Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.


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"GE - Good Ending" è un manga composto da sedici volumi, ideato e disegnato da Kei Sasuga e portato in Italia da Star Comics dal 2013 al 2015.

Seiji Utsumi è un ragazzo completamente negato per lo sport quando, in prima superiore, decide di iscriversi al club di tennis perché innamorato della seducente Senpai a capo di quest'ultimo. Ad aiutarlo nella sua storia d'amore spunterà improvvisamente una ragazza, Yuki Kurokawa, studentessa appena trasferitasi da Nagano per motivi sconosciuti. Dopo un iniziale rapporto di amicizia, Utsumi si renderà conto di provare nei confronti di Kurokawa un sentimento ben più forte del normale, e inizierà dunque la storia del povero ragazzo, il quale, come in ogni opera di genere Harem che si rispetti, dovrà passarne di tutti i colori prima di raggiungere (forse) il suo finale felice.

"GE - Good Ending" potrebbe inizialmente sembrare un manga harem come tanti altri, una serie di ragazze che si innamorano per qualche sconosciuto motivo del protagonista, sul quale continueranno ad abbattersi una serie di disgrazie che comprometteranno le sue relazioni. A differenza del classico stereotipo del genere, "GE - Good Ending" presenta tuttavia una trama ben congegnata e studiata a pennello, dove non si dovrà aspettare l'ultimo volume per vederne i primi sviluppi. La storia si evolve bene, con i tempi giusti e in maniera lineare, ma senza far mancare colpi di scena che diano la giusta scossa, e, cosa ancora più importante, senza mai annoiare il lettore. Questo è possibile per via dei personaggi che sono stati egregiamente caratterizzati, protagonista prima di tutti: Seiji non è il classico fannullone incapace ed eternamente indeciso; di certo non brilla per intelligenza, ma per lo meno agisce, sfrutta le occasioni che gli si parano davanti, prende una decisione ben precisa fin dall'inizio, anche se poi i cambi di rotta sono inevitabili.
Stessa cosa si può dire di Yuki, principale protagonista femminile dell'opera, che spicca notevolmente sulle sue rivali, e sulla quale si basa la gran parte della trama.
Good Ending è difficile da inquadrare, personalmente lo definirei uno Shojo con la maschera da Harem, dove Kei Sasuga è riuscito a prendere gli elementi positivi dei entrambe le tipologie e a mescolarli a dovere.

Esteticamente il tratto dell'autrice è deciso e delicato allo stesso tempo, riesce a donare una buona espressività ai personaggi, e si evolve notevolmente con il passare dei volumi. Il design dei personaggi è essenziale e gradevole, e anche i fondali godono di un discreto grado di dettaglio. I dialoghi sono molti soprattutto nella fase iniziale, successivamente diminuiscono notevolmente, rendendo la lettura più fluida e leggera.
Il finale è liberatorio e gratificante, senza fare spoiler dirò soltanto che una volta giunti all'ultima pagina non si potrà che rimanere soddisfatti, e che sorgerà spontaneo quel lieve sentimento che accomuna le conclusioni delle grandi opere, quando si è ormai affezionati ai personaggi e sapere che non si potrà più vederli all'opera lascia una piccola sensazione di tristezza.


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"Acqua. Terra. Fuoco. Aria. Molto tempo fa, nel mondo regnava la più completa armonia, poi tutto cambiò, quando la Nazione del Fuoco decise di attaccare. Solo l'Avatar, padrone di tutti e quattro gli Elementi, poteva fermarla. Ma, quando il mondo aveva più bisogno di lui, scomparve.
Sono passati cento anni e io e mio fratello abbiamo scoperto il nuovo Avatar, un dominatore dell'Aria di nome Aang. Ma, nonostante la sua abilità nel dominio dell'aria, ha ancora molto da imparare.
Ma io ne sono certa, Aang salverà il mondo."

Queste sono le parole che, all'inizio di ogni episodio, compensano l'assenza di una vera e propria sigla di apertura per "Avatar: The Last Airbender" (arrivato in Italia come "Avatar - La leggenda di Aang"), cartone animato statunitense ideato da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko e costituito da sessantuno puntate di durata canonica, andate in onda in patria tra il 2005 e il 2008.
A pronunciarle è Katara, coprotagonista della serie, la quale ha luogo in un mondo diviso tra Tribù dell'Acqua, Regno della Terra, Nazione del Fuoco e Nomadi dell'Aria, ciascuno dei quali è specializzato nel dominio del corrispettivo Elemento, cioè nella capacità di manipolarlo a proprio piacimento, anche se in seguito a rigidi addestramenti. Tale mondo è però sconvolto da un secolare conflitto, che vede contrapposta la Nazione del Fuoco, con i suoi feroci propositi di supremazia globale, a tutte le altre entità territoriali.
Sarà proprio Katara, insieme al fratello maggiore Sokka, a risvegliare l'Avatar Aang da un sonno lungo cent'anni. Insieme, decideranno di intraprendere un lungo e periglioso viaggio per aiutare l'impreparato Aang a compiere il proprio destino: ripristinare l'equilibrio tra tutti i popoli.

