Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi usciamo dal Giappone, con Phineas e Ferb, Inside Out e La principessa e il ranocchio.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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10.0/10
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Pensando a "Phineas e Ferb", la prima parola che mi viene in mente è "genialata".
Da anni infatti non mi imbattevo in un prodotto così divertente, intelligente e con una gamma di personaggi veramente ben strutturati, sebbene al limite del demenziale.
Premettendo che io, personalmente, non amo molto il character design di cartoni animati come questo, e all'inizio ho avuto qualche difficoltà a immergermi nell'ambiente della città di Danville, ora come ora sono felice di non aver cambiato canale, e di aver dato una possibilità a questo cartone animato che, ammetto, mi ha conquistata fin dal primo episodio.

La trama è molto semplice, ma caratterizzata da un ritmo veramente incalzante.
E' estate, e Phineas e Ferb sono ben intenzionati a vivere al massimo ogni giorno di vacanza, creando nuove invenzioni. Il fatto che i due bambini siano però autentici geni è un fatto perlopiù sconosciuto a tutti, soprattutto alla madre dei due. La cosa manda terribilmente in bestia Candace, la loro sorella maggiore e ritratto della tipica adolescente complessata che, in ogni episodio, tenta disperatamente di riuscire a mostrare alla mamma cosa sono in grado di fare i due bambini, sempre senza successo. Le invenzioni dei due riescono puntualmente a sparire di fronte al naso di Candace proprio pochi secondi prima dell'arrivo della madre, che crede di avere due bambini tranquilli e pacifici, e una figlia con un'ossessione assurda.
Responsabile di quello che sembra essere il destino infausto di Candace è spesso il Dottor Doofenshmirtz, scienziato tremendamente sfortunato e dall'infanzia terribile, che cova da anni un profondo odio per il sindaco della città, il fratello Roger, amato da tutti, e che ha come scopo quello di conquistare la città, arricchirsi o mettere in cattiva luce il fratello servendosi delle sue invenzioni (da lui chiamate Inator). Grazie all'intervento dell'Agente P., l'ornitorinco animale domestico di Phineas e Ferb che è in realtà l'agente incaricato di porre fine alle folli trovate Doofenshmirtz, i piani di quest'ultimo sono sempre destinati a fallire, e questo dà il via all'intrecciato gioco della trama: Phineas e Ferb costruiscono un'invenzione straordinaria, Candace cerca di farli scoprire, ma quando la madre sta per sopraggiungere sul luogo del misfatto, l'Inator del Dottor Doofenshmirtz che si distrugge trascina involontariamente con sé le prove della genialità dei due bambini. In mezzo a tutto questo, i vari personaggi sono assolutamente ignari gli uni dell'esistenza degli altri, e di tanto in tanto si incontrano casualmente dando via a situazioni davvero divertenti. Al cast si aggiungono gli amici di Phineas e Ferb: Buford, caricatura del tipico bullo, la sua vittima preferita Baljeet, un bambino indiano ossessionato dal prendere ottimi voti nello studio, e Isabella, una bambina a capo di un gruppo di ragazzine scout, le Fireside Girls, che adora Phineas e collezionare nuovi distintivi.

Ora, la genialità di questo show sta proprio negli intrecci che vengono a crearsi di puntata in puntata, dove i vari protagonisti vivono le loro vite fuori dal comune, influenzandosi l'uno con l'altro senza mai rendersene conto. E' un ciclo senza fine che si ripete ma che non stanca, e ci riscopre ogni volta interessati a cercare di capire in che modo, anche questa volta, si ripristinerà lo status quo iniziale.
"Phineas e Ferb" è bello anche perché di base premia e incoraggia la bellezza della fantasia, dei giochi, dello stare insieme. Riassume alla perfezione il sogno estivo di ogni bambino. Inoltre, con la loro umiltà e sincera voglia di godersi le vacanze e aiutare gli altri, è impossibile non immedesimarsi almeno un po' in loro o ritrovarvi parte del nostro fanciullino interiore. Il più amato del cast è però, forse, il cattivo della serie, se cattivo lo si può definire. Primogenito di una severissima e povera famiglia tedesca, che ha sempre di gran lunga preferito il brillante fratello minore a lui, con una serie tragicomica di fallimenti e insuccessi alle spalle, tra cui un matrimonio fallito e una figlia con la quale non riesce a comunicare, il Dottor Doofenshmirtz trascorre le sue giornate a tentare di vendicarsi di piccoli torti subiti, umiliare il fratello o conquistare la città di Danville, pur sapendo che verrà puntualmente fermato dalla sua nemesi, Perry l'Ornitorinco. Ma Doofenshmirtz non è il classico scienziato pazzo con manie di grandezza! Egli è ben conscio di come il mondo troppe volte l'abbia lasciato indietro, del suo aspetto fisico che lui stesso definisce non proprio attraente, dei suoi errori. Tutto ciò lo porta ad essere in realtà fragile e spaventato, a divertire, grazie alla sua autoironia e senso dell'umorismo, e a fare davvero molta tenerezza, tant'è che a volte viene spontaneo tifare per lui.

