostra avvalendosi di una regia brillante, che inventa soluzioni visive e dinamiche davvero bizzarre ed efficaci.

Ritornando in tema, non so se l'intento degli autori fosse effettivamente quello di prendersi gioco di buona parte dei topoi classici dell'animazione, ma di fatto è quello che fanno; esempi eclatanti a riguardo sono lo scontro tra Ryuko e Satsuki, che avviene già verso i primi episodi, surclassando in velocità qualsiasi stilema canonico riguardante la relazione protagonista-boss. Oppure la vidimazione del fanservice operata nel medesimo episodio. Si estremizza ogni cosa, giustificando in modo chiaramente parodistico, ma impeccabile all'interno dell'economia dell'anime, ogni eccesso in tal senso. Questo viene sottolineato ancora di più dai ritmi narrativi allucinanti, che si fanno sentire sin dagli esordi bruciando le tappe in modo quasi ridicolo. In tal guisa ogni "colpo di scena" viene disatteso e stravolto nel giro dell'episodio stesso, o al massimo di quello successivo, generando una grande confusione ed un baccano notevoli. A contribuire al regime parodistico della serie ci pensa poi un nutrito "corpus" di citazioni e riferimenti ad altri anime, e non solo (chiaro divertissement per gli spettatori con una certa cultura in questo ambito), il che si traduce sostanzialmente in un valore aggiunto, anche se piuttosto fine a se stesso.

Ahimè, vorrei potere continuare a parlare solamente di quelli che io ritengo essere gli elementi positivi di Kill La Kill, ma, mio malgrado, sono costretto a dare voce al mio senso critico per palesare alcune pecche che, a mio avviso, ammorbano la seconda parte della serie. Parlo così perché ritengo che Kill La Kill segua una parabola discendente a partire dall'episodio 21, che sarebbe poi uno degli apici della serie. Da questo "calo" non si solleverà più fino alla fine degli episodi. Il nucleo di tale critica si tripartisce in diversi elementi, a partire dalla scabra gestione dei personaggi, che alla fine si rivelano delle mere ed inutili comparse, in particolare di Matoi, la cui figura viene offuscata dall'astro nascente di Satsuki. Il secondo elemento è invece costituito dallo scadere nella ripetitività di alcune gag e trovate, che alla lunga non fanno più ridere. Ad esempio i siparietti di Mako, inizialmente molto divertenti, dopo una ventina di episodi in cui si ripetono uguali cominciano a diventare monotoni se non fastidiosi. Ultimo, ma non per importanza, il fatto che nel finale Kill La Kill si conformi troppo al suo passato, a questo punto avrei preferito che Trigger avesse il coraggio per proporre qualcosa di nuovo, ma purtroppo non osa affatto e offre il finale che il fandom gli ha dettato.

Per concludere, trovo che Kill La Kill sia un'ottima serie di intrattenimento, un divertissement eccezionale da guardare con leggerezza, poiché l'unica cosa che lo sorregge è la sua regia, che ha la capacità di rendere affascinante un guazzabuglio di cose già viste e riviste, di cui si possono prevedere gli sviluppi tappa dopo tappa, senza troppa fatica. Il punto non è cosa viene mostrato, ma "come" viene mostrato, ed in questo KLK è senza rivali. Inoltre, menzione speciale merita la colonna sonora, pressoché perfetta per questo titolo, si sposa efficacemente con il regime frenetico della serie.

Voto:7/8