Love Live è senza ombra di dubbio uno dei brand più forti e di successo che il Giappone ci abbia regalato ultimamente: tra serie animate, videogiochi, manga, videoclip e una quantità sterminata di merchandising, queste simpatiche “school idol” hanno saputo far parlare di sé in molti modi, colpendo i cuori di molti appassionati.
Un successo talmente grande che, in realtà, stupisce un po’, dato che di ragazzine carucce a cartoni animati ne escono fuori a quintalate ogni anno, prontamente dimenticate e soppiantate ogni tre mesi, eppure le μ's sono ancora lì, supportate da un affetto senza pari nonostante siano ormai state sostituite dalle loro “kohai” Aquors. Qual è il segreto di tanto successo? Forse che le μ's rappresentano ben più di ciò che danno a vedere? Chissà…

Vivendo in Giappone, mi sono trovato, volente o nolente, ad incrociare la mia strada con quella di questi personaggi. Impossibile ignorare le sorridenti e graziose idol di Love Live, perché in Giappone te le ritrovi dovunque: nei negozi dedicati ad anime e manga, nelle sale giochi, nei supermercati, persino nei templi. Alla fine, anche se non sei interessato a seguire il brand o non sai chi sono e cosa fanno i personaggi, finisci per imparare a riconoscerlo, aiutato anche dal fatto che tutti i personaggi, vecchi e nuovi, han sempre la stessa faccia, alla quale cambia colore degli occhi o acconciatura, ma sempre quella è: “Ah, è Love Live!”.
Chi mi conosce lo sa, non amo particolarmente questa tendenza dell’animazione moderna di creare di continuo ragazzine carine apparentemente più giovani della loro età effettiva, renderle protagoniste esclusive di qualsiasi storia e arrivare persino a sessualizzarle, creando generazioni di fan che non riescono o non vogliono cercarsi una fidanzata reale perché tanto c’è la loro ragazzina 2D a cui saranno sempre fedeli. Ho trent’anni, dal mio punto di vista le protagoniste di Love Live sono poco più che bambine e non riesco a provare nei loro confronti nulla che vada aldilà del “Che carucce”. Eppure, a vedermele rappresentate in ogni dove, un po’ mi è venuto da chiedermi cosa avessero di così speciale.
“E’ Love Live! E’ il meglio!” è stata la risposta del mio collega di lavoro taiwanese super-otaku a questa stessa domanda. Sì, ok, ma perché?
Spinto da questa curiosità, e dal fatto che, sotto sotto, le storie a tema musicale mi piacciono (retaggio di tanti, troppi film con ragazze col sogno di diventare cantanti o ballerine visti in gioventù), ho provato a guardare il primo episodio della serie animata. E’ finita che il giorno dopo già ero al karaoke a cantare la opening, maledette canzoncine giapponesi dal ritmo super-trascinante!

E’ difficile capire il successo così travolgente di Love Live se non si è dentro il Giappone da cui esso è scaturito e costantemente alimentato. A vederla da fuori, è la semplice storia di nove ragazzine che cantano canzoncine carine in abiti sgargianti per salvare la loro scuola dalla chiusura, ma dietro la semplicità di questa storia si nasconde un po’ tutto quello che è il Giappone di oggi, negli aspetti più disparati, a cominciare da quello, ovvio, della sottocultura otaku. Gli appassionati di animazione, innamorati persi di centinaia di ragazzine carine in 2D, non potevano farsi scappare di certo l’ennesimo progetto crossmediale e supercommerciale a loro dedicato, con ragazzine carine in 2D che vivono in un mondo su misura di otaku, dove non esistono personaggi di sesso maschile (giustamente poi, quando vi trovate a dover scrivere una canzone d’amore, vi arrangiate, visto che non ci sono maschi e nessuna di voi si è mai innamorata) e ogni scuola ha la sua famosissima band di idol, che si scontrano in una competizione a loro dedicata, quello stesso Love Live che dà il titolo alla serie (anche se, abbiam detto, il “Love” non c’è…).
Ciliegina sulla torta, l’universo di Love Live condivide con il suo pubblico primario il setting delle sue vicende, quell’Akihabara che è la Mecca degli otaku e dove di merchandise dedicato ad anime, idol e ragazzine carine in 2D è possibile trovarne a pacchi.
E’ bastato inserire nella serie dei luoghi reali e dar loro importanza, come l’eclatante caso del Kanda Myojin, tempio shinto vicino Akihabara dove una delle giovani idol lavora come sacerdotessa, ed ecco che quei luoghi sono stati presi d’assalto, diventando luoghi di culto. Oggi è possibile visitare il Kanda Myojin e vedere la stessa scalinata percorsa ogni giorno dalle protagoniste, solo che a percorrerla ci sono ragazzi grassottelli e vestiti in maniera trash, che indossano con fierezza magliette colorate raffiguranti le μ's.
Il resto è venuto da sé, tra canzoncine carine e intrippanti (lo sono davvero) che vendono tantissimi dischi, videogiochi, merchandise sempre più ruffiano e sempre più attento a quelli che sono gli hobby e le tendenze dei giovani giapponesi: idol, collezionismo (i giochi di carte, vere o virtuali, legati alla serie non si contano)…