Per concludere, sono molto felice che tra tanti cartoni animati piuttosto piatti che si sono susseguiti sui nostri canali, trovi posto anche "Phineas e Ferb", un prodotto intelligente, divertente, davvero ben realizzato, che tocca varie tematiche sebbene in chiave comica e, soprattutto, in grado di divertire un pubblico di ogni età.




9.0/10
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Avete mai pensato che la vostra testa a volte agisce di... testa sua? Quasi come fosse guidata da qualcuno che non siete voi. Nella testa di Riley, protagonista del nuovo capolavoro Disney-Pixar Inside Out, uscito nelle sale italiane il 16 settembre 2015, abitano cinque esserini colorati e simpatici, talmente carini da conquistare subito il cuore di grandi e piccoli. Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia, dall'interno della giovane mente della bambina, dettano il bello e il cattivo tempo, cercando di aver cura che Riley impari tutto quello che occorra sapere e viva una vita splendida e indimenticabile. Ma la vita, si sa, non è mai perfetta, piuttosto si dibatte fra alti e bassi. Il compito primario di Gioia e colleghi è schivare il negativo come si fa con le pozzanghere. Eppure può accadere che un'esperienza triste tramandi un insegnamento fondamentale per la maturazione della persona e dei rapporti che intercorrono tra questa e gli altri. L'occasione per Riley di imparare è offerta dal trasloco della sua famiglia dal Minnesota a San Francisco, città nella quale sperimenta una serie di delusioni che la porteranno a sbraitare, piangere, mostrare indifferenza, rassegnarsi, sentirsi sola... Un turbinio di prime volte che cambieranno il colore delle sue emozioni. Nel profondo di Riley, esse ingaggiano una feroce lotta per prevalere l'una sull'altra, ignare che la chiave di tutto sta nell'amalgamarsi insieme. Perché non c'è emozione che non sia importante.

