La partecipazione al Far East Film Festival di Udine da parte di Okita Shuichi con il suo nuovo film Mohican Comes Home era stata messa in rilievo già alla conferenza stampa di presentazione del programma da Sabrina Baracetti, direttrice della rassegna.
 
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Il regista e sceneggiatore si è messo in evidenza nelle scorse edizioni del festival con i suoi film dallo stile molto personale, come The Woodsman and the RainA Story of Yonosuke, e Ecotherapy Getaway Holiday. Film intimisti, ambientati spesso in piccole comunità e popolati da personaggi timidi, strambi e con la caratteristica di apparire sempre leggermente fuori luogo. In Mohican Comes Home l’attore Matsuda Ryuhei regala una convincente interpretazione di Eikichi, un figliol prodigo un po' sui generis.
Matsuda proviene da una famiglia di attori: il padre, Yusaku Matsuda, scomparso prematuramente nell’89, il pubblico occidentale lo ricorderà come villain in Black Rain, la madre Miyuki, recentemente in Still the Water di Naomi Kawase, e il fratello Shota, che al FEFF transitò con il divertente Afro Tanaka. Ryuhei ha esordito a soli sedici anni diretto nientemeno che da Oshima Nagisa nel film presentato a Cannes Tabù-Gohatto, dove interpreta un giovane samurai, ma è stato anche l'agente telepatico in Night Detective di Shinia Tsukamoto,  il tormentato omosessuale in A Big Bang Love di Takashi Miike, il leggendario Ren di Nana e recentemente è apparso in The Raid 2.

A seguire il FEFF Talks (una conversazione dei due ospiti tenuta con il pubblico e moderata da Mark Shilling) e l'incontro con la stampa.
 

 

FEFF Talks


Molti suoi film sono ambientati in località remote, lontane dalle grandi centri della civilizzazione, si pensi al primo film ambientato nell’artico (The chef of South Polar), anche nel film visto ieri sera abbiamo avuto modo di conoscere un insolito angolo di Giappone vicino a Hiroshima, dominato dalla natura e da paesaggi bellissimi. Volevo chiedere come mai è stato attratto da una location così ai confini del mare?

Okita: In tutti i miei film cerco di sottolineare il sapore, il gusto di un determinato posto, quindi spesso sono ambientati in campagna, per esempio A story of Yonosuke è ambientato al centro di Tokyo ma in quel caso la distanza è segnata dal tempo, nel senso della memoria. Non mi piace molto ambientare i miei film nella moderna città.

A Matsuda: con quale stato d’animo si è messo nei panni di un ragazzo di provincia che arriva nella grande città?

Matsuda: Innanzitutto ho dovuto tagliare i capelli alla mohicana, e questo è quanto.

Il posto da cui il protagonista viene è molto bello e abbiamo questa situazione in cui il padre vuole che il figlio emigri nella grande città per avere successo, ma ciò non avviene. Dopo di che accade un evento traumatico, al padre viene diagnosticato un tumore terminale e il film improvvisamente prende una svolta drammatica. Fino a quel momento era tutto incentrato sulla commedia ma sul cancro in teoria non si potrebbe ridere, ma il film nonostante tutto mantiene questo sapore comico. Non voglio dire che lei abbia trasformato il cancro in qualcosa di cui ridere, ma si nota questo taglio un po’ più leggero.

Okita: Sì, il film tende ad abbracciare un tema molto serio, grave e importante, le persone che si trovano lì in quel momento vivono un certo tipo di condizione e di situazione e dimostrano una certa gravità, ma ho cercato di vedere le cose in modo oggettivo astraendomi, per cui alla fine ho scoperto che ci sono delle cose per cui riuscire a ridere, si tratta di una vita quotidiana che comunque si continua a vivere normalmente. In questa mia opera c’è subito la premessa che il padre verrà a mancare ma si cerca nell’ambito delle possibilità di trovare un motivo per sorridere, ed è questa la combinazione che volevo creare sin dall’inizio. Questo equilibrio tra commedia e tragedia è qualcosa che ho cercato di tenere in piedi a mano a mano che andavo avanti. Una volta scoperto il cancro la famiglia ha cercato di nascondere la cosa, ma il padre ha capito osservando la tristezza dei suoi congiunti, in quel momento ho fatto in modo che il film non scivolasse in tonalità eccessivamente gravi e che il pubblico riuscisse comunque a conservare un po’ di buon umore, era quella la mia intenzione.

Ci sono dei paralleli con la sua vita vera in questo film, ma le circostanze sono completamente differenti, c’è un contributo personale, qualcosa che ha preso direttamente dalla sua stessa esperienza di vita?