Quel che differenzia Love Live dagli altri anime con le idol è, però, proprio il suo elemento scolastico molto preponderante, che va a toccare un altro tasto abbastanza caro ai giovani giapponesi, i quali passano a scuola la maggior parte del loro tempo. Niente manager asfissianti, fan inopportuni o rivali rosicone, dato che la dimensione musicale delle μ's è pressoché limitata alla scuola, all’interno di una sorta di club scolastico dedicato alle idol. E, come qualsiasi anime ci ha insegnato, i club scolastici giapponesi sono tutt’altro che rose e fiori, ma prevedono allenamenti sfiancanti. Sì, anche per fare le idol, in quanto viene mostrato molto chiaramente come le μ's si impegnino seriamente nel loro fare le idol, con continui esercizi ginnici, esercitazioni di ballo e di canto e chiusone per comporre e scrivere le canzoni o creare i costumi.
Le eroine dei club scolastici, una volta, si allenavano con le catene ai polsi e si pigliavano pallonate e pizze in faccia dagli allenatori severissimi. Oggi magari la situazione non è così drastica, ma a guardare le ragazzine di Love Live far di corsa la scalinata del Kanda Myojin ogni giorno ci si rende conto che non è cambiata poi così tanto, e che anche un gruppo di ragazzine carine può insegnare ai suoi fan che l’impegno, la costanza, la fiducia sono importanti per realizzare i propri sogni.
Del resto, non è una situazione poi così lontana dalla realtà. Basta gironzolare intorno a qualsiasi scuola giapponese per vedere bambini e ragazzi che si allenano a baseball, a calcio, a dodgeball, a fare le flessioni, a correre in maglietta e pantaloncini corti anche nei giorni di vento o di pioggia, anche nel freddissimo febbraio, anche la domenica mattina presto. Chi glielo fa fare, ci chiediamo noi occidentali che avremmo fatto denunciare il professore di ginnastica dai nostri genitori. Ma, chissà, forse anche loro hanno un sogno che vogliono realizzare, da qualche parte nel loro cuore…

L’ambientazione scolastica di Love Live ci riporta un po’ anche a quella che è la scuola giapponese reale, quella fatta di studenti che si muovono in branco la mattina presto, indossando divise alla marinaretta o in giacca e cravatta, per incamminarsi verso la scuola ma che non si scambiano tra loro una parola che sia una; quella fatta di studenti che, chissà, si rifugiano nel loro mondo in 2D perché quello reale gli è duro e solitario, perché vorrebbero farsi degli amici ma sono timidi e bloccati dai loro problemi.
C’è un motivo se, da decenni, gli eroi dei cartoni animati giapponesi hanno sempre delle caratteristiche che li accomunano: allegri, gentili, spontanei, riescono con facilità a diventare amici di tutti e potrebbero difendere il legame e i sentimenti che li uniscono a questi amici anche a costo della vita. Forse è perché è così che i giovani giapponesi vorrebbero ma non possono essere, chiusi in una società rigidissima che tende a reprimere la loro individualità e i loro sentimenti.

Il meccanismo con cui gioca Love Live è lo stesso che, anni fa, ha fatto la fortuna di Sailor Moon: una protagonista un po’ tonta, allegra, semplice, che ha dalla sua una spontaneità e un’allegria contagiose, capaci di aprire il cuore di chiunque e di unire le persone intorno a sé.
Così era Usagi e così è Honoka, che si sveglia una mattina con un’idea assolutamente balzana per salvare la sua scuola e in breve tempo riesce, con gentilezza, coraggio e gioia di vivere, a unire i cuori di tutte le sue compagne, che all’inizio non ne volevano proprio sapere, per un motivo o per un altro, di questa storia delle idol.
C’è chi è timida e insicura, chi è un maschiaccio e si vergogna a mettere la gonna (ma se poi fai tutti i versetti da gattina e dai nomignoli cretini alla gente non è che ci fai una miglior figura, eh), chi si è trasferita mille volte, chi ha un passato doloroso, chi è chiusa in se stessa, chi ha una orribile voce stridula e nel mondo reale ne soffrirebbe: ognuna delle μ's ha i suoi problemi, il suo carattere, il suo modo di fare, eppure Honoka riesce ad unirle tutte, in nome di un sogno troppo grande per poter essere soltanto suo, e alla fine quello di salvare la scuola, di vincere la competizione Love Live, diventa quasi uno scopo secondario rispetto a quello che le nove μ's hanno guadagnato strada facendo, un’amicizia insostituibile e ricordi del periodo scolastico che resteranno nei loro cuori per sempre.
Ovviamente, si tratta di personaggi dal carattere semplice, incamerato in determinati stereotipi tanto amati dagli otaku (la tonta e allegra, l’autoritaria, la ritrosa, la bimbetta che si sente Dio, il maschiaccio, la tsundere, la tettona, la timida e così via), ma se i fan ancora oggi continuano ad amare questi personaggi, a distinguerli e porli in una posizione speciale rispetto ai millanta altri uguali a loro che li hanno preceduti e li succederanno, un motivo probabilmente c’è, ed è che questa storia e questi personaggi sono riusciti in qualche modo a colpirli, a ricordargli la loro realtà. Per noi sono solo bimbette carine, ma probabilmente il legame dei giapponesi con le μ's è ben più profondo di quello che si pensa. Aldilà di tutto l’aspetto ruffiano e commerciale, le μ's, che cantano in allegria e amicizia, forse rappresentano il sogno che molti giapponesi vorrebbero realizzare, quello di vivere la propria vita in maniera intensa, condividendo risate e lacrime con amici sinceri. Chissà…