Tralasciando lo spostamento fisico da una località all'altra, quello del viaggio, soprattutto di crescita interiore, è uno dei temi portanti del cartoon: la maggior parte dei personaggi è costituita da adolescenti, con un'età compresa tra i dodici e i sedici anni. Questo comporta una tempesta emotiva che la serie riesce a rappresentare con grande cura, presentandoci un campionario di sentimenti estremamente vario e realistico: ci sono coraggio, timore, senso di inadeguatezza, egoismo, amore, amicizia, orgoglio, la dicotomia tra un'inaspettata maturità e la prevedibile puerilità, tutte sensazioni che coinvolgono sia i protagonisti che gli antagonisti, non meno complessi e affascinanti.
Aang, nonostante tutte le responsabilità che comporta l'essere l'Avatar, è pur sempre un ragazzino di dodici anni che, dopo cento anni di stasi criogenica, si ritrova improvvisamente ad essere l'ultimo della propria gente, affrontando così solitudine e dolore, ma senza mai perdere il proprio altruismo e il proprio desiderio di conoscenza e la propensione alla spensieratezza e al divertimento. Ciononostante, anche lui sarà dominato in alcune sequenze da sentimenti meno nobili, come rabbia e gelosia.
La continua lotta tra il destino, inteso come un percorso predeterminato, e il futuro che è possibile costruirsi da sé, seguendo il proprio cuore, accentua il dualismo tra Aang e Zuko, tormentato principe esiliato della Nazione del Fuoco, inviato a dare la caccia all'Avatar per riconquistare il proprio onore.
Katara, avendo perso la madre in giovane età, mostra spesso e volentieri un atteggiamento affettuoso e quasi materno nei confronti di coloro che la circondano, preoccupandosi per la loro incolumità e per il loro benessere psichico, sempre pronta a donare loro parole di conforto e speranza. Tuttavia, questo non la rende un personaggio femminile debole e banale, poiché anche lei saprà dimostrare grande forza e determinazione, così come disprezzo e mancanza di fiducia.
Sokka è il mattatore della serie, capace di tirar fuori dal nulla spassose battute nei momenti più inaspettati, ma, essendo un ragazzo normale circondato da individui eccezionali e potenti dominatori, non è raro che si interroghi sul proprio valore.
Toph, ragazzina cieca cresciuta tra gli agi e l'apprensione dei genitori, ma segretamente rude e insofferente alle regole, è assolutamente priva di autocommiserazione, diventando, al contrario, forse la più ironica e geniale tra i protagonisti.

Indubbiamente, i personaggi sono il punto di forza di "Avatar - La leggenda di Aang": ognuno di essi possiede personalità e motivazioni uniche e ben costruite, talmente convincenti e accattivanti da rendere impossibile anche il semplice odio nei confronti di uno solo di essi, fosse anche il più crudele e spietato dei villain. Gli stereotipi comportamentali, per quanto presenti, sono utilizzati con criterio, in contesti che li rendono quantomeno plausibili e sopportabili, senza che questo comporti il rinunciare a una buona dose di originalità. Nel corso dei sessantuno episodi, il gruppo di eroi entrerà a contatto con numerose figure molto eterogenee, traendone preziosi insegnamenti o fungendo essi stessi da ispirazione per gli altri, realizzando una continua e reciproca maturazione psicologica. Anche i rapporti che instaurano mutuamente sono brillanti e profondi, con la sola eccezione di alcune relazioni sentimentali di secondo piano, che appaiono come forzate e in qualche misura immotivate.

Il comparto tecnico, nonostante cali trascurabili, si distingue per animazioni eccellenti, che rendono al meglio nelle frequenti scene d'azione, in cui è evidente la grande cura prestata alle coreografie dei combattimenti (esaltate dalla regia), alle arti marziali che accompagnano il dominio dei vari Elementi e agli effetti speciali e sonori. La colonna sonora, per quanto non presenti brani particolari che spicchino sugli altri, è di buon livello e affianca alla perfezione le scene mostrate sullo schermo. Ottimo il doppiaggio italiano.
Il design dei personaggi è molto curato e piacevole, sia per quanto riguarda la loro fisionomia che il vestiario. Nella realizzazione delle ambientazioni di carattere antropico è palese l'influenza dell'architettura tradizionale orientale, mentre i paesaggi naturali sono estremamente vari, passando da distese di neve e ghiaccio a foreste tropicali a ripidi picchi rocciosi. Molti scorci sono estremamente suggestivi e dettagliati, nonostante sia possibile percepire, a volte, una certa mancanza di spessore. Occorre sottolineare la presenza di flashback e leggende raccontate utilizzando stili grafici peculiari, contribuendo a rendere la serie ancora più varia e fresca.
Il mondo in cui si svolge la vicenda è tratteggiato con grande attenzione, sia per quanto riguarda le forse non troppo fantasiose creature che lo abitano, sia per le culture dei popoli presenti, ciascuna delle quali è ben differenziata dalle altre: è impossibile non notare il peso delle tradizioni cinesi, giapponesi, Inuit e tibetane, nonché di vari concetti e principi religiosi provenienti dalle dottrine induiste e buddiste. Alcune scelte stilistiche e grafiche, invece, rivelano anche la forte influenza dell'animazione nipponica.