Più umane degli umani, vere protagoniste di questo lungometraggio sono proprio le emozioni di Riley. Esse non esprimono un singolo sentimento, ma accompagnano alla caratteristica portante di ognuna piccole sfaccettature di personalità. Così abbiamo la Gioia capace di piangere e demoralizzarsi; la Tristezza che si atteggia a secchiona; la Paura criticona del cinema; il Disgusto andato a scuola di trucco e parrucco; e la Rabbia che mostra segni di pentimento per i suoi cattivi consigli. Questo per dire che nonostante portino il nome di una singola emozione, gli abitanti del colorato mondo di Inside Out non sono scontati, bensì in grado di sorprendere. Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia sono personaggi dinamici, perché dinamico è il personaggio di Riley, del cui sentire essi sono espressione. Con l'avanzare degli anni non è solo il nostro corpo a crescere, ma anche la nostra mente. Se all'inizio ogni cosa nuova che sperimentiamo è accolta con l'ingenuità tipica dell'infanzia, col tempo anche quello che proviamo si evolve. Ed infatti, più Riley si farà grande, più gli inquilini della sua mente dovranno reinventare sé stessi, più il volto della bambina diverrà capace di mostrare nuove emozioni.
Gioia e Tristezza rappresentano il motore del film. Il loro essere opposte le porta a non comprendersi, a tratti sembra quasi che Gioia bulli l'occhialuta collega. Tristezza si rassegna spesso al suo ottimismo, ciononostante non riesce a trattenersi dal toccare tutto e influenzarlo con la sua aura negativa, anche se le è stato detto categoricamente di non farlo! Pur se la maggior parte dei guai sono provocati da lei, è ugualmente facile provare empatia nei suoi confronti, perché la pigrizia e la voce sbiascicata che la contraddistinguono, la fanno risultare simpatica agli occhi di chi guarda. Inoltre è così trasandata, coi capelli unticci, il pancione ingombrante, gli occhiali alla Harry Potter e il maglioncino della nonna, che non può non piacere! Gioia vive la presenza di Tristezza come una minaccia per Riley. A muovere Gioia è un fortissimo istinto materno, ogni suo gesto è volto al bene della bambina, di cui si prende cura proprio come farebbe una madre. All'interno della testa di Riley c'è qualcuno che è attento ad incasellare perfettamente ogni pezzo della sua vita, in modo da assicurarle un futuro roseo. Di conseguenza, il personaggio di Gioia passa il messaggio che la prima forma d'amore è quella che noi dobbiamo avere per noi stessi. Se non ci vogliamo bene noi per primi, non potremo mai riuscire a compatire gli altri. Tuttavia, ogni mente è caratterizzata da contrasti. Come Gioia cerca di rinchiudere Tristezza in un cerchio, così noi tendiamo a relegare le nostri parti scomode in un angolino, dimenticandoci che quelle ci appartengono tanto quanto i pregi. Diventa quasi una lotta per la sopravvivenza: vincerà la positività di Gioia o il cinismo di Tristezza? L'amicizia che sboccia fra le due, parti complementari di una stessa medaglia, insegna che non c'è gioia più grande di quella nata da una sconfinata tristezza. Ogni momento di sconforto può trasformarsi in attimi preziosi di un'immensa felicità.
Camminando per le vie della mente, Gioia e Tristezza ne scoprono il funzionamento e comprendono che molte azioni che il cervello umano compie sono indipendenti dalla nostra volontà. Per quanto non si voglia dimenticare, durante la crescita si tende a mettere da parte alcune cose che da bambini rappresentavano il nostro mondo, come gli amici immaginari per esempio. Bing Bong, inventato dalla fantasia di Riley per essere il suo compagno di giochi, è il terzo personaggio chiave di Inside Out. Con lui lo spettatore vive tante esperienze, anche traumatiche, ma che sa essere necessarie all'avanzamento della piccola verso un nuovo stadio della crescita. Un amico immaginario nasce perché il bambino ha bisogno di un interlocutore che in quel momento non c'è di fianco a lui, va a riempire un'assenza. Forse potremmo dire che è la forma più pura di amicizia che può esistere, perché l'immagine di una presenza amica che noi proiettiamo nel vuoto è idealmente costruita sulle nostre esigenze e perciò corrisponderà sempre a tutto quello di cui noi abbiamo bisogno. Ci proteggerà, proprio come fa Bing Bong con Riley, salvando la sua emozione più importante dalla dimenticanza.

Ho sempre trovato affascinanti le rappresentazioni astratte del corpo umano. La produzione francese di "Siamo fatti così" ha segnato parecchio la mia infanzia (e non soltanto la mia, credo!), al punto che tutt'oggi continuo a figurarmi i microbi come dei wrestler color puffo! È un universo misterioso il corpo umano, all'interno del quale batte la vita. Tutto è organizzato nei dettagli, un meccanismo complesso ma al contempo così essenziale da andare avanti piuttosto bene da millenni. Eppure anche la più avanzata delle tecnologie può andare in tilt! Ciò è dimostrato in Inside Out, dove il sistema computerizzato di cui si servono Gioia e compagni, che ha funzionato correttamente fino a quel momento, all'improvviso impazzisce. Una manovra errata può portare spiacevoli conseguenze. E quando alla guida di tanta precisione ci sono cinque teste da mettere d'accordo, è più difficile che mai non incorrere nello sbaglio! Da una base non originale la Pixar è riuscita a tirar fuori una metafora della vita umana, che nella sua semplicità riesce ad essere estremamente convincente. Davvero suggestiva è la rappresentazione della personalità di Riley attraverso delle isole simili a parchi gioco fluttuanti. L'isola della famiglia e l'isola dell'amicizia, quella dell'onestà e quella dell'hockey, infine quella della stupidera, sono tutte delle conquiste che Riley ha fatto durante la sua crescita, che rendono la bambina quella che è oggi. Tutto quello che ci accade è importante e può divenire un tassello della nostra personalità. Simbolici, in tal senso, sono il subconscio, dimora delle paure più profonde, e la memoria a lungo termine, un vero e proprio labirinto di scaffali contenenti i ricordi di Riley, sottoforma di sfere luminose. Ogni emozione provata dalla bambina è raccolta in questa grande videoteca, dalla quale si attinge tutte le volte in cui si prova a riportare alla memoria qualcosa successo nel passato.