Okita: Certamente c’è il discorso di tornare al paese natio, io sono nato e cresciuto a Tokyo, quindi non avevo questa percezione del paese natio, però ho cercato di farmi una mia idea di luogo natio. Tokyo è un posto che cambia molto velocemente, all’interno di questi cambiamenti ho una mia percezione e questa viene anche collegata con il mio personaggio. Inoltre mi sono aiutato con i ricordi che avevo dei miei nonni, che erano di Hiroshima, nella creazione del personaggio.

Una cosa che mi ha colpito è che lei usa molto l’espressività dei volti degli attori e le caratteristiche dell’ambiente per comunicare delle emozioni, piuttosto che una spiegazione esplicita sul perché dovremmo essere tristi o felici. Qualcuno ha detto che il suo film è troppo leggero in un certo senso, non c’è nessuno che combatte o che si ammazza. E’ una vita molto normale quella che descrive nel suo film, tuttavia esprime delle emozioni molto forti che provengono da piccoli particolari, ad esempio una veduta del mare al tramonto, che può significare molto, ma non voglio dare troppe mie interpretazioni.

Okita: Da come la vedo si tratta di un tipo di espressività a cui ho cercato di dare un carattere molto emotivo, non so se sia riuscito a trasmettere questo mio modo di vedere l’emotività. Relativamente parlando ho cercato di proporre una situazione che fosse il più possibile simile a una vita quotidiana che potrebbe anche essere quella di tutti noi. Questo è un po’ il mio approccio creativo come cineasta. Ovviamente se ci si concentra troppo su questi aspetti si rischia di diventare troppo cupi, quindi ho cercato di inserire degli elementi che fossero più di intrattenimento, in modo che ci si potesse raffrontare, nello stesso tempo ho cercato di avere una visione d’insieme, non necessariamente soffermandomi sui primi piani, ma cercando dare un’idea della totalità degli elementi, e questa è una caratteristica del mio modo di girare.

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Rivolgendomi a Matsuda. Il suo personaggio è un po’ sotto tono, il padre lo rincorre intorno a un tavolo lo rimprovera, c’è molta azione intorno a lui che tuttavia rimane come una specie di centro calmo. Avete discusso molto col regista? Non ha temuto di perdersi in questo personaggio? Lei è al centro del film ma al contempo un po’ sotto tono, mi sembra che questa sia stata un po’ la sfida del film per lei.

Matsuda: Probabilmente è un personaggio calmo in un certo senso. Suo padre è un entità così forte nella sua vita che improvvisamente si indebolisce. Io personalmente avrei vacillato di fronte a una situazione del genere. Era importante creare un personaggio calmo per poter accompagnare chi stava andando verso la morte, questo è stato il mio approccio. Poi ovviamente parlando con il regista abbiamo studiato il carattere del personaggio cercando anche di dipingerlo come un personaggio che fosse anche un po' cool.

Come mai avete deciso di celebrare il matrimonio col rito cristiano e non ad esempio buddhista o altro?

Okita: Le cerimonie giapponesi hanno una loro tradizione e sono già state rappresentate innumerevoli volte, volevamo fare qualcosa di totalmente diverso e ambientarlo all’interno della sala di riabilitazione ci è sembrato un modo carino di celebrare il matrimonio. Comunque non è così insolito, succede spesso in Giappone di assistere a riti occidentali anzi credo che siano in numero anche superiore.

Matsuda ha riscosso molto successo e suscitato molta impressione con il suo debutto nel film Tabù-Gohatto, presentato a Cannes. Come ci si sente qui a Udine a rivivere questa esperienza da festival cinematografico?

Matsuda: è difficile fare un paragone con Cannes perché comunque avevo solo sedici anni. Questa è la mia prima volta a Udine e ho visto la passione di tantissime persone che adorano il cinema e provo un senso di sicurezza da tutto questo. Mi piacerebbe tornarci, ho avuto un’impressione molto positiva di cui sono estremamente grato.

Il signor Okita ha frequentato molto i festival, ma è la prima volta che viene a Udine. Come le è sembrata la reazione del pubblico nei confronti del film? c’è qualcosa che a Udine è stato diverso rispetto ad altre proiezioni in altri festival o in Giappone?