Quel che è certo è che Love Live ha saputo benissimo giocare le sue carte, e in qualche modo è riuscito a lasciare il segno, raccontandoci una storia creata a tavolino che però sa toccare le corde giuste. Andando avanti con la narrazione, ci si sente sempre più coinvolti dall’universo di queste giovani idol che di idol in realtà hanno ben poco, son più delle semplici studentesse alle prese con i molti problemi della scuola e della vita. Come quello della lontananza, delle strade che si separano una volta finita la scuola e della fine di un sogno che si era condiviso insieme sino a quel momento. Se nella prima stagione la cosa viene affrontata a tarallucci e vino (“Devo andare all’estero, è importante per il mio futuro!” “No, non andare, noi abbiamo bisogno di te!” “Ok…”), le ultime battute della seconda stagione affrontano questa tematica in maniera molto bella. Un facile escamotage per portare lo spettatore alle lacrime? Probabilmente è così, ma anche solo un anno fa non avrei mai pensato che, a trent’anni, mi sarei preso così tanto a cuore le vicende di un gruppo di ragazzine in 2D, al punto da sentire i loro tormenti un po’ come se fossero i miei.

Del resto, è capitato (e capiterà ancora infinite volte) a me come a tutti di dover lasciare degli amici perché è finito il tempo/l’attività/l’evento che si condivideva insieme, perché ognuno ha preso la sua strada, perché ci si è trasferiti in città diverse ed è difficile quando non impossibile mantenere i rapporti.
Ma i sogni, i momenti (quelli gioiosi e quelli tristi) condivisi insieme, quelli rimangono, immortali, eterni e cristallizzati, trasformandosi via via in un’importante parte di ciò che siamo, ed è proprio questo quello che Love Live vuole dirci. E ce lo dice in maniera ben precisa, con le sue canzoncine allegre e coloratissime, che ti metti a cantare immediatamente, non appena le senti una volta. Eppure, poi, quando hai il testo della canzone che ti passa davanti, mandato dal monitor del karaoke, e tu sei lì, che ti stai divertendo un mondo insieme alle persone con cui stai condividendo un piccolo ma importante momento della tua vita, un po’ ci pensi a cosa voglia dirti quel testo, che sembra banale ma tanto banale non è.
Il free time del karaoke prima o poi finirà (se non vuoi diventare povero in canna, ma almeno lo hai fatto per una buona causa), la scuola prima o poi finirà, il periodo che passerai in Giappone prima o poi finirà, ma tu non ti preoccupare del futuro, Kotaro-san, al momento pensa a goderti quello che stai vivendo adesso insieme ai tuoi amici, è questo l’importante. Un saggio amico giapponese, qualche tempo fa, mi ha detto queste parole. Ogni tanto ci ripenso e non mi stupisce che sia stato un giapponese a dirmele, dato che suonavano esattamente come il testo di una canzone delle μ's.

Cari, vecchi, giapponesi, che hanno sempre, in un modo o nell’altro, bisogno di eroi che gli ricordino i loro sogni. Questi eroi sono stati supereroi, marzialisti, wrestler, guerrieri, piloti di robot giganti, campioni sportivi, fascinose combattenti. Oggi sono un gruppo di ragazzine, sciocchine e ruffiane quanto si vuole, che magari saranno dimenticate tra una decina d’anni, chissà. Ma queste ragazzine esprimono in maniera incredibile quello stesso Giappone che le ha erette a uno dei simboli recenti della propria cultura popolare e le ha portate ad avere un (a questo punto non più incredibile) successo strepitoso. Quel Giappone abitato da ragazzi che, da sempre, hanno tanto bisogno di amici e hanno difficoltà ad averli, finendo per proiettare i loro sogni e i loro desideri in personaggi fittizi o in divi dello spettacolo costruiti a tavolino.
Ma, se c’è un motivo per cui gli anime ci piacciono, è che questi ci insegnano sempre qualcosa, e una delle cose che Love Live ci insegna è che cantare, davanti a una platea di gente o nella stanza di un karaoke, è molto più divertente se ci sono degli amici con cui condividere quel momento. Che, ok, non durerà per sempre, ma l’aver preso in mano quel microfono, aver superato gli imbarazzi ed essersi divertiti come pazzi a cantare con gli amici, in qualche modo, diventerà parte di noi…

限られた時間を楽しもうよ
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