Inside Out è tecnicamente valido come ogni prodotto Disney-Pixar. Non ho visto la versione 3D, quindi non saprei giudicare se sia stato realizzato bene o meno, ma la versione 2D bucava parimenti lo schermo! Il film si presenta in maniera colorata, soprattutto per la presenza delle sfere dei ricordi di Riley, rosse, blu, gialle, verdi, viola, un mix di colori che assieme agli scenari altrettanto vividi trasmettono un senso di serenità a chi guarda. L'ambientazione è originale, soprattutto quando ci si sposta nel regno dell'immaginazione di Riley. Mi è piaciuta in particolar modo la parte sul cinema dei sogni. La narrazione ha un ritmo andante e alterna bene momenti di suspance a momenti di calma, scene positive a scene drammatiche, alcune di grande spessore e altre di intenso divertimento. La comicità genuina che caratterizza molti dei prodotti Pixar nasconde sempre dei temi dark, attraverso i quali si cerca di trasmettere un messaggio educativo ai bambini. Eppure le risate non sono mancate! Ad esempio, è stato divertentissimo esplorare le menti di altri esseri umani o animali e vedere come le cinque emozioni si adattavano di volta in volta al soggetto ospitante. Oppure è stata sbellicante la creazione in serie del ragazzo ideale. Ma ci sono stati momenti anche di profonda commozione, per i quali ho dovuto ricorrere al mio fantastico pacchetto di fazzoletti Tempo! La colonna sonora accompagnava in maniera armoniosa il film. Una piccola nota di merito va fatta alla canzone cantata dai vulcani protagonisti del cortometraggio d'apertura, Lava, nel quale la voce di Malika Ayane e Giovanni Caccamo si intrecciavano magicamente, facendo risuonare l'udito di una meravigliosa melodia.

Semplice ma geniale, un piccolo capolavoro che si va ad aggiungere ai trofei dello studio Pixar. Inside Out sa divertire e in alcuni momenti riesce anche a commuovere. Per i bambini può rappresentare un'esperienza educativa, che gli insegna l'importanza di tenere un dialogo coi genitori e quella di non trattenere la tristezza dentro per far felici gli altri. Non ho mai sentito il cinema così silenzioso come quel giorno, i piccini in sala erano incantati e si perdevano fra le biglie colorate dei ricordi di Riley e fra le avventure di Gioia & Co. Anche per gli adulti Inside Out ha un messaggio: quello di non trascurare i sentimenti dei propri figli. Permette di ricordare l'infanzia andata e ripensare a tutte le volte che quel quadro comandi è finito in mano a Paura, Rabbia e Disgusto, a rischio e pericolo di chi ci stava intorno! Un film che ha saputo restituire alla tristezza il suo posto nella vita dell'uomo. In una società come quella odierna, dove si sprecano tubetti di dentifricio per sbiancare gli incisivi di pagliacci imbonitori, nessuno suggerisce che la mela è dura da mordere. E che prima di arrivare al suo nocciolo, bisogna morsicarla così tanto da rischiar di perderci la mascella! Ma una volta che si è raggiunto il cuore del frutto, si può ripensare ad ogni morso col sorriso.




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Anno 2004, la Walt Disney prende la decisione di chiudere con l'animazione tradizionale, forte del successo dei film Pixar contrapposti ai flop di Atlantis, Koda e soprattutto il modesto Mucche alla Riscossa. Passano due anni e la Disney acquista a suon di Paperdollari la stessa Pixar, lasciando al suo padre fondatore John Lasseter la direzione creativa di ogni produzione animata, conscia (o convinta) di aver trovato il Walt Disney del XXI secolo.
Accade che il panzone amante delle camice hawaiane, il paladino della rivoluzione digitale nell'animazione, si alza una mattina con l'idea in testa di far tornare l'animazione 2-D, dicendo di averla sempre amata, che l'ha cresciuto, ispirato e bla bla bla. Ogni suo desiderio è un ordine, sommo creatore di mondi giocattolosi, ma in cantiere ci sono due lungometraggi: uno è un certo "American Dog" (Bolt), del tutto inadatto alla tecnica tradizionale, e l'altro un progetto ispirato alla favola di "Rapunzel", ma anche per quest'ultimo venne scelta la tecnica in CG, convinti che sotto la guida artistica di Glen Keane si potesse realizzare una classica fiaba Disney anche con i più moderni mezzi di animazione digitale.

A quel punto la scelta di richiamare la coppia di registi John Musker e Ron Clements venne quasi naturale. Tra gli artefici del Rinascimento Disney, con pellicole del calibro de La Sirenetta, Aladdin ed Hercules, i due sembravano perfetti per riportare al cinema una fiaba d'altri tempi, ma al contempo moderna. La Principessa e il Ranocchio è esattamente questo, una dichiarazione d'amore nei confronti dell'animazione Disney anni novanta, con i pro e i contro che questo comporta.