Okita: Durante le proiezioni in Giappone spesso c’è un certo silenzio di fondo, anche se ogni tanto si sente qualcuno che ride. Invece a Udine ho notato che ci sono tantissime persone che reagiscono parlando e commentando durante il film e questo mi da un’idea di freschezza, di novità. La cosa interessante è che il pubblico qui rideva in punti dove avrei pensato che non avrebbero riso e viceversa, non ridevano quando me lo sarei aspettato! A volte ho pensato che non ero riuscito a esprimere bene quello che volevo, comunque il modo in cui il pubblico guardava il film era così eccitante ed entusiasmante che mi dava una grandissima forza e al tempo stesso avevo le gambe che mi facevano giacomo giacomo! Ha avuto una grande reazione anche nei miei confronti.

La scena della pizza mi è piaciuta molto però sono rimasto un po’ perplesso dal fatto che fosse pizza americana, alla fine qual’è stata la pizza più buona?

Okita: Si, c’erano tre fornitori, Pizza Hut, Pizza La e Pizza Factory, quest’ultima è di Hiroshima, ma ha vinto Pizza La, quella con i wurstel! Ne abbiamo mangiata tanta, almeno quanto ne ha mangiata il papà per quella scena! Probabilmente per gli italiani la pizza rientra nella quotidianità, al contrario vi chiedo cosa avete pensato vedendo quella scena? Questo pensiero mi è venuto mentre guardavo la scena ieri sera: noi stiamo prendendo in giro la pizza, non che magari qui in Italia la reazione potrebbe essere diversa? In realtà l’intenzione era di mettere in evidenza il lato comico della consegna della pizza sull’isola che, come avrete notato può risultare molto complicata, col traghetto da prendere etc., quindi perdonatemi se ho preso un po’ in giro la pizza.

Come mai ha scelto proprio la rock star Eikichi Yazawa come riferimento musicale ricorrente del film?

Okita: Mi serviva un personaggio che non fosse di altissimo livello o conosciuto internazionalmente ma che fosse credibile come idolo e punto di riferimento importante del papà, qualcuno che funzionasse come punto di contatto con la figura del padre all’interno di quelli che potevano essere gli equilibri interni del film. In realtà non avevo pensato che il film potesse essere proiettato all’estero, e io stesso non è che conoscessi perfettamente Yazawa, la sua musica e la sua discografia, ma è stato un modo per riapprezzarlo e rivalutarlo all’interno della storia.

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Anche il personaggio del giocatore di baseball è una persona reale o è stato inventato ad hoc?

Okita: Sì, si tratta di un vero giocatore, e anche molto bravo, dell’attuale campionato di baseball giapponese. Gli Hiroshima Carp sono una vera squadra con tifosi al seguito, come può essere l’Udinese per il calcio.

A Matsuda: Come ti sei preparato a fare il punk rocker, avevi già avuto delle esperienze come musicista?

Matsuda: E’ stata la prima volta. Nella sceneggiatura c’era scritto di questa band che non vendeva, quello era un po’ il contesto. Poi c’è stata la scena con la partecipazione delle comparse che erano tutte di Hiroshima, e lì ho cercato di fare del mio meglio perché venisse bene.

Quali sono i vostri programmi futuri?

Okita: Al momento sto già preparando il prossimo film, cercherò di creare qualcosa di ambito internazionale con una protagonista femminile e di cimentarmi in altri progetti interessanti e su cui non ho ancora lavorato.

Matsuda: Non so se riuscirò a tornare a Udine nel prossimo futuro però c’è sempre la speranza che presentando film all’estero possa capitare prima o poi, mi piacerebbe molto.

Lei fa anche televisione oltre che cinema: quale dei due mezzi preferisce?

Matsuda: Quando di fanno serie televisive c’è da considerare un determinato numero di persone che guarderà quell’opera, il settore dell’intrattenimento è molto vasto. Forse quando si fa cinema ho l’impressione che si riesca a fare un po’ più quello che si vorrebbe fare. Dopotutto non ci trovo molta differenza, cerco sempre di partecipare a progetti che siano per me d’interesse. Poi ci sono occasioni di lavoro di questo tipo ed è interessante quando qualcuno anche dall’estero mi dice: sai, ho visto quell’opera e quella scena in cui c’eri tu. Questo mi fa riflettere su quanta gente possa vedere il mio lavoro ed è sempre una mia grande aspettativa.

C’è un ragazzo che suona la tromba nel film e vediamo che anche Eikichi sa suonare la tromba (forse gliel’aveva insegnata il padre e lui invece è diventato un punk): è una scelta casuale o è voluta?

Okita: Di solito nei club scolastici musicali con gli strumenti a fiato le ragazze sono sempre più numerose e spesso ai ragazzi (che hanno più fiato) viene chiesto di suonare la tromba, quindi trattandosi dell’unico ragazzo della banda è stata una scelta voluta. Il ragazzo si chiama Noro Kyoto ed è una specie di piccolo Eikichi, ha una sorta di ammirazione per lui e si può anche pensare che da piccolo il papà di Eikichi avesse tentato di insegnarla a suo figlio quando era un ragazzo.

