Shooting Star – Sociologia mediatica e filosofia politica di Atlas UFO Robot affronta con documentata disinvoltura saggistica uno dei fenomeni mediatici e di costume più significativi dei tardi anni Settanta in Italia (e non solo), ossia la parabola televisiva ed il lascito culturale di Goldrake-Grendizer, approdato sugli schermi della RAI (Rete 2) nell’aprile del 1978, grazie alla lungimiranza di alcuni dirigenti dell’epoca dell’emittente pubblica. Il taglio sociologico impresso da Marco Pellitteri e quello filosofico-politico apportato da Francesco Giacomantonio contribuiscono, separatamente e di conserva, a tratteggiare le coordinate di Goldrake come evento televisivo penetrato a fondo nella cultura popolare italiana, i suoi caratteri unici e il suo ruolo di apripista per la successiva ‘invasione’ di anime nipponici, su emittenti sia nazionali che locali, in concomitanza col rinnovamento del panorama radiotelevisivo italiano.
 
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Pellitteri rintraccia saggiamente le origini del fenomeno Goldrake inscrivendole nel contesto d’origine, con un’operazione genealogica che indaga aspetti autoriali, narrativi, diegetici, tecnici, caratteristiche filmiche e impianto sonoro dell’opera, senza trascurare il riscontro di pubblico di Grendizer in Giappone, nel più ampio ambito della MazinSaga nagaiana. Il senso dell’operazione di Pellitteri e Giacomantonio è, mi sembra di intendere, la ‘decriptazione’ dei messaggi in filigrana fatti passare dagli autori giapponesi attraverso l’èpos postmoderno di Goldrake — messaggi destinati in origine alla platea nipponica, ma transitati, coi necessari e conseguenti fraintendimenti e rinegoziazioni culturali, nel panorama culturale italiano di fine anni Settanta-inizio anni Ottanta. Quella che è stata definita nel 1999 la Goldrake generation ha sviluppato infatti un immaginario collettivo per molti versi incommensurabile, sul piano estetico e contenutistico, rispetto alle generazioni precedenti, sebbene l’ispirazione ideale della narrazione nagaiana richiami, come vedremo, un assetto assimilabile al portato valoriale di esperienze cruciali per la storia recente italiana, come la Resistenza e la lotta contro il nazi-fascismo.

Detto in altri termini: l’interpretazione dei temi narrativi originari di Goldrake e l’analisi della sua entusiastica accoglienza presso il pubblico italiano alla prima messa in onda risultano in Shooting Star strettamente connesse. Secondo gli autori, il sottofondo filosofico-politico di Atlas UFO Robot avrebbe operato sul pubblico target in maniera più o meno nascosta, attraverso una veicolazione inconscia di un certo spirito del tempo (Zeitgeist), che avrebbe a che fare con il posizionamento storico-politico del Giappone alla metà degli anni Settanta e, in maniera non del tutto sorprendente, col retaggio dei valori fondanti della Repubblica Italiana. Gli autori ci rammentano ciò che non andrebbe dimenticato in sede di analisi del fenomeno: Goldrake viene prodotto in Giappone in un determinato periodo storico, in cui si compie pienamente il ri-orientamento del Sol Levante sullo scacchiere mondiale, nel senso di una salda amicizia con il potente alleato e protettore, gli Stati Uniti d’America, e di un atteggiamento guardingo verso la minaccia proveniente dal Continente, incarnata dal blocco sovietico.
 
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In quest’ottica, nell’epica animata di Goldrake, i Fleediani e il principe Duke Fleed (Actarus), nella loro natura aliena, rappresenterebbero velatamente la mano amica degli Stati Uniti, laddove Vega, una sorta di ‘Impero del Male’, sarebbe la non troppo adombrata metafora del totalitarismo, sia quello d’impronta fascista che tanti danni aveva addotto al Giappone, spingendolo rovinosamente verso la Guerra del Pacifico, sia quello della galassia comunista, che incombeva sull’Arcipelago giapponese sin dalle asiatiche propaggini della penisola coreana. Goldrake, la macchina pilotata dall’alieno, costituirebbe così il ponte tra Giappone tradizionale e moderno, nella misura in cui, anche nella sua raffigurazione grafica, recupera elementi del passato nipponico, tra cui l’equipaggiamento bellico samuraico, e nello stesso tempo sfrutta la potenza inaudita della tecnologia occidentale, in linea col classico principio del wakon-yōsai (‘spirito giapponese e tecnica occidentale’). La furia della tecnica culminata nella distruzione atomica, a lungo tempo scotomizzata nel Giappone post-bellico, ricompare nelle produzioni animate robotiche degli anni Settanta e Ottanta per vie sotterranee, attraverso il canale relativamente libero della cultura popolare, e permette alla generazione senza padri, alla ‘generazione Telemaco’ vissuta in pieno anime boom, di sfruttare il mezzo televisivo come una vera e propria agenzia educativa. Il ritorno del padre, quello da cui ereditare il senso della vita, prenderebbe qui le fattezze di un robot guidato da un alieno. Non a caso, il buon padre, il padre adottivo, prende la figura del dottor Procton, di colui che sa indirizzare la scienza a fini pacifici.