L'ambientazione è una inedita quanto piacevole New Orleans degli anni venti, ed è senza mezzi termini l'aspetto più riuscito del film. Dalle folkloristiche strade alle sconfinate paludi, tramite le note della musica Jazz e della ricorrenza del Martedì Grasso, la pellicola non fa mancare nulla allo spettatore per catapultarlo nel suo contesto socio-culturale. Tiana è la nostra protagonista che lavora duramente per aprire un ristorante, sogno ereditato dal defunto padre. Forte e determinata, la ragazza ha in testa solo il lavoro e questo preoccupa un po' sua madre, ma nonostante ciò tutto sembra andare per il verso giusto, fino a quando non giunge in città un allegro principe di nome Naveen.

Partiamo dai personaggi. Ottimo il duo protagonista, non certo originale (la lavoratrice e lo scansafatiche, con variante di sessi sono un classico della commedia) e abbastanza prevedibile nei risvolti, ma comunque divertente dal momento in cui i due si trasformano in rane. La migliore amica di Tiana, Charlotte, è semplicemente uno spasso: vivace, sognatrice, a tratti superficiale ma mai banale, e cosa importante appare il giusto durante il corso del lungometraggio. Decisamente più dimenticabili i comprimari: il coccodrillo trombettista, a parte qualche gag azzeccata, scorre via senza mordere davvero, e la lucciola Ray si deve aggrappare a un finale eroico-commovente per lasciare il segno, e non è detto che ci riesca. Sa di già visto infine Mamma Odie, messa lì al solo scopo narrativo (e per inserire la solita canzone del cavolo).
Il cattivo l'ho trovato nel complesso riuscito; ispirato vagamente alla divinità Baron Samedi, lo stregone garantisce quei momenti dark che non guastano mai e lo stesso tema del voodoo è quantomeno azzeccato e originale.

Altrettanto pregevole la colonna sonora del film firmata Randy Newman. Per quanto non manchino canzoni superflue, buona parte degli stacchetti musicali sono di ottima qualità anche scenografica, come "Almost There", la cui particolare sequenza sembra ispirarsi alla pittura della Harlem Renaissance. Tuttavia la soundtrack de La Principessa e il Ranocchio può risultare tanto gradevole da sentire sul momento quanto dimenticabile sul lungo periodo; in sintesi siamo ancora ben lontani da alcune memorabili canzoni del passato più o meno remoto Disney.

Sul lato estetico, La Principessa e il Ranocchio sollevò fin da subito il problema di un ritorno al disegno a mano bidimensionale dopo anni di stop. Gli animatori erano per buona parte cambiati così come i mezzi a disposizione, con il CAPS (Computer Animation Production System, introdotto dal 1989 per accorciare i tempi di produzione) quale strumento ormai superato. L'utilizzo del ben più economico "Toon Boom Harmony software", sfruttato dalla Disney principalmente per i suoi sequel destinati all'home video, divenne quindi la scelta più idonea, arricchito a sua volta da plug-in atti a rendere effetti di ombreggiature e di fumo tipiche dello stile Disney anni novanta. Il cortometraggio "Pippo e l'home theater" proiettato nei cinema nel 2007, servì principalmente per "riallenare" gli animatori alla tecnica di animazione tradizionale in vista del nuovo-vecchio Classico. Il risultato finale è di ottima fattura e il film è meritevole del marchio che porta, dagli sfondi ai personaggi, tutto è realizzato minuziosamente.

Tuttavia dal punto di vista creativo l'ultimo lavoro di Musker e Clements sembra preoccuparsi più di citare il passato, invece che di imbastire qualcosa di suo e di memorabile, e questo è un limite pesante per un Classico che tenta in tutti i modi di comportarsi da tale. A partire dalla primissima inquadratura che riprende la stella di Pinocchio, la pellicola è talmente pregna di rimandi e citazioni da risultare quasi ossessiva nell'autocelebrazione e arrendevole nei confronti di una servizievole nostalgia di tempi andati.
Nonostante abbia quindi in definitiva alcuni elementi di sicuro interesse (la citata ambientazione, il personaggio di Tiana che non è una principessa, ma di fatto lo diventa), La Principessa e il Ranocchio non osa oltre il "contentino" per nostalgici, indirizzato più ai genitori che ai rispettivi figli. Un'operazione di conseguenza in parte riuscita ma troppo fine a sé stessa, la quale non può ergersi a guida del nuovo corso dei film Disney.