Vorrei sapere se è vero che Matsuda ha nei suoi progetti un film con Nakamura e uno con Yamashita.

Matsuda: Con Nakamura stiamo pensando a un’opera storica. Ho una piccolissima parte. Avevamo già lavorato insieme in una precedente opera. Lui è venuto a Udine con The Inerasable.
Il film di Yamashita è girato alle Hawaii e si tratta del ruolo di un filosofo, mentre in quello di Nakamura sono un’eroe. Credo che saranno dei progetti interessanti e sarebbe bello se li presentaste a Udine!
 


 

Press Roundtable:

Il tema della famiglia è molto presente nel cinema giapponese. E’ stato ispirato da Yasujiro Ozu per questa sorta di Viaggio a Tokyo al contrario, dove sono i figli a partire dalla metropoli per andare a trovare i genitori in una sperduta isola del mare Interno del Giappone?

Okita: Da questo punto di vista la prima cosa che ho tenuto in considerazione è stato il rapporto padre-figlio e farlo diventare il fulcro di tutta la storia. Più che una storia familiare, Mohican Comes Home è nato da un'osservazione di quello specifico rapporto padre-figlio (Eikichi-Osamu nel film) e tutta la pellicola gira intorno a questo asse. Io stesso come Eichiki mi sono spostato dalla campagna a Tokyo per realizzare le mie aspirazioni di lavoro e quindi mi è molto caro questo particolare tema della relazione tra figlio maggiore e padre.

Un'altra domanda al regista e al suo attore verte su quanto ci sia in Mohican Comes Home dei loro lavori precedenti, con particolare riferimento ai personaggi un po’ bizzarri come Yonosuke (A Story Of Yonosuke) per Okita, e al personaggio di Ren (musicista punk rock in Nana) per Matsuda.

Okita: in realtà non c’è una relazione tra Yonosuke ed Eikichi di Mohican Comes Home, nessun tipo di continuità mi era venuta in mente durante il processo creativo, la grande differenza tra i due consiste nel fatto che Eichiki è schivo e silenzioso perché è una persona che cerca di dimostrare le cose con i fatti più che con le parole, cosa che non si può assolutamente riscontrare in Yonosuke (ci sono nel film vari episodi divertenti che illustrano queste pratiche dimostrazioni d’affetto di Eikichi per il padre).

Matsuda: no, non ho utilizzato nulla di ciò che avevo sviluppato in passato per il personaggio di Ren, sono partito da zero seguendo la sceneggiatura di Okita, anche perché, sebbene siano entrambi musicisti, i due personaggi sono molto diversi.
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Ora si parla di musica, tema importante di Mohican Comes Home. Viene chiesto ad Okita di parlare del musicista Eikichi Yazawa, di cui il personaggio del padre nel film è un grande fan, e dell’inserimento nella storia del brano di Yazawa suonato dalla band scolastica.

Okita: Eikichi Yazawa è un musicista e rocker molto famoso in Giappone, dagli Anni '70 ad oggi, ed è inoltre noto per avere dei fan veramente matti di lui, quindi ho immaginato che fosse plausibile un personaggio come Osamu che nel suo ruolo di direttore e coach della banda juniores di ottoni del paese si impegna a far suonare loro dei brani del suo amato idolo per cercare di trasmettere un po’ della sua passione ai ragazzi. Tra l’altro Eikichi Yazawa è di Hiroshima, quindi c’è anche un’altro collegamento con il conterraneo di Osamu. I brani di Yazawa sono comicamente inadatti nell’arrangiamento per una banda di ottoni, ma probabilmente questo dettaglio è un po’ difficile che venga percepito da un pubblico non giapponese che non ne ha familiarità.

Matsuda: La scena del film dove Eikichi dirige la banda al posto del padre con comiche conseguenze, era stata strategicamente tenuta all’oscuro dei musicisti. Ai ragazzi, che non sono attori, bensì dei veri e propri membri di una banda di ottoni di Hiroshima, non era stato spiegato nulla di come si sarebbe svolta la scena stessa e non sapevano come sarebbe andata a finire, e questo per cogliere la loro più spontanea reazione alla stranezza che li aspettava. Il fatto che io avessi preso iniziativa per cambiare il ritmo e l’impostazione del brano era stato concordato con il regista, ma loro ne erano completamente all’oscuro, questo con l’intento di avere la loro espressione più naturale possibile. Un vero e proprio caso di 'buona la prima', anche se Okita confessa che tutto ciò lo ha stressato un bel po’.