"Avatar - La leggenda di Aang" è quello che tutti gli shounen commerciali odierni dovrebbero essere: una trama effettivamente semplice (un eroe predestinato e un grande malvagio da sconfiggere per salvare il mondo), ma coadiuvata da un intreccio avvincente e prevedibile, ma non scontato. Si tratta di un'opera genuina che punta sul carisma dei suoi personaggi, sulla forza dei loro sentimenti e sulla maestria nella realizzazione degli scontri per conquistare lo spettatore, senza ricorrere a facili lezioncine morali ripetute fino allo sfinimento, al fanservice o alla violenza, dimostrando di poter dar vita a una storia adulta anche senza sangue e/o corpi nudi. La gestione dei momenti comici e drammatici è magistrale: dosati con criterio, non arrivano mai a privare i personaggi della loro carica ironica e della profondità, anche nelle situazioni più ardue o in quelle più leggere.
Una serie d'animazione assolutamente consigliata.


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Hayao Miyazaki è indubbiamente uno dei cinque registi più influenti degli ultimi trent'anni ed è, a mio avviso, al pari del compianto Walt Disney, il miglior cineasta di sempre per quanto concerne l'animazione. I suoi film sono dei veri e propri classici, intrisi di una potenza visionaria che con il tempo è divenuta il vero e proprio marchio di fabbrica del suo genio. Tra i gioielli che compongono la cinematografia di Hayao, "Il castello errante di Howl" risulta uno dei più splendenti, impreziosito ulteriormente da un'originalità invidiabile, sia per quanto riguarda i personaggi che per la storia stessa. Veniamo alla trama.

Sophie è una ragazza semplice che lavora come cappellaia in un negozio lasciatogli in eredità dal defunto padre. La sua vita cambierà dall'incontro con Howl, un bellissimo stregone, il cui fascino si dice rubi il cuore a qualsiasi fanciulla. Lo stesso giorno, mentre cuce nel suo negozio, gli farà visita la temibile Strega delle lande. La strega maledirà Sophie, rendendola un'inerme vecchietta. Tra intemperie e scorci mozzafiato Sophie si metterà in viaggio alla ricerca di Howl, convinta che lui, in quanto stregone, possa spezzare il suo maleficio; si improvviserà donna delle pulizie del suo castello errante.
Non mancheranno colpi di scena e cambi di rotta inaspettati a ben farcire quella che sembra una storia classica.

Sono i personaggi però, la colonna portante dell'intera opera.
La maledizione di Sophie la renderà una personalità molto più interessante di quanto non sembri all'inizio, facendoci spesso dimenticare del suo reale giovane aspetto.
Howl risulta un personaggio quasi mistico, capace di farvi sussultare ad ogni sua entrata in scena, dotato di un fascino e di una dolcezza che è difficilmente descrivibile.
La Strega delle lande è un'antagonista atipica ed una volta capito il perché delle sue azioni susciterà tenerezza nello spettatore come pochi altri villain. Indimenticabili anche i personaggi secondari, su tutti Calcifer e Testa di Rapa. Il primo è un'eccentrica fiammella, demone del fuoco nonché il vero e proprio motore del castello errante; il secondo invece uno spaventapasseri il quale, come Sophie, ha subito una terribile maledizione.

A far da sfondo a tutto ciò un'inspiegabile e violenta guerra, le cui cause restano volutamente misteriose ed inspiegate. D'altronde, quale guerra ha senso?

La metafora su cui verte lo scheletro narrativo del film è la bellezza; Howl è ossessionato dal suo stesso fascino (epica la scena in cui si deprime trasformandosi in una melma gelatinosa solo perché si tinge erroneamente i capelli di rosso): "Senza avere la bellezza non c'è alcuna ragione di vivere".
Sophie risulta essere invece l'esatto opposto. Non essendosi mai sentita bella è finita per essere oppressa dalla sua insicurezza estetica. La maledizione subita infatti, rappresenta l'immagine che lei ha di se stessa.

Tecnicamente, il lavoro svolto è sontuoso, con disegni che sembrano vivi e sfondi e fondali che fan venir voglia di mettere il film in pausa per goderseli a pieno. Il comparto sonoro è anch'esso eccezionale, con musiche magiche e nostalgiche, in perfetta linea con le altre opere targate Ghibli.

Piccola nota dolente: il finale, che risulta un po' scarnificato e fin troppo sbrigativo, con la soluzione simultanea di più eventi che avrebbero, a mio avviso, meritato un maggior approfondimento.

Ancora una volta, Miyazaki e lo Studio Ghibli insegnano ed emozionano come solo loro sanno fare, regalandoci un capolavoro dell'animazione moderna che nessuno dovrebbe lasciarsi sfuggire.

Voto: 9