Questo utilizzo pedagogico di Goldrake e degli altri eroi animati avviene, sia in Italia che in Giappone, in molteplici sensi, esplorati acutamente da Pellitteri e da Giacomantonio, che non mancano di sottolineare i diversi livelli di questa educazione/appropriazione culturale. Si è trattato, tanto per i bambini giapponesi che per i loro coetanei occidentali, spesso abbandonati davanti al televisore come di fronte a una novella bambinaia, di immaginare una via per sfuggire al senso di impotenza che si affaccia inevitabilmente a quell’età, in un contesto rassicurante come quello del tinello, della cucina o del salotto di casa, dove in genere veniva ospitato il televisore negli anni Settanta o nei primi anni Ottanta. Goldrake divenne una sorta di feticcio, di dispositivo fallico, di protesi tecnologica dei telespettatori, di strumento per prendersi la rivincita sugli errori dei padri, in primis la deriva autoritaria e totalitarista. Una simile lettura psicanalitica, che mi è sembrato di intravedere tra le righe delle considerazioni proposte dagli autori, non deve sorprendere: Goldrake viene subito dopo una stagione politica caratterizzata dalla protesta giovanile, dagli ideali pacifisti e da una profonda tensione verso il cosmopolitismo, in opposizione al clima internazionale della Guerra fredda. Actarus sarebbe così un figlio dei fiori, reso orfano dalla guerra, un re-filosofo contrapposto alla logica di Vega, quella dello scontro di civiltà. Il fascino di questa figura, dell’orfano in simbiosi col robot, si rivela così intergenerazionale.
 
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Se pensiamo al panorama italiano dell’epoca, segnato dalla violenza degli Anni di piombo e dal riflusso nel privato, Goldrake, insieme alle altre serie che sarebbero giunte di lì a poco sui teleschermi del Bel paese, funge una funzione di katéchon, ossia di elemento che rinvia la catastrofe, secondo l’accezione del filosofo politico tedesco Carl Schmitt. Ma a quale catastrofe facciamo riferimento? Senza dubbio al crollo degli universi narrativi e dei riferimenti pedagogici veicolati dalla cultura popolare, ossia dai modelli culturali trasmessi attraverso i media dominanti dell’epoca, primo fra tutti la televisione. I bambini allevati ‘a pane e cartoni’ della Goldrake generation hanno potuto attingere, attraverso l’animazione nipponica, non solo a tutto un mondo estetico-narrativo profondamente innovativo, ma a un’etica del pacifismo e della non-violenza sotto forma di un imprinting grafico di eccezionale impatto. Questo carattere distintivo della storia di Goldrake venne profondamente frainteso dalle frange moralistiche di un certo ceto politico dell’epoca (si pensi alla filippica anti-Goldrake del parlamentare Silverio Corvisieri) o da giornalisti come Michele Serra, mentre fu invece ben interpretato da acuti intellettuali come Gianni Rodari od Oreste Del Buono. Non senza una ragione, ad accompagnare i bambini e i ragazzi nella visione di Goldrake furono spesso i nonni, cioè i membri di quella generazione che aveva vissuto la dittatura fascista e la Resistenza, ai quali non sfuggì l’epica pacifista e l’afflato anti-totalitario della serie animata.
 
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Invito caldamente alla lettura di Shooting Star, proprio perché Goldrake non fu una shooting star nel panorama della storia mediatica e del costume del nostro Paese. Al contrario, Goldrake vanta un lascito culturale che conosce frequente rivisitazioni e riletture, ed è profondamente sedimentato in almeno tre generazioni. Ne è prova l’utilizzo di una delle canzoni scritte per la versione italiana della serie dagli studenti impegnati nella protesta contro la riforma Berlinguer del 1997. Impreziosiscono il volume la prefazione della professoressa Saya Shiraishi e le interviste al regista Tomoharu Katsumata, al compositore delle musiche Shunshuke Kikuchi e all’autore Gō Nagai. Un’opera da non perdere per chiunque si senta parte della Generazione Goldrake, ma anche per gli eredi di quello che è ormai un tassello della storia recente italiana. Dentro Goldrake c’è in nuce tutto quello che sarebbero stati gli anime e i manga in Italia nel corso dei quarant’anni successivi, e forse anche un po’ di quello che sarebbero diventati i suoi telespettatori.

Autore: Fabio D. Palumbo