Il regista fa uso nei suoi film di bei piani sequenza che hanno un aspetto molto naturale, come se fossero lasciati alla spontaneità degli attori. Ma un piano sequenza richiede un gran controllo, si chiede ad Okita che tipo di regista sia, ovvero un regista che lascia libertà agli attori o un regista che si attiene con severità al copione. Anche a Matsuda si chiede di fornire il suo punto di vista.

Okita: In linea generale non penso che sia necessario l’uso dei piani sequenza, di solito mi attengo abbastanza rigidamente al copione e sono convinto che un piano sequenza debba comunque essere motivato, a volte mi piace non dare il 'cut' e vedere come le cose si evolvono da sole e fin dove gli attori si spingano nell’improvvisazione della sequenza, sicuramente in questo caso la naturalezza si vede (questo si nota molto in A Story of Yonosuke). Nel caso di Mohican Comes Home sono stato ancora più attento al copione perché una parte fondamentale del film, che potrebbe essere sfuggita a un pubblico non giapponese, era il dialetto particolare di quella zona e bisognava essere molto attenti al copione.

Matsuda: mi sono attenuto rigidamente a quello che c’era scritto sul copione in questo film perché il regista era molto preciso e dettagliato nel briefing e nelle spiegazioni su come volesse una scena e quindi non ho mai sentito il bisogno di prendere iniziative e improvvisare.
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Il regista viene sollecitato a spiegare meglio qualcosa a cui aveva accennato circa le differenze della reazione del pubblico tra Giappone ed Italia.

Okita: Alcune situazioni comiche non sono state percepite dal pubblico italiano, e questo è normale, ma mi sono stupito soprattutto del contrario, in molte scene in cui non me l’aspettavo il pubblico ha riso molto. In particolare la scena della banda diretta da Eichiki al posto del padre ha fatto scaturire una reazione di risate molto fresche e spontanee qui in Italia, molto più che in Giappone, così come anche durante la scena in cui la famiglia di Eikichi incontra la chiassosa famiglia della fidanzata, sono rimasto molto colpito e contento della inaspettata reazione italiana con sentiti scoppi di risate ed è facile immaginare che in Giappone la trasgressione di dinamiche sociali così formali venga accolta con risate più a denti stretti mentre in Italia evidentemente è diverso.

Matsuda: confermo e aggiungo che questo film è impregnato di cultura giapponese e di dettagli forse poco comprensibili, come ad esempio nella scena della salsa Men-Tsuyu (una salsa che nel film pare renda più buono e saporito tutto quello che si cucina), io la capisco perché sono giapponese e parto dal presupposto di sapere di cosa si sta parlando a livello culturale, ma è stata una bellissima esperienza essere a Udine e riuscire a vedere il film da un punto di osservazione diverso e quindi più oggettivo.

L’ultima domanda è su come faccia il regista a trattare argomenti drammatici come la malattia e la morte con un tocco così leggero e delicato, e come abbia preparato il suo attore a questo approccio.

Okita: L’idea non era esattamente quella di esprimere leggerezza. Del resto fare un film triste su un argomento triste sarebbe un po’ scontato. Mohican Comes Home non è una commedia vera e propria, ma la risata ha la sua importanza e il suo ruolo perché alleggerisce i momenti più pesanti. Inoltre la risata può nascere spontanea e liberatoria. Io non la forzo e affido totalmente allo spettatore la scelta se ridere o no. Non so se è una risposta soddisfacente alla sua domanda ma è il mio modo di vedere.

Matsuda: Abbiamo parlato molto di questo argomento prima di cominciare la produzione del film e ho percepito le preoccupazioni del regista in merito. Mi ha assicurato che non fosse sua intenzione fare un film troppo cupo. Abbiamo lavorato insieme a questo fine. Okita è stato un regista straordinario per come è riuscito a prendere il tema della morte e riproporlo in questo modo e questo perché lui ha guardato schiettamente questo argomento e affrontandolo è riuscito a creare l’opera come avete avuto modo di vederla.
 
 
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In serata abbiamo poi avuto modo di rivedere Okita Shuichi e Matsuda Ryuhei sul palco alla cerimonia di chiusura del festival, vincitori del Black Dragon Award (il premio della critica), contenti e frastornati. Mentre lasciavano il palco è stato annunciato anche il loro terzo posto del premio Audience Award e quindi sono stati ripescati e riportati su (proprio come due buffi personaggi di un film di Okita, non avevano capito di aver vinto di nuovo!). Matsuda allora ha afferrato il microfono e ha esclamato in italiano: “